Come mostrato, in modo brillante, nell’articolo apparso qualche settimana fa sul nostro giornale, Le tasse ai tempi della propaganda: tra evasione ed elusione: a guadagnarci sono sempre i grandi capitali, uno dei problemi cruciali, legati alla crisi finanziaria del 2008-2009 d’Europa, è indubbiamente l’elusione fiscale, ossia il comportamento del contribuente che, approfittando della complessità delle norme fiscali, riesce a sottrarsi alla tassazione senza cadere nell’illegalità.
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Per capire meglio di che fenomeno si tratti e di come esso sia strettamente legato alle evoluzioni recenti dell’economia di mercato, possiamo prendere in considerazione le analisi di Saskia Sassen, nel suo Le città nell’economia globale.
La sociologa americana illustra in modo preciso come il capitalismo contemporaneo sia, in primo luogo, caratterizzato dalla cosiddetta economia dei servizi, di cui le città globali sono un interessante laboratorio di sperimentazione e una fedele cartina al tornasole. In esse possiamo osservare il proliferare di studi legali con competenze molto specifiche, come la revisione e organizzazione contabile, che lavorano al servizio delle grandi multinazionali. Esempi celebri sono le cosiddette Big Four: KPMG, Pricewaterhouse Coopers, Deloitte & Touche e Ernst & Young. La specializzazione dell’economia determina quindi un diverso approccio del consumatore con il fisco. Essi, di fatto, si trovano ad essere separati da un oceano di norme, estremamente complesse, le quali, proprio in virtù di suddetto status, diventano accessibili, quindi sfruttabili, solo da alcuni, mentre svantaggiano altri. Il piccolo contribuente si trova senza gli strumenti per poter comprendere i modi di funzionamento del sistema e contemporaneamente la sua passività si traduce in impossibilità di beneficiarne. D’altra parte, i “grandi” contribuenti, che possono permettersi costose consulenze, hanno tutte le carte in regole per nuotare comodamente nel sistema medesimo.
Non solo, ma il potere economico delle multinazionali permette a queste ultime di avere un buon esercito di lobbysti, i cui uffici, a Bruxelles, sono abbastanza vicini alla sede dove il famoso “oceano giuridico” viene creato e modificato e quindi possono avere un’influenza elevata nelle sedi delle decisioni politiche. I partiti politici hanno sempre dichiarato il loro sostegno ai piccoli contribuenti e, soprattutto l’Italia, durante il semestre europeo, ha annunciato battaglia all’Europa dei tecnocrati e dei lobbysti. Come spesso accade tuttavia, tra il dire e il fare, ci sono appunto gli interessi del grande.
Infatti, il 29 Aprile, sotto il silenzio dei media troppo impegnati a celebrare l’imminente inaugurazione dell’EXPO e a dimenticare le celebrazioni del primo Maggio, le lobby finanziarie hanno vinto di nuovo. Il Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, ha dato il via libera a una norma che invece di regolamentare in modo severo il cosiddetto “sistema bancario ombra” – come richiesto dal Financial Stability Board e dal Comitato Europeo per il Rischio Sistemico – finisce per introdurre solo requisiti marginali, troppo blandi rispetto al rischio che le “banche ombra” rappresentano per i mercati finanziari.
Nello specifico la norma riguarda un particolare tipo di fondi monetari, i Constant Net Asset Value Money Market Funds (CNAV), fondi con valore patrimoniale netto costante, utilizzati da grandi imprese e investitori istituzionali per parcheggiare la loro liquidità e finanziarsi nel breve periodo. Formalmente si tratta di fondi d’investimento che però, grazie a un diverso sistema di contabilizzazione delle quote, funzionano a tutti gli effetti come depositi bancari, senza dover sottostare alle norme e alle autorità di vigilanza previste per le banche né a garanzie sui depositi.
Già nel 2013, l’ex commissario europeo per il mercato interno e i servizi finanziari, Michael Barnier, aveva sottoscritto la proposta di sottoporre a normativa bancaria i CNAV, ai quali era anche richiesto di accantonare un cuscinetto pari al 3% del patrimonio. La proposta, sostenuta fortemente da Germania e Francia, è stata però ostacolata da Inghilterra, Lussemburgo e Irlanda, i quali sono riusciti a far togliere solo una minima parte dei CNAV e a non far inserire il cuscinetto. L’obiettivo delle lobby è stato così raggiunto e la norma, dovutamente annacquata, è passata con il 70% dei vori del parlamento. Nella compagine italiana – fatta eccezione di Sergio Cofferati e Ely Schlein – il Partito Democratico, targato Renzi, non ha fatto che votare compatto a favore, confermando la sua ormai vocazione neo-liberista e palesemente a favore delle élite.
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Le banche ombra potranno continuare così ad agire in modo indisturbato e la forbice sociale proseguirà, in modo inesorabile, ad ampliarsi, mettendo sempre più in crisi un sistema democratico, che lentamente vive la sua fine agonizzante.
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