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Jacopo da Varazze e le agiografie medievali

La «Legenda aurea» di Jacopo da Varazze ne è uno degli esempi migliori. Ma cos'erano le agiografie, diffuse nel medioevo? E perché ebbero tanto successo?

8 minuti di lettura

È tempo di letture autunnali, con le tazze di tè e le copertine infeltrite da anni di fedele servizio. Un romanzetto d’avventura, un pamphlet politico che rimandiamo da tempo, un giallo leggero. Oppure una bella agiografia medievale. Ad esempio la Legenda aurea? Troppo pesante?

L’agiografia, letteralmente “scritto sacro” è quel genere letterario che tratta le vite dei santi, ancora meglio se a tinte fantasy, nato all’inizio della diffusione della cristianità e particolarmente amato nel Medioevo. Se il Cristianesimo si è sparso così largamente in un tempo così ridotto il merito non è stato solo del contenuto del suo messaggio, ma anche della sua presa sulle persone, dell’efficacia comunicativa di chi diffondeva il Verbo: le storie di persone comuni che acquisivano poteri straordinari grazie alla Fede affascinavano gli abitanti dei tempi turbolenti che segnarono il declino dell’Impero Romano d’Occidente, regalando uno spiraglio di possibilità a tutti.

I primi e le prime martiri erano esemplari per la loro capacità di resistere stoicamente al dolore inflitto da chi perseguitava i cristiani delle origini, e se qualcuno era disposto a una simile sofferenza in nome di Cristo, allora quest’ultimo non doveva avere tutti i torti. Raccontare le loro vite, prima oralmente e presto in forma scritta, era una testimonianza straordinaria che circolava tanto rapidamente quanto più era sensazionalistica.

Entro l’inizio del Medioevo il predominio del Cristianesimo era ormai quasi indiscusso e gli autori poterono iniziare a sbizzarrirsi un po’, uscendo dal tema unico del martirio. In un mondo dai confini un po’ più ristretti e misteriosi di prima, gli autori si iniziarono a ispirare a mani basse agli eroi classici dell’Antica Grecia che gli ambienti intellettuali non avevano mai dimenticato, come San Giorgio che uccide un drago come Perseo o i santi Brandano e Colombano che esplorano acque inesplorate come Ulisse, in un misto che faceva storcere il naso ai più ortodossi, salvo poi affermarsi nella grandissima maggioranza dei casi presso il grande pubblico come la “storia ufficiale”. Come per le reliquie, poco importava che le storie fossero veritiere, i superpoteri dei santi erano un simbolo utile a veicolare il messaggio cristiano e a intrattenere i lettori – fattore decisamente importante in un mondo in cui la religione permeava ogni aspetto della vita.

Intorno all’XI secolo poi la procedura per la canonizzazione si uniformò in senso più restrittivo, proprio mentre le vite dei santi avevano bisogno un nuovo slancio perché la Chiesa si era allontanata molto dalle esigenze delle masse di fedeli. Si cercavano miracoli, episodi leggendari che li distinguessero in modo netto dall’esistenza dei comuni mortali, ed era necessario che diventassero esemplari per tutta la cristianità e non solo per i nobili e gli alti prelati che avevano a disposizione le loro biografie in copie splendidamente decorate – e costose. Una grande parte della produzione letteraria si votò quindi alla stesura di agiografie in formati “tascabili”, alla portata di più predicatori: non a caso proprio all’ordine dei frati predicatori, detti anche domenicani, apparteneva uno degli autori più importanti e amati.

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Jacopo da Varazze (in latino Varagine), vissuto tra il 1228 circa e il 1298, ricoprì incarichi tra Lombardia, Piemonte ed Emilia, diventando infine arcivescovo di Genova nel 1292 e partecipando molto attivamente alla vita politica delle città in cui passò. Si pensa che abbia cominciato a lavorare alla sua opera più celebre intorno ai trent’anni, riprendendo la tradizione radicata nel suo giovane ordine. Già dal suo nome la Legenda aurea crea problemi: si tende erroneamente a trascriverla con due G, ma per definizione si tratta di una rubrica, un elenco; il fatto che contenga effettivamente anche molti fatti leggendari è secondario, inevitabile in un’opera che parli delle vite dei santi. La Legenda aurea (di cui qui si trova una delle numerose versioni online open access) contiene un’interessante e ai tempi diffusa visione teologica, in cui Jacopo da Varazze suddivide la storia umana in tre fasi (e il numero non è casuale): una prima fase sconsacrata (a causa del peccato originale), una seconda di riconciliazione con Dio (grazie all’incarnazione di Cristo), una terza di possibile redenzione per l’umanità. In quest’ultima fase l’autore colloca centocinquantatré vite di santi, con l’intento di fornire un modello morale in prospettiva del Giudizio Universale che arriverà implacabile in un futuro non meglio precisato. La Legenda aurea, come ogni libro, dice moltissimo dell’uomo che la scrisse, della sua cultura ed esperienze. La Genova di quegli anni, politicamente dinamica e capitale di un’enorme rete commerciale, era un luogo eccelso per assorbire storie, leggende, modi di pensare, dicerie di chi passava da quelle parti; la città ligure si contendeva ancora con Venezia lo scettro di “porta d’Oriente”, punto di incontro tra il continente europeo e quello asiatico, tra Mediterraneo occidentale ed orientale.

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L’efficacia e la praticità dell’opera, scritta originariamente in latino, la fece tradurre nei vari volgari quasi immediatamente, rendendola il libro che circolò di più in assoluto nel Basso Medioevo, secondo solo alla Bibbia, nonché il punto di riferimento assoluto per chiunque volesse istruirsi sulle vite dei santi. Il successo non si fermò con l’invenzione della stampa, che anzi permise alla Legenda aurea di trovare ulteriore slancio; la battuta d’arresto arrivò piuttosto agli albori dell’Illuminismo, quando si cominciarono a screditare le opere medievali e religiose (e questo capolavoro riuniva ahinoi entrambe le caratteristiche). Gli studi delle ultime generazioni di medievisti stanno permettendo la ripresa degli studi su questo tipo di testi, e non solo in chiave teologica e sacra, dischiudendo nuovamente una finestra, stavolta con una certa sensibilità, sulla complessa e sorprendente religiosità medievale.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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