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Lasciare tutto e partire:
la storia di Lia, dalla Puglia
alla scoperta del mondo

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7 minuti di lettura

di Silvia Franco

«Vedi Mial, nel tempo che abbiamo trascorso viaggiando è cambiato qualcosa,
qualcosa a cui dovrò pensare molto seriamente. Io, non sono più io,
perlomeno non si tratta dello stesso io interiore.
C’è tanta ingiustizia».

(I diari della motocicletta)

Lia Muscogiuri, "Brighella" per gli amici
Lia Muscogiuri, “Brighella” per gli amici

Ci sono dei viaggi che cambiano totalmente la visione della vita, viaggi che annientano i pregiudizi, viaggi che mettono alla prova e fanno emergere delle risorse che non si credeva di avere. Cosa succederebbe se avessimo il coraggio di lasciarci tutto alle spalle, la quotidianità, il lavoro, la casa, le persone care, la città in cui viviamo, per vivere quel tipo di viaggi (anche se si hanno pochi soldi)?

È il 2012 quando la pugliese Lia Muscogiuri, classe 1987, decide di lasciare il suo lavoro da informatica presso una grande azienda di Milano. Il lavoro da programmatrice inizia a diventare monotono e quasi del tutto privo di rapporti interpersonali, «oltre a star dietro ad uno schermo cosa so fare?» inizia a chiedersi Lia. Il suo sogno è visitare Cuba, teatro della rivoluzione attuata da Che Guevara.

Così Lia prende da sola un volo per Las Palmas, nelle Canarie, con l’intento di arrivare a Cuba attraversando l’Oceano in barca. La sua idea iniziale è di star via circa un anno, con un budget di circa 1000 euro. «Molti dicono che vorrebbero viaggiare ma che non lo fanno perché non hanno la disponibilità economica, in realtà viaggiare con pochi soldi è possibile. Il primo mese e mezzo a Las Palmas ho lavorato come ragazza alla pari in un ostello: io lavoravo e loro mi offrivano un alloggio, ho imparato a fare molte cose. In ostello ho conosciuto diversi ragazzi che per permettersi l’alloggio giorno per giorno facevano spettacoli di strada o creavano oggetti, ad esempio un ragazzo suonava l’ukulele, un altro realizzava orecchini».

Tuttavia l’obiettivo di Lia non è quello di restare a Las Palmas, ma di imbarcarsi per i Caraibi e Cuba, praticando il boatstop, una sorta di autostop in barca. Inizia così a cercare un imbarco e nel frattempo conosce il francese William, 47 anni, un ex manager che ha deciso di lasciare il suo lavoro in Slovacchia per girare il mondo come capitano sulla sua barca. Dopo essersi frequentati per una settimana e trovandosi subito in sintonia, William chiede a Lia di unirsi al suo equipaggio, destinazione Caraibi.

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«Ho imparato a vivere sulla barca: cucinavo con pochissima acqua, facevo i turni di guardia, pulivamo e cucinavamo il pesce pescato da William».

Arrivati ai Caraibi, Lia decide di separarsi da William e dal suo equipaggio. Non sa dove dormire, ma riesce a trovare un’altra barca con equipaggio italiano con il quale trascorre un altro mese e mezzo, contribuendo alle spese per i viveri e il petrolio, sebbene alla fine il capitano rifiuterà i suoi soldi, dicendole che serviranno più a lei per continuare il suo viaggio.

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«I Caraibi non sono così idilliaci come si pensa: tutta la ricchezza è concentrata sulle coste per i turisti, in realtà la popolazione del luogo è povera, sia economicamente che culturalmente, almeno nella parte non francese».

Anche ai Caraibi Lia si è guadagnata da vivere lavorando come ragazza alla pari per gli ostelli e per aziende dedicate alla pulizia e alla riparazione degli yacht, inoltre la pesca e la frutta fresca rappresentano una buona fonte di sostentamento. La separazione da William tuttavia dura poco, ed insieme riprendono il viaggio in barca verso Cuba. «Dicono che la barca ti unisce oppure ti separa per sempre!» dice ridendo la ragazza.

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Nel loro caso, è prevalsa la prima opzione: William e Lia si sono sposati il 26 settembre 2015, nell’amata Puglia, durante la festa del matrimonio agli invitati sono stati forniti dei cappelli da capitano e dei nasi da clown, per ricordare il primo incontro fra Lia e William il capitano, durante il quale lei stava facendo giocolieria con gli amici sul pontile del porto.

Il viaggio di Lia è così proseguito accanto a William dal 2012 fino ad oggi,
trascorrendo un intero anno in barca nell’Oceano Atlantico, non senza
imprevisti.

«A gennaio 2013 a Cuba, mentre eravamo in barca, ci siamo imbattuti in un ciclone. È stata la volta in cui ho avuto più paura in vita mia. Abbiamo cambiato rotta e invece di cinque giorni ne abbiamo impiegati 17 per arrivare alla nostra meta. William nel momento critico mi rassicurava, ma dopo ha ammesso che è stata una delle situazioni più pericolose in cui si sia mai trovato!».

Dopo la traversata oceanica, i due tornano in Puglia, a San Pancrazio Salentino, nel dicembre 2013 per festeggiare il Natale assieme alla famiglia di Lia. Tuttavia dopo un mese Lia e William sono di nuovo in viaggio, anche stavolta con pochi soldi, alla volta dell’Europa dell’Est: Slovacchia, Ungheria, Polonia, Auschwitz, Cracovia sono le nuove mete.

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«Dopo un mese in Ungheria il mio rispetto nello sguardo che si ferma a guardare l’Est non è più lo stesso. Ho conosciuto i mille angoli di una Budapest sempre in movimento e sempre silenziosa. Ho respirato l’aria di un piccolo paesino dove si cammina per 12km al giorno per andare a raccogliere le erbe e al bar ti offrono il caffè ogni mattina perché sei straniero. Ho imparato che ci sono famiglie che ti danno un passaggio di 200km solo perché tu possa continuare il tuo cammino. E continuare a credere nelle persone. L’Ungheria è stata una sorpresa. Uno di quei posti che si insinuano umilmente nell’anima e poi non vanno più via».

In Slovacchia hanno ovviato al problema del pernottamento grazie al couchsurfing: «È un sito che ti permette di trovare ospitalità presso la gente del posto. Sono persone che mettono a disposizione il loro divano o un posto letto gratuitamente, così avviene un vero e proprio scambio culturale: tu conosci la cultura della gente che ti ospita e loro apprendono la tua. E’ ovviamente necessario un po’ di spirito di adattamento. In Slovacchia la gente che ti ospita è di tutte le età, ma c’erano molti giovani al di sotto dei trent’anni, già sposati e con un lavoro».

Lia grazie al suo viaggio ha imparato il francese e lo spagnolo, e ha incontrato molte persone lungo la sua strada. «Nei miei primi viaggi ero un lupo solitario. Non parlavo con nessuno e una mia amica mi chiese perché, visto che sono molto solare. Il motivo era che consideravo il viaggio un’occasione in cui staccare da tutto e restare con me stessa. Pensavo di non aver bisogno di nessuno, usavo le guide ed internet per scegliere cosa visitare. Non avevo capito che il vero modo di conoscere un Paese è entrare in contatto con i suoi abitanti, ancor prima di visitare i monumenti. Pian piano mi sono sbloccata e ho conosciuto diverse persone. Molta gente che ho incontrato aveva intrapreso il viaggio per superare la delusione data dalla fine di un amore. C’era un uomo molto singolare, viveva con la moglie israeliana e i due figli in Siberia. Lui lavorava sodo per costruire la casa, ma appena l’ha terminata ha avuto un crollo psicologico. Ha rimandato moglie e figli in quella vecchia e ha dato fuoco alla nuova abitazione, poi è partito. Neanche lui parlava con nessuno, poi sono riuscita a stabilire un contatto con lui, alla fine mi ha regalato un peluche di un lupo, e gli ho detto “ritorna se ti accorgi che quello che hai lasciato è più importante di quello che cerchi”. Vivere alla giornata in viaggio è un’immersione in culture diverse, in altre lingue, in altri cibi» (Lia ricorda con particolar gusto l’entrecote con salsa al frutto della passione e vaniglia).

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«La necessità ti insegna a fare qualsiasi cosa, se non hai una scelta attivi tutti i sensi e cerchi una soluzione. Un giorno mi si è rotto un dente, a me che ero senza soldi è sembrata una tragedia, poi ho trovato un dentista che mi ha visitato gratuitamente. In realtà si incontrano molte più persone del previsto disposte a dare anche senza ricevere. Ho imparato a fare moltissime cose, a Tirano ho imparato a fare la pizza e io ho insegnato a mia volta come prepararla ad un proprietario di un ristorante in Slovacchia in cambio di un pasto gratis, una sera in cui non avevamo nulla da mangiare né soldi!».

Lia e suo marito hanno aperto un ostello a Nitra, in Slovacchia, in un locale che apparteneva a William, che viene gestito da diversi ragazzi per brevi periodi. Il loro sogno è di offrire ai viaggiatori il servizio che vorrebbero trovare loro stessi negli ostelli (“Made by travelers for travelers”, si legge nel sito dell’ostello creato da Lia, che si occupa soprattutto della parte informatica della gestione). Attualmente i due sono di nuovo in viaggio, di nuovo diretti a Las Palma e ai Caraibi.

Dinanzi alla storia di Lia, molti interrogativi possono sorgere spontanei, come ad esempio come si fa a gestire davvero gli imprevisti e le emergenze, se è possibile vivere sempre senza soldi, come l’hanno presa amici e parenti, se si vive felici senza una casa fissa.

«Spesso le persone mi procurano un’ansia che non mi appartiene con certe domande, “e come fai se succede questo?”. Io non ci voglio pensare, se accadrà ci penserò allora. Se inizi a pensare non fai più nulla nella vita. Viaggiando non sempre si incontrano persone con buone intenzioni, ma col tempo impari ad affinare l’intuito, è istinto. Con il mio ex lavoro a Milano spesso a fine mese non avevo più né molti soldi, spesi in affitto e bollette, né tempo di fare quello che mi piaceva. Lavorare tanto avrebbe senso se nel frattempo si mettono da parte un po’ di soldi che uno poi si gode, come era per i nostri genitori. Ma non mi sembra che al giorno d’oggi si riescano a mettere da parte
qualcosa per cui valga la pena».

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«Adesso grazie alla mia esperienza mi sono specializzata nel settore turistico, come nessun master mi avrebbe insegnato. Non ha senso lavorare tutta la vita per comprare la casa e poi a 60 anni non aver tempo per goderseli. Non è stato facile far accettare questa scelta ai miei genitori e ad alcuni amici, che non vengono comunque mai dimenticati, anche se non si condivide la quotidianità con loro. Per un giovane la vita scorre in fretta. Ogni ragazzo ha un sogno, ma non sempre lo insegue anche a causa dei genitori. Tuttavia si deve capire che la vita è nostra, e fra cinquant’anni i genitori non ci saranno più, so che è brutto da dire, ma tu ci sarai, ed essere felice è il modo migliore che hai per ringraziare i tuoi genitori. Ogni volta, prima di partire, telefonavo a mia madre e le dicevo: “Mamma, se mi succede qualcosa sappi che ho fatto tutto quello che volevo fare”».

E sentendo parlare dei suoi viaggi questa minuta ragazza pugliese dai capelli corti e dal sorriso contagioso, animata di un tale entusiasmo, e percependo vivamente la gioia di vivere e la voglia di avventura dai suoi racconti, non si può che essere certi che sia davvero così.

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Altre informazioni e foto sui viaggi di Lia si possono trovare sul suo sito Trotamundos.

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Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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