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A Milano i personaggi di Jannacci
prendono vita nelle tavole
di cinquanta artisti italiani

8 minuti di lettura

Enzo Jannacci si distingue per essere sempre stato il cantore delle realtà sociali che non fa piacere vedere in una città come Milano. Ma è proprio a Milano che vivono gli eroi delle sue canzoni. In omaggio al grande cantautore, la città ospita una mostra che è insieme un’occasione per ricordarlo e un bell’esempio di soldarietà.

Locandina Jannacci

Già nel 2013 Wow-Spazio Fumetto di Milano aveva ospitato la mostra La mia gente. Enzo Jannacci, canzoni a colori, attirando migliaia di visitatori. Ora, come avevamo scritto in precedenza, si è voluto replicare questo successo con Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori, curata da Davide Barzi e Sandro Paté, organizzata da Scarp de’ tenis e Caritas Ambrosiana insieme al Comune di Milano e con il sostegno di Fondazione Cariplo, Etica sgr e Wow-Spazio Fumetto. L’idea – che aveva già mosso il progetto del 2013 – è quella di far rivivere i brani del cantautore milanese su carta e con tanto di colori. A più di cinquanta fumettisti, illustratori e artisti italiani è stato affidato il compito di realizzare una tavola originale a partire da un brano del repertorio jannacciano, in modo da tradurre su carta gli stralunati personaggi e i surreali bozzetti che ne sono i protagonisti. La mostra rimarrà fino al 15 gennaio nella sala conferenze della Raccolta delle Stampe “A. Bertarelli” del Castello Sforzesco.

Gli artisti hanno donato gratuitamente le proprie opere, che il prossimo 1 febbraio saranno battute all’asta dalla casa d’aste milanese Porro & C. Il ricavato verrà in parte per l’accompagnamento delle persone senza fissa dimora e in parte alla rivista Scarp de’ tenis, il «giornale di strada sul web» sostenuto da Caritas Ambrosiana che offre opportunità di lavoro e reinserimento sociale per le persone in situazioni di povertà. Un’iniziativa che il medico-cantautore, insieme al suo «barbun che’l parlava de per lu», avrebbe certamente apprezzato.

Ma chi è la «gente d’altri tempi» cantata da Jannacci e filo conduttore della mostra? Per rispondere con le sue stesse parole, è «… qualcuno che è rimasto legato a dei momenti fatti di felicità, paura, odio, fame, spari… ecco! Gente d’altri tempi. Meno male che… che c’è ancora un po’ di gente che… vive quando vive, mangia quando può e dei telequiz e degli odiens non gliene frega niente». Sono gli amici Giorgio GaberSergio Endrigo, Cochi e Renato, Dario Fo e, più avanti, Renato Pozzetto, Bruno Lauzi e Paolo Conte (che ha firmato una delle 52 tavole). Ma sono, più in generale, tutti coloro che hanno voglia di impiegare qualche minuto ad ascoltare le storie di qualcuno che forse non sarà mai famoso, ma ha molto da raccontare; gente come gli artisti che hanno prestato la loro opera, ascoltando e disegnando queste storie.

Tra le prime tavole, naturalmente, trova posto il senza tetto con «i scarp del tenis», che ha ispirato il nome della rivista. El portava i scarp del tenis racconta le peripezie di un clochard dagli occhi buoni che ha per dimora lo stradone che porta all’Idroscalo; il brano è stato affidato al fumettista Silver, pseudonimo di Guido Silvestri, noto soprattutto per essere il papà di Lupo Alberto. E la sua tavola, una china su cartoncino con colazione in digitale, ha proprio per protagonista Lupo Alberto, appollaiato su una falce di luna, che indossa – neanche a dirlo – un paio di scarpe da tennis.

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Paolo Barbieri, La sera che partì mio padre

Le opere, realizzate con diverse tecniche, spaziano tra i più diversi stili. Una delle più toccanti è sicuramente quella realizzata da Paolo Barbieri – noto, tra le altre cose, per aver disegnato le copertine dei romanzi di Licia Troisi – al quale è stato affidato uno dei testi più emozionanti di Jannacci: La sera che partì mio padre. La tavola dai colori molto caldi e dai tratti non ben definiti riesce a rendere perfettamente l’amarezza del cantautore mentre racconta la storia di un padre (non il suo, che tuttavia ha ispirato il brano), partito per la guerra e mai più tornato.

«La sera che partì soldato
gli dissero di non sparare
che era solo roba di leva militare
bastava soltanto dire: “altolà!”

La sera che arrivò mia madre
che lo vide bianco senza più respirare
aveva in mano il telegramma
medaglia d’oro per l’altolà».

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Giuseppe Quattrocchi, Il bonzo

Tra le canzoni scelte per essere tradotte in disegni a colori ci sono naturalmente anche brani più leggeri. Dal famosissimo Vengo anch’io. No, tu no (1967) al meno conosciuto Il bonzo (1974). Quest’ultimo è un brano di un’ironia dissacrante sotto forma di dialogo tra due ipotetici signori della Milano bene. La discussione parte da un fatto di cronaca realmente accaduto, cioè il suicidio del monaco buddhista vietnamita Trich Quang Duc, che si diede fuoco per protestare contro l’invasione americana (10 giugno 1963). Per uno dei due, dotato di un buon lavoro e di una bella casa, il gesto “in nome della libertà” è incomprensibile: cambierà idea quando, alla fine del brano, si ritroverà senza nulla e capirà il valore di quella libertà prima disprezzata. Nonostante il testo stimoli a una profonda riflessione, il brano è allegro e il tono scanzonato: queste caratteristiche sono state riprese dalle strisce ideate da Giuseppe Quattrocchi, che disegna proprio il dialogo tra i due personaggi jannacciani.

«Des’ m’interessa anche a me
della mia libertà
La libertà de brusà
De brusà per pudè campà
Libertà de lavurà
De lavurà e dopo asfissià
Lavurà per pudè campà
E tribulà per pudè murì».

La mostra Gente d’altri tempi è un imperdibile appuntamento per tutti gli amanti di Enzo Jannacci e, per tutti gli altri, un’occasione per avvicinarsi al cantautore che ha raccontato una Milano diversa da quella a cui si è abituati e che, in parte, non esiste più.

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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