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“L’allievo” di Bryan Singer: il male non ha età

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Molti scritti del grande autore horror Stephen King sono stati trasposti con successo sul grande schermo: Shining, L’ultima eclissi, Carrie lo sguardo di Satana e, uscito da poco in Italia, il nuovo It del giovane e promettente Andres Muschietti che già ci aveva spaventati con La Madre. Un’altra pellicola riuscita, ma passata un po’ sotto silenzio è sicuramente L’allievo di Bryan Singer del 1998, film che, per i temi trattati, può essere considerato tra i più spaventosi di Stephen King.

L'allievo

Un ragazzo sveglio: la bellezza del male secondo Stephen King

Tratto dalla raccolta di racconti Stagioni diverse pubblicata nel 1982, Un ragazzo sveglio è il titolo originale dell’opera e vede come protagonista Todd Bowden, un ragazzo dalla faccia angelica, e Kurt Dussander un crudele comandante nazista. Se state già provando pietà per il povero ragazzo, be’, non fatelo: sarà lui il vero malvagio della storia.

Todd Bowden, il tipico ragazzo americano con un futuro brillante davanti a sé, ha una vera e propria passione: i campi di concentramento. Quando scopre per puro caso che un uomo delle SS sotto mentite spoglie abita a pochi isolati più in là, Todd prende al volo l’occasione. Va da lui e lo ricatta: il suo silenzio in cambio delle informazioni più raccapriccianti. Kurt Dussander, il comandante del campo di concentramento di Patin, accetta suo malgrado. Tutto pur di non essere denunciato.

Tra i due si instaura un rapporto malato fatto di ricatti, storie cruente e continue bugie per coprire la loro “amicizia” al mondo. Todd cambia in poco tempo e pian piano tira fuori tutto il marcio che cova dentro di sé scoprendo così di essere fatto della stessa pasta del gerarca nazista.

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L’allievo: dalla carta alla pellicola

La pellicola è estremamente fedele al libro, cosa molto apprezzata dagli amanti della lettura, e vediamo nei panni del crudele Dussander niente meno che il grande Ian McKellen. La fedele trasposizione riesce così a mantenere il senso originale del libro cosa che spesso nei film viene perso. Troppo spesso infatti le pellicole tendono a concentrarsi più sulla narrazione e sui colpi di scena tralasciando la parte più importante della storia, sia essa scritta su carta o su grande schermo: il significato.

In questo caso, il senso di orrore e paura permane. Il male può nascondersi facilmente nell’animo di un tredicenne dagli occhi azzurri e capelli biondi, dagli ottimi voti a scuola e con una famiglia medio-borghese che lo ama. Il mostro del nazismo non se ne va mai, ma continua ad esistere nel tempo, sotto mentite spoglie.

Kurt Dussander indossa la sua falsa identità come una maschera per potersi nascondere dai cacciatori dei criminali di guerra e lo stesso fa Todd che deve nascondersi dagli occhi della società e per farlo si sforza di essere il ragazzino più normale del mondo. Terrificante rendersi conto mentre si scorrono le pagine o le sequenze del film, che l’innocenza semplicemente non esiste e prende il suo posto la disumanità.

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Il colpo di scena finale

Una differenza sostanziale divide però le due opere: il finale. Per quanto possa essere incredibile, Bryan Singer riesce a girare un finale molto più spaventoso di quello pensato da Stephen King. Questo finale riesce a marcare ancora di più il significato della storia lasciando lo spettatore scioccato difronte a tanta calcolata crudeltà.

In ogni caso, ancora una volta Stephen King si conferma tra i più grandi romanzieri al mondo, capace di scavare a fondo nell’animo umano trovando pozzi neri, vuoti incolmabili e una cattiveria fredda e calcolata quasi a voler intendere che i veri mostri non sono i vampiri, i fantasmi o le auto possedute, ma noi stessi.

 

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

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