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“Minetti” sui palchi italiani: una maschera contro la società folle

4 minuti di lettura

Grottesco. Drammatico. Spettacolare. Così si può riassumere la commedia Minetti (regia di Marco Sciaccaluga) che in questo momento calca i palchi italiani.

Notte di San Silvestro. Nella hall di un hotel di Ostenda, vediamo entrare Minetti, vecchio attore che sostiene di avere un appuntamento con il direttore del teatro di Flensburg per recitare, dopo trent’anni di assenza dal palcoscenico, il Lear di William Shakespeare. L’attore aspetta per due ore il direttore, in compagnia prima di un’ubriaca signora in rosso, poi di una ragazza a cui racconterà episodi della sua vita e rifletterà sul ruolo dell’attore di teatro oggi e sulla società folle che ci circonda.

«Il mondo pretende di essere divertito/e invece va turbato/ turbato, turbato/ Occorre precipitare tutto/ nella catastrofe dell’arte signora mia!»

Il monologo continua in preda a molte sfumature, ad alti e bassi, esaltazione e rabbia in un susseguirsi di personaggi grotteschi che entrano ed escono dall’hotel. Il direttore non arriva e, rimasto completamento solo, Minetti scivola sempre più nella depressione, finché si siede su una panchina sotto la bufera di neve indossando la maschera di Re Lear, a cui tiene molto, e prende delle fatali pasticche. Rimane lì. Chiude il sipario.

Il personaggio di Minetti, interpretato da uno straordinario Eros Pagni, è un personaggio triste, pieno di risentimento per il suo esilio nella cittadina di Dinkelsbühl, in cui ossessivamente il 13 di ogni mese, per trent’anni, recita il Re Lear davanti allo specchio nella soffitta della sorella. Questa sua ossessione lo porta alla pazzia. Simboli dell’ossessione del personaggio sono la valigia da cui mai si separa e il suo contenuto: la maschera di Re Lear realizzata apposta per lui da Ensor (artista del secondo ‘800 famoso per i suoi dipinti di maschere terribili e grottesche che rappresentano la società marcia), più volte nominato durante il lungo monologo di Pagni: «La maschera più orrenda / che sia mai stata fatta».

Non meno tristi sono i personaggi che lo circondano: la signora in rosso che passa la notte ad ubriacarsi, gli impiegati dell’hotel che non capiscono il profondo dolore di Minetti e gli uomini in costume che festeggiano la notte di San Silvestro e ridono di lui. Solo la giovane ragazza (l’unica senza maschera) che per un po’ gli tiene compagnia sembra aver capito il disagio dell’attore, ma poi se ne va lasciandolo solo. Solo con la sua maschera di Re Lear fatta da Ensor.

Molto importante è l’ambientazione, simbolo del cambiamento inevitabile del tempo, come sottolineerà lo stesso Minetti, e la bufera di neve, simbolo della società glaciale e ostile, che blocca lo scorrere della vita e obbliga a cercare un caldo rifugio, in questo caso l’hotel. Ma nemmeno l’hotel può considerarsi un luogo sicuro: altre maschere (sempre grottesche come i dipinti di Ensor) pervadono il palco e costringono Minetti a tornare nella tempesta di neve da cui è venuto e a morire.

Opera che commuove e che fa riflettere non solo sul binomio Uomo-Attore Teatro-Mondo, ma anche sulla vecchiaia, triste e solitaria, di un uomo che non è riuscito ad alzarsi dalle delusioni della vita.

di Azzurra Bergamo

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

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