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Fonte: Wikipedia

Se i muri potessero parlare: le iscrizioni d’amore di Pompei

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Il concetto di “muro” è piuttosto ambiguo. Oggi, in un clima di incertezze ed esasperazione, ha assunto un connotato decisamente negativo: è ciò che divide, che impone silenzi e chiude fuori dalla porta i problemi (almeno nelle intenzioni di chi lo erige). Ma ci sono state epoche in cui il muro diventava il mezzo per far sentire la propria voce. In un tempo in cui la carta ancora non esisteva e il papiro e la pergamena erano materiali troppo costosi perché tutti potessero possederli e utilizzarli, il muro era il mezzo di comunicazione di massa più efficace, un vero e proprio social network. È grazie alle iscrizioni sui muri che Pompei ci appare così viva, nonostante la sua vita sia stata spenta una notte del 79 d.C. dalle ceneri del Vesuvio.

Sembra sempre che ci sia un muro insormontabile tra “noi” e le donne e gli uomini che vissero duemila e più anni fa. Per questo Pompei regala sempre emozioni ineguagliabili: attraverso i suoi resti, si può toccare con mano la vita quotidiana di una normale cittadina romana, qualcosa che non si studia nei libri di storia. E le iscrizioni sono una delle occasioni migliori per rendersi conto che, in fondo, non siamo poi molto diversi. Ci sono veri e propri manifesti elettorali – autorizzati, peraltro, dall’amministrazione locale – che invitano a votare questo o quel personaggio in virtù della sua onestà e incorruttibilità (ci ricorda qualcosa?). Ci sono le iscrizioni dei gladiatori che passavano, forse per l’ultima volta, attraverso le porte dello stadio e quelle dei loro ammiratori, che porgevano saluti e incoraggiamenti. Ci sono annunci di vendite o affitti, insulti e maledizioni, messaggi di chi aveva smarrito qualcosa e chiedeva aiuto, persino liste della spesa di qualcuno che non aveva niente di meglio sotto mano. E, soprattutto, ci sono messaggi d’amore.

Fonte: Wikipedia

La cosa non ci stupisce: si sa che Pompei era città piuttosto libertina, con i suoi numerosi bordelli e la fama delle sue prostitute. D’altra parte i suoi abitanti erano abbastanza ricchi da potersi permettere notevoli comodità e una di queste, naturalmente, era non farsi mancare i piaceri di Venere. I muri, spesso testimoni dei momenti più piccanti della vita dei pompeiani, non di rado sono diventati le “bacheche” dove chiunque poteva raccontare la propria avventura amorosa, esprimere insoddisfazione o affetto, rivolgere insulti o anche fare insinuazioni maliziose con un destinatario ben preciso.

Le iscrizioni più divertenti, inutile dirlo, sono anche quelle più oscene. Molte ricordano i carmi più sboccati di Catullo che, pur mantenendo un’elegante veste poetica, non si faceva certo scrupoli ad evocare immagini che poco lasciavano all’immaginazione. Un tale, ad esempio, ha voluto lasciare la testimonianza di una sua avventura erotica finita in modo non proprio lieto. La fanciulla menzionata dall’iscrizione è definita lutus, cioè “melma, fango”: un’indicazione della sua scarsissima igiene? Oppure un riferimento al fatto che fosse una prostituta particolarmente volgare e per nulla piacevole? In ogni caso, il quadro non è roseo. Ma evidentemente il tale deve aver superato la cosa abbastanza bene, dal momento che si è dato la pena di comporre un distico elegiaco per celebrare il momento.

«Qui io mi sono fatto una fanciulla di bell’aspetto,
lodata da molti; però dentro era melma».

Altre scritte sono meno esplicite, ma altrettanto inequivocabili. Come la dichiarazione «Qui risiede la felicità», che potrebbe sembrare assolutamente innocente… non fosse per il fatto che è stata apposta accanto al disegnino di un fallo. Come accade oggi, poi, uomini dalle maniere poco cortesi (o forse feriti da un rifiuto) approfittavano dei muri per mettere pubblicamente alla berlina la donna oggetto delle loro ire. Si legge, ad esempio, di una certa Romula, oggetto di parecchie iscrizioni, che «si è intrattenuta qui con Stafilo», che «lo succhia al suo uomo sempre e ovunque», ma che che però ha altri «mille, diecimila uomini!», con buona pace del povero Stafilo. Qualcun altro, poi, denuncia senza mezzi termini che «Lucilla guadagna soldi con il proprio corpo».

Fonte: http://basementgeographer.com

Ma non ci sono solo iscrizioni scabrose a Pompei. Gli amanti sentivano anche il bisogno di esternare il loro dolore, la frustrazione per un amore finito o la gioia per uno appena iniziato. Ecco cosa scriveva, ad esempio, un amante ferito e disilluso:

«Chiunque ami, venga da me: voglio rompere le costole a Venere
a forza di bastonate e fiaccare i lombi della dea.
Se lei mi può trafiggere il tenero petto,
perché mai io non posso romperle la testa con il bastone?»

Per un altro, invece, Venere diventa un modo per rendere omaggio alla bellezza della propria donna. Anche duemila anni dopo, è difficile non commuoversi davanti a tali dichiarazioni:

«Se qualcuno non ha visto la Venere dipinta da Apelle,
guardi la mia ragazza: è tale e quale a lei».

«Gli amanti, come le api, trascorrono una vita dolce come il miele».

Piacere carnale o dolce illusione, a Pompei l’amore era ovunque ed era per tutti. Anche per le donne. A sorpresa, infatti, una parte delle iscrizioni erotiche sono state tracciate da mano femminile, qualcosa che rivela non solo un buon livello di istruzione delle donne, ma anche la rivendicazione di un ruolo importante all’interno del panorama amoroso. Forse è eccessivo parlare di proto-femminismo, ma di certo a Pompei le donne si sentivano in diritto di condividere i propri sentimenti e, come gli uomini, sceglievano di farlo scrivendoli sui muri. Chiudiamo, dunque, con una tra le più belle iscrizioni di Pompei firmata, appunto, da una donna:

«Oh, se potessi tenerti stretto con le braccia al collo, e coprire di baci le tue tenere labbra! Per ora va’,
o fanciulla, e affida le tue gioie ai venti.
Credimi, la natura degli uomini è mutevole. Spesso io nel mezzo della notte vegliavo, meditando tra me e me questa cosa.
Molti di quelli che prima aveva innalzato li ha fatti precipitare, la Sorte, e li ha tenuti schiacciati.
Allo stesso modo Venere, come d’improvviso unisce gli amanti, così d’improvviso li divide».

 

Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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