di Mattia Marasti
Negli scorsi giorni il panorama politico è stato lacerato dall‘affaire Banca Etruria, che ha portato alla mozione di sfiducia, presentata dal Movimento 5 Stelle, per Maria Elena Boschi. Il padre di questa, Pierluigi, era stato vicepresidente della banca, e anche il fratello, Emanuele, aveva lavorato per questa, fino ai primi mesi del 2015. Particolari che hanno provocato l’ira delle opposizioni. Una sorta di canto funebre si è alzato da quei banchi, che hanno visto in queste coincidenze un conflitto di interessi. In aula, Maria Elena indossa una giacca elegante scura. Porta i capelli sciolti che le cadono sulle spallucce.
Il suo intervento dura all’incirca 17 minuti. Se uno lo ascolta, così, mentre va a lavoro o dopo esser tornato a casa, mentre mangia, allora non avvertirà molto. Certo, si accorgerà che il suo è un discorso ben costruito, ma nulla di più. Fermandoci un attimo però notiamo una serie di particolari che rendono il discorso della Boschi un vero e proprio capolavoro.
L’inizio è folgorante: dopo appena qualche secondo la Boschi innalza subito il livello con una serie di domande retoriche che fanno da fondamenta all’intera critica rivolta alla sua famiglia. Domande retoriche che, come già pensava Cicerone, contribuiscono a conferire all’orazione, perché di questo si parla, un tono aulico. Ma non basta il tono aulico: oltre a questo, la Boschi dimostra una particolare grazia e finezza nell’esposizione, diversamente da Alessandro di Battista, suo avversario.
Quella che in letteratura latina e greca è la narratio, ovvero la narrazione dei fatti, è invece caratterizzata da una chiarezza espositiva che ricorda molto da vicino Lisia, retore e logografo greco. In mezzo alla narrazione, si notano anche due caratteristiche, pure queste riprese dai classici: da una parte la modestia, che caratterizza il racconto della vita del padre, e che funziona a livello emotivo. Dall’altra però c’è un vero colpo di genio: si tratta dell’amplificatio, una tecnica latina che consiste nel bypassare il particolare e arrivare a un concetto quanto più universale. In questo caso, la Boschi la utilizza per affermare che, visto che il governo non avrebbe assolutamente favorito né lei né la sua famiglia, allora questo governo, in linea di massima, non sarebbe un governo di favoritismi, spendendo così parole non per il suo caso, bensì per la situazione generale del governo di cui fa parte.
Nel finale, inoltre, l’utilizzo di anafore contribuisce ancora una volta a smuovere gli animi dei presenti in aula. La Boschi dimostra di aver assimilato, durante gli anni, la lezione ciceroniana, il che, come dicevamo prima, rende la sua esposizione convincente, quasi spettacolare, dal punto di vista retorico.
Da notare, inoltre, la particolare calma con cui essa espone i fatti narrati, senza alzare mai il tono di voce, se non durante i passi più concitati. A questo è da aggiungere la gestualità, anche questa sobria e mai confusionaria.
L’intervento di Di Battista invece risulta l’esatto contrario. Per chi fa letteratura latina si potrebbero azzardare paragoni con i rhetores latini. L’intervento di Di Battista è improntato all’accusa ma, questa foga con cui lo pronuncia, rende l’insieme confusionario e aggressivo, per nulla persuasivo. Coloro che seguono Di Battista o che hanno seguito l’intera vicenda come fosse una guerra civile, avranno sicuramente apprezzato la foga e la rabbia espressa dal pentastellato.
In un paese che per anni ha lamentato il “politichese” e che sempre di più ha esasperato una contrapposizione tra un linguaggio del “volgo” e uno specialistico, utilizzato appunto per imbrogliare la “povera gente”, l’idea che l’oratoria e le conoscenze retoriche siano vane è abbastanza diffusa.
Quello che l’altro giorno ha dimostrato la Boschi è invece che la persuasione e le capacità oratorie resteranno ancora per molto tempo dei capisaldi della politica.
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