di Aurelio Lentini
Bisognerebbe capire con che occhi guardare alla politica, o piuttosto con che occhi la politica guarda le persone. Poiché al di là dei cartelloni, della TV (per chi ce l’ha), delle strumentalizzazioni e le aberrazioni che sono sciorinate da notiziari, giornali e radiogiornali… al di là di tutto questo, c’è un sottile abisso che separa la politica dal resto delle cose.
Come dire: sì, questa è politica, ora torniamo alla vita concreta. Il palazzo s’è innalzato sopra le nuvole, chiuso a doppia mandata, in una sfera mediatica che ne manda h24 le immagini come la fata del mago di Oz, che arriva e se ne va in una bolla di sapone.
Tolte le ore piccole per gli addetti ai lavori, il voto per le regionali e le amministrative ha significato, per i molti, ben poco, mentre è evidente che invece, sul piano della politica, si giocano partite molto importanti. Allora sarebbe bene porre un ragionamento, cioè perché la riduzione – o, meglio, bisognerebbe parlare di sottrazione – che in Italia facciamo delle questioni politiche a questioni aristofanesche – nel senso di collocate in uno spazio che ai più pare sopra le nuvole – sia tanto preponderante: come è possibile che lo spazio empirico e sociale sia stato sottratto dallo spazio generale della politica?
Il dato rilevante, a costo di sembrare ridondanti, non è l’esperimento-Pastorino, il fallimento di Matteo Renzi che dove è Renzi perde alla grande e dove vince non è Renzi, gli impresentabili o la riduzione di Forza Italia a morto vivente; bensì il tris, o quatris, di un’astensione all’americana, assolutamente eccezionale per il panorama italiano.
Uno su due ormai non vota, continuativamente. Segno che qualcosa si è inceppato irrimediabilmente nell’ingranaggio che ci ha condotto sin qui e che quella spaccatura sottile cui si accennava poco sopra è proprio un abisso, una faglia netta che segna la separazione tra la politica e le persone.
Non solo: se allarghiamo il focus al panorama europeo, ai paesi in una situazione analoga alla nostra, allora vediamo che la situazione è ben peggiore: Spagna e Grecia, in modi diversi, hanno saputo rianimare la vita politica calandola nell’attualità, hanno interpretato la crisi e le contraddizioni in modo tale da favorire un mutamento. L’Italia permane invece nel solco delle contraddizioni non interpretate. L’Italia manifesta con sintomi continentali, alla francese, le sue contraddizioni periferiche.
L’assestamento dei 5 stelle, parenti più prossimi di Podemos, visto il desolante panorama nostrano, rimarca ma non risolve il fatto che il disagio qui non è oggetto del discorso della politica: rispetto a una situazione in cui tutti perdono voti – e l’emorragia del PD è sicuramente la più grave -, vincono un non-partito, che comunque conferma di essere solido e attestato sul 20%, e un porco-partito come la Lega Nord, che contro ogni orizzonte si gioca la carta migliore per approfittare del disagio sociale a proprio vantaggio: la rabbia e l’odio.
Tutti gli altri non sono pervenuti, nel senso che, nonostante le loro poco consolanti esistenze, non rispondono, non sanno rispondere, alle esigenze della gente, disillusa, disamorata, senza speranza. Non votare significa anzitutto perdere la speranza e la fiducia nella democrazia e nei corpi intermedi. Questo consente alle schizofreniche forze di sinistra di dire che c’è ancora spazio a sinistra, per Giuseppe Civati, per una casa comune della sinistra, per un cantiere, per tizio, per Caio e per Sempronio: certo che c’è ancora spazio, ma mica solo per loro, bensì per chiunque. È ovvio che c’è ancora spazio, anzi ce ne è un sacco, se permangono le contraddizioni e nessuno si cimenta nel risolverle.
Puntiamo alle contraddizioni, invece che al 9%, che poi questo arriva da solo, come forse ha capito Landini.