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La maschera in Africa, ovvero: connettersi con gli antenati

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Da sempre la maschera è stata un oggetto fondamentale nella vita culturale dell’uomo: nei teatri, ai carnevali. Si tratta anche di un oggetto che – in alcune culture – ha una valenza religiosa e simbolica. L’etimologia della parola “maschera” deriva dal termine latino tardomedievale màsca, si può attestare nell’editto del Re Longobardo Rotari (643 d.C): Strigam, quod est Masca. In questo caso, però, si parla di una strega (strigam) che divorava gli uomini. Un significato presente ancora in Piemonte e in alcune parti d’Italia. L’uso della maschera, sin dai primi tempi del Paleolitico, è stato attestato per l’utilizzo di pratiche rituali e magiche: le pitture rupestri del Sahara, per esempio, rivelano come fosse usata per rituali antecedenti la caccia.

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In generale molte culture nei diversi contesti storici hanno impiegato, chi più chi meno, delle maschere: basti pensare allo sciamanesimo in cui la maschera doveva rappresentare gli spiriti familiari. L’uso più diffuso della maschera, tuttavia, è quello teatrale: ricordiamo brevemente le meravigliose e inquietanti maschere del teatro Nō giapponese, sorto verso il XIV secolo. Le maschere nipponiche rispecchiano anche lo stile scultoreo buddhista e shintoista tipico della loro storia: i volti trasmettono inquietudine, gli occhi sono due fessure profonde che fissano lo spettatore. La maschera giapponese, infatti, può incarnare lo spirito del defunto, oppure rappresentare entità superiori, mantenendo una funzione mediatrice. 

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Ora spostiamoci nelle calde e verdi terre dell’Africa, con i suoi grandi laghi, le sue meravigliose foreste, le sue immense savane. L’Africa è spesso al centro di dibattiti che concernono l’ambiente, la politica, la situazione umana delle popolazioni più povere. Si tratta di tematiche fondamentali, di una terra a cui è stata risucchiata la linfa vitale, questo sin dal primo periodo coloniale. Ma l’Africa è molto più di tutto questo, ha moltissimo da dire a livello culturale, nonostante non se ne parli mai abbastanza. Con questo contributo si darà uno “spaccato” delle culture tradizionali africane, ma è necessario fare prima alcune premesse. Cosa s’intende con “culture tradizionali”? Si parla di culture che sono “sopravvissute” all’esperienza coloniale africana, culture che hanno mantenuto le loro credenze e la loro struttura nonostante la diffusione del cristianesimo e dell’islamismo. 

Quali sono le fonti principali usate da chi si occupa di arti e culture africane? Si tratta principalmente di fonti coloniali, ossia dei diari e delle relazioni lasciate dai missionari (e antropologi) britannici e francesi durante le loro visite in queste lontane terre. Bisogna fare attenzione: le fonti coloniali vanno trattate con le “pinze”, gli africani non hanno mai avuto modo di parlare veramente di sé stessi e delle loro culture, se non in rarissime eccezioni, spesso poi distorte da coloro che ne riportavano i dialoghi per iscritto: famosissimo è il caso dell’antropologo Marcel Griaule e del suo testo Il Dio d’Acqua in cui intervistò il saggio Ogotemmêli sulle tradizioni della popolazione Dogon del Mali; un resoconto decisamente affascinante, ma non è difficile capire che molte informazioni sono state riscritte dallo stesso Griaule. Durante la sua famosa spedizione “Dakar-Gibuti” sono infatti stati rinvenuti dei “diari di bordo” (come quello del surrealista Michel LeirisAfrica fantasma) in cui si facevano presenti dei metodi poco ortodossi per carpire e raccogliere testimonianze, dal momento che era necessario portare oggetti ai nuovi musei etnografici che stavano nascendo proprio in quel periodo. 

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Tutto questo è per dire che purtroppo le fonti sono limitate, quindi ciò che noi sappiamo sui rituali e sulle usanze deriva da “europei” che hanno viaggiato e studiato queste popolazioni: le informazioni passano, cioè, per un “filtro” occidentale. Da persone occidentali, spesso, è difficile comprendere il modo di pensare e la filosofia delle culture tradizionali africane, poiché si tratta di modi di vivere totalmente opposti. L’operazione “filosofica” e “antropologica” che deve mettere in atto chi decide di studiare queste culture è tentare di mettere da parte il proprio bagaglio culturale e spogliarsi della veste di “cittadini europei”; sembra facile detta in questo modo, ma è molto più complicato di quanto si creda. 

Tornando alle culture africane, qual è la specificità estetica della maschera? Essa rappresenta un medium tra il mondo dei vivi e il mondo dei defunti, ossia degli “antenati”. Indossare una maschera significa rappresentare gli spiriti degli antenati o, in caso contrario, gli spiriti delle religioni tradizionali africane, legate indissolubilmente alla natura e al paesaggio che li circonda. Le maschere sono usate quindi in precisi rituali agricoli per richiedere alle divinità un buon raccolto, oppure in cerimonie pubbliche nei riti d’investitura dei capi tribù. I tratti estetici sono abbastanza omogenei, anche se esistono più tipologie di maschere: i volti sono molto marcati, il viso è sempre rivolto in avanti, gli occhi sono profondi (spesso delle fessure) e l’espressione è fissa poiché deve rimandare ad una possessione spirituale. 

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Il materiale utilizzato è sempre naturale: legno, argilla, pelle o tessuto. La colorazione è anch’essa naturale, viene impiegato il carbone vegetale e altre fibre sempre vegetali.

Le linee spezzate e la marcata geometrica dei volti vogliono trasmettere il tipo di vite vissute dagli antenati: piene di ostacoli e tortuose. Per rappresentare invece gli spiriti, le maschere si fanno ancora più astratte e l’estrema difformità delle linee dei volti è l’unica soluzione possibile. 

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Per concludere, si ricorda come le maschere africane ispirarono moltissimo l’arte del primo ‘900: si tra i maggiori artisti che rimasero folgorati dai volti africani quando furono esposti le prime volte ci furono, come è noto, Picasso e Modigliani. Questo si ravvisa soprattutto nel “periodo geometrico” e nei volti dei dipinti di Picasso, estremamente simili alle maschere. Ecco qui di seguito, a sinistra, il volto di una maschera, a destra un ritratto della stessa di Pablo Picasso.

Tutto ciò testimonia quanto l’Africa sia colma di ricchezze, non solo di materie prime o minerali, ma di pitture, sculture e arti, di una cultura che indica come sua essenza costitutiva il tempo lontano che collega il presente al passato, noi e i nostri antenati.

Giulia Arcoraci

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