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Andrea Pazienza
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L’erotismo burlesco di Andrea Pazienza

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8 minuti di lettura

C’è un sottile erotismo nei lavori di Andrea Pazienza, che avrebbe da poco compiuto sessant’anni se la vita non avesse deciso di portarselo via ancora giovane e pieno di cose da dare. Come l’arte innanzitutto, fiducia nella matita intesa come mezzo dispensatore di bellezza al pari del pennello e capace di passare con disinvoltura dai personaggi impressionisti alle copertine dei dischi, dai tocchi quasi rembrandtiani alle strisce geniali e irrispettose. Ma anche sfrontatezza, forza vitale, capacità di dissiparsi consapevolmente e fuori da ogni schema, portando dal sud l’energia che lo contraddistinse tra le fila del DAMS di Bologna pullulante di giovinezza armata di futuro, quella della generazione ’77 che lo vide prendere il volo verso la mitizzazione.

Andrea Pazienza
Andrea Pazienza e la moglie Marina Comandini
foto: Isabella Damiani
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Incatalogabile e dissacrante, Pazienza amava le donne e non ne faceva un mistero. Famoso lo scherzo con cui gli amici e compagni Filippo Scozzari e Stefano Tamburini vollero farlo “scaldare” vantando una presunta liaison con Donatella Rettore; Andrea non poteva proprio sopportare che l’avessero sedotta senza di lui. Estasiato da Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi, il fumettista di San Benedetto del Tronto concepiva la bellezza femminile come qualcosa di inebriante, destinato a correre a ritmi diversi sui binari del dionisiaco e dell’apollineo:

«In me scattano certi meccanismi laidi se parliamo di femmine. È fantastica, è veramente stupenda, la femmina è meravigliosa, io ho una grossa partecipazione erotica a ciò che mi succede intorno; proprio perché è così scatenata, non vale la pena di stare a descriverla per esteso» e ancora «Donna è la mia ragazza, donna è mia madre e ti dico che riposare una testa sconvolta in un grembo conosciuto e amato è quanto di più bello sia dato da vivere a un uomo dopo la sorgente del Rio delle Amazzoni».

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La sua felice ossessione per la bellezza femminile irrompe con forza nel volume edito da Fandango libri Pazeroticus, dove i lavori di Pazienza sono legati tra loro dal sottile eppur esplicito filo rosso dell’eros. L’introduzione è di un altro grande del fumetto italiano, quel Milo Manara rappresentante indiscusso della sensualità di carta. È lui a guidarci nell’universo erotico di Paz, sempre ironico e sui generis nel rappresentare un mondo in cui il sesso è buffo e persino burlesco, pur mantenendosi su livelli di alta figuratività.

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Manara si sofferma su un disegno di Andrea Pazienza in cui due giovani sono avvinghiati in una pratica erotica, con lei che pratica una fellatio lasciando sfuggire all’amante il sospiro erotico di «Santa…santa». La maglietta di lui è alzata, la testa si sporge a vedere la fonte di tanto piacere, quasi a non voler credere che un simile livello di godimento possa esser possibile. La mano sinistra è avvinghiata al lenzuolo, la destra è sospesa nell’incertezza di poggiarla o meno sulla testa della donna; un normale momento di sesso orale tratteggiato con semplicità e tratto deciso. Ad attirare l’attenzione di Manara è però un particolare, ossia l’esclamazione dell’uomo: «Solo un ragazzo così giovane può lasciarsi sfuggire un’ammissione del genere. Qualsiasi adulto si guarderebbe dal riconoscere a lei quella dimensione divina, quel potere tanto soverchiante». Aggiunge poi: «Possibile che ci sia tutto questo nel disegno? Sì, cari, c’è».

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E passa ad analizzare un altro disegno, quello in cui una donna nuda, possente, si trova a gambe spalancate con il sesso ben in vista, mentre un omino piccino (spogliato, ma con ancora le scarpe) scivola su di lei tentando di resisterle, mentre la strada spianata verso le parti del godimento lo rendono minuscolo e ridicolo insieme. Lei lo sa, e lo guarda con un sorriso beffardo, consapevole del suo potere e dell’arma di seduzione su cui normalmente siede ogni giorno. C’è uno squilibrio tra i due, un rapporto di forza sbilanciato che vede un vincitore e un vinto sui fronti opposti di genere, come un gioco delle parti già stabilito.

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Non è una novità nella produzione di Andrea Pazienza, dove l’asimmetria tra i generi si esprime nelle differenze anatomiche e negli sguardi dei personaggi, con le donne morbide e bianche, spesso chiuse o perse in se stesse di contro ai coriacei e pelosi corpi dei maschi, spesso rappresentati come sciocchi comprimari. Per esplicitare ciò, Manara si sofferma su due splendidi disegni, realizzati con incredibile perfezione.

Il primo rappresenta due amanti abbracciati a letto, probabilmente dopo l’amore. Lui guarda lei, con uno sguardo di dedizione misto ad ottusità che sembra essere necessario accompagnamento di quella barba ancora da fare o delle sopracciglia troppo folte. Gli occhi della ragazza sono invece persi chissà dove, le sue mani si tormentano le dita poggiate sui seni. Una lacrima le cola dall’occhio, mentre lui chiede «A che penzi?» segnando con quella zeta una distanza incolmabile tra il mistero di lei e la stoltezza di lui.

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L’altro vede una ragazza schiacciata contro il muro, mentre l’amante la spinge con una sorta di furor incontrollabile e la scritta in basso ci viene incontro a caratteri maiuscoli urlando: «Placcata!». I due sono impermeabili l’uno all’altra, lui posseduto dalla cieca libidine, con la mano stretta ad agguantare il gluteo dell’amante mentre lei, inerte, poggia una mano sul suo petto nell’intenzione di tenerlo a distanza, senza tuttavia opporsi del tutto, nel tentativo, come dice Manara, di farlo venire in fretta così che tutto finisca. Le lingue sono aggrovigliate tra le bocche innaturalmente spalancate, in quello che più che un bacio sembra una lotta, mentre le gambe di lei quasi paiono ciondolare in un abbandono che sa di resa. Non c’è più asimmetria ma vera e propria incomunicabilità.

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Una solitudine di chiusura che si palesa anche in un altro disegno, quello dei due compagni di banco; lei è intenta a studiare geografia mentre con la mano destra, sotto il banco, masturba l’amico che trasecola, sconvolto dalla capacità delle donne di fare più cose contemporaneamente. È tenerezza, è passione, è irriverenza allo stato puro. Oppure, semplicemente, come dice Manara: «È Pazienza, bellezza».

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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