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Legno e alberi nel Medioevo, tra storia materiale e simbologia

Materia prima per eccellenza, il legno ha avuto per secoli un utilizzo amplissimo. Qual era l'uso e la simbologia di legno e alberi nel Medioevo?

10 minuti di lettura

Il calore di una bella stanza con le pareti e il pavimento di legno ha pochi eguali. Oggetti e materiali realizzati con il legname hanno sempre quel qualcosa in più che ci fanno venire voglia di accarezzarli. Nel Medioevo lo sapevano bene, e non avevano paura di considerare il legno un materiale tra i più vicini all’uomo: come noi il legno nasce, vive una vita unica a seconda d’infiniti fattori ambientali, si può ammalare, muore. È chiaro anche ai meno esperti che sia un materiale dall’utilizzo amplissimo, ma è inevitabile che le tracce archeologiche rimaste siano poche. Perché il legno, come noi, si deteriora e lascia spazio al metallo e alla pietra.

In un continente ricoperto di boschi com’era l’Europa dell’Alto Medioevo gli uomini si rifornivano di legno abitualmente nelle foreste che circondavano i villaggi; la natura, come si suol dire, si era ripresa i suoi spazi dopo la fine dell’Impero d’Occidente (i Romani avevano giocato un ruolo devastante nella deforestazione del continente). Per secoli, grazie ad un uso raramente sproporzionato rispetto al bisogno, la legna dovette sembrare una risorsa infinita, da usare soprattutto nelle costruzioni – il castello di pietra che abbiamo in mente arrivò solo a Medioevo inoltrato -, ma anche nell’arredamento, nell’arte, nelle armi, negli strumenti di qualsiasi tipo e ovviamente come fonte di energia. Più economico, facilmente trasportabile e lavorabile di pietre e metalli, il legno, materiale così semplice, nel Medioevo divenne un protagonista delle civiltà europee.

Con il tempo la popolazione riprese a crescere, e intorno all’XI secolo dissodamenti e deforestazioni tornarono ad essere pratiche irrinunciabili per allargare gli spazi abitabili e soprattutto coltivabili in cui sperimentare nuove tecniche agricole; ma anno dopo anno ci si rese conto che la legna era preziosa e non infinita, e che di quelle foreste decisamente meno selvagge di prima rischiavano di rimanere solo brulle distese spelacchiate. Cominciarono così a fioccare le leggi che tutelavano i boschi e la corsa ad assicurarsene il possedimento. Il metallo e la pietra iniziarono ad affiancare il legno in modo massiccio durante quella che i libri di scuola chiamano ancora Rivoluzione agricola dell’Anno Mille; si trattava tuttavia di sviluppi naturali e nella maggior parte dei casi lineari, e nessuno pensò che fosse finita l’epoca del legname.

Gli studiosi hanno evidenziato come ancora nel mondo bassomedievale esistessero «oggetti, luoghi, consuetudini fatti per il legno, ed altri per la pietra» (Michel Pastoureau). Alcuni sono rimasti meravigliati dall’incendio dell’aprile 2019 al tetto della cattedrale di Nôtre Dame di Parigi, credendola un edificio di nuda pietra; in realtà tra gli elementi perduti per sempre c’è anche una splendida intelaiatura duecentesca in legno, tenuta nascosta dalla roccia. E così è per migliaia di edifici che sono solo apparentemente privi di elementi lignei.

Il legno, dicevamo, non è freddo cemento. Il peso culturale di un materiale così presente in ogni elemento della vita è enorme. Prima di tutto, i lavori legati al legno erano semplici ma amati, nelle convulse città dalle produzioni molto differenziate avevano il merito di creare pochi rifiuti, peraltro utili e rapidi da smaltire; non dimentichiamo che tradizionalmente il padre di Gesù era un carpentiere. Per lavorare il legno servono relativamente pochi strumenti e pratiche semplici, diverse da quelle utilizzate ad esempio per il metallo, materiale altrettanto utile ma dall’aura leggermente inquietante: è necessario estrarlo, spesso da zone buie e anguste, e per lavorarlo serve il fuoco. Il legname era anche una preziosa merce di scambio con quelle aree in cui era carente, quindi occasione di arricchimento e di contatto.

Non tutti i legnami, però, sono uguali. Il Medioevo, nella sua eredità mista tra greco-romana, biblica e barbarica, dava attributi ben precisi ad ogni albero e quindi al legno che da esso si poteva ottenere, in forme più o meno complesse. Gli studi sulla storia materiale sono ancora purtroppo pochi e a volte addirittura trascurati dalle alte sfere delle accademie, ma da alcuni lavori quasi di nicchia si possono trarre spunti interessanti. Ci sono alberi che anche ai meno esperti risultano importanti: la quercia, simbolo di forza, longevità, maestosità; il pino, per la sua lavorabilità e versatilità; olivo e castagno, fondamentali con i loro prodotti capaci di mantenere vive intere comunità.

Tra gli alberi “minori” non sorprende la fama impeccabile del tiglio, quello dei viali alberati. Era già nota la qualità del miele prodotto dalle api che si rifornivano sui suoi fiori, gli stessi che erano ampiamente utilizzati per le loro straordinarie proprietà mediche; con il legno di tiglio si costruivano come oggi strumenti musicali (forse ricordando anche il ronzio delle api) e attrezzi, e dalla corteccia addirittura un tessuto. Con il legno di betulla si realizzavano le bacchette dei maestri, le verghe per flagellare gli indemoniati e in alcune culture le torce nuziali: questo albero aveva infatti una simbologia di rinnovamento, purificazione e resistenza, dovuta certamente all’efficacia medica dell’olio ricavato dalla sua corteccia, ma anche alla sua corteccia bianca, alla capacità di essere tra le prime piante a crescere su terreni impervi e in diverse condizioni ambientali. Nelle religioni germaniche poi il frassino ricopriva un ruolo importantissimo, di mediatore tra mondo divino e mondo terreno, anche grazie alla sua fama di attrattore di fulmini: forse proprio perché il suo legno resistente veniva utilizzato per realizzare armi da lancio. Stesso utilizzo per il legno di tasso, che però assumeva caratteristiche negative. È una pianta che cresce su terreni spesso disprezzati dalle altre, un sempreverde anomalo e lontano dalla maestosità del pino e dell’abete: ha insomma in sé qualcosa di quasi diabolico, testimoniato dal soprannome di «albero della morte» in italiano e di Todesbaum in tedesco. È inoltre velenoso in pressoché tutte le sue componenti, una pianta perfetta per portare la morte.

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Sembra quindi che nel Medioevo le caratteristiche della pianta, negative o positive, trovano corrispondenza nel suo significato simbolico. Ma sarebbe troppo semplice così. A distruggere il quadro perfetto arrivano casi come quello del noce: le sue radici sono tossiche al punto d’isolarlo dal resto della vegetazione, e forse per questo si considerava portare sfortuna il passarvi sotto; ma i suoi frutti erano fondamentali per l’alimentazione e il suo legno apprezzatissimo per l’arredamento.

Ci viene quindi da chiederci come si comportassero le persone attorno a questa pianta: paura? indifferenza? Forse il ruolo simbolico dell’albero e del suo legno nel Medioevo era rilevante solo per chi ci aveva direttamente a che fare o per gli studiosi, e la maggioranza delle persone non si preoccupava troppo di queste cose. Oppure le differenze locali, da paese a paese, renderanno per sempre impossibile costruire un quadro completo e unitario per tutta l’Europa.

L’unica conclusione decisiva che si può trarre è che di certi argomenti storici si parla ancora troppo poco, nonostante siano costantemente davanti agli occhi degli studiosi. Forse proprio l’età del multiverso e delle realtà virtuali ci darà l’occasione di riscoprire anche la materialità del mondo che circonda noi e che circondava i nostri antenati, con l’auspicio che impareremo a trarre sempre il meglio dai mondi che abbiamo la fortuna di vivere.  

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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