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Neutralità e altri miti occidentali da sfatare

La neutralità si configura come assoluta impossibilità di pensare specifici strumenti e forme di sostegno che possano permettere a soggetti oppressi di fruire attivamente di quel libero spazio di manovra preposto dalla società occidentale contemporanea.

12 minuti di lettura

All’indomani del 1989, in un mondo globalizzato, interconnesso, uno sfolgorante sogno post-cortina di ferro, depoliticizzato e (apparentemente) pacificato dal libero mercato, l’espressione forse più compiuta dell’ideale democratico d’ispirazione illuminista risiede nella nostra necessità di esprimere opinioni. La pubblica piazza social, del resto, ammaliante e crudele, ci tiene saldamente in scacco innescando in noi quell’atavico timore dell’esclusione, che sembriamo aver imparato tanto bene a decodificare che gli abbiamo persino dato un nome nuovo, poi ridotto a una sigla dal suono autorevole: la temuta FOMOfear of missing out.

La condivisione continua di contenuti, attraverso forme e modalità varie, trova origine e legittimazione negli assunti forse più tipicamente caratterizzanti della Francia rivoluzionaria, su cui l’Occidente ha poi forgiato parte considerevole della propria identità: la libertà d’espressione e l’uguaglianza formale (l’uguaglianza giuridica per la quale tutti i cittadini sono considerati uguali davanti alla legge) di tutti gli uomini. Affinché tali assiomi potessero assurgere a paradigmi costitutivi e irrinunciabili nella costruzione della post-modernità, finalmente libera dall’impedimento sovietico e ansiosa di farsi mecenate di questo nuovo mondo che vedeva la luce, era necessario, tuttavia, assumere un presupposto ontologico fondativo, al retrogusto di sillogismo aristotelico: se tutti siamo liberi di esprimerci e tutti siamo uguali davanti alla legge, le opinioni di tutti hanno lo stesso valore.

In tal senso, oggi la neutralità assume il carattere di una prescrizione metodologica, ed è caldamente consigliata, quando non esplicitamente imposta, affinché una produzione di qualsiasi genere (dall’articolo di una testata nazionale al commento su Instagram) possa trovare validazione, consenso e legittimità. Senza l’autoproclamazione del proprio punto di vista come assolutamente neutro, si deve essere pronti alle inevitabili conseguenze. Leggendo il foglio illustrativo, apprendiamo che tra le più comuni figurano: piuttosto generica accusa di ideologia, spesso accompagnata da rimprovero di acuto anacronismo e cronica ingenuità; insinuazioni di mancata volontà di mettersi in discussione e attaccamento morboso al proprio, così chiaramente deviato e deviante, punto di vista. Una climax ascendente culminante nell’imputazione di estremismo, ché noi siamo duri e puri paladini della democrazia e dell’assennatezza e giammai lasceremo che voi, imbevuti di complotti, fedi e filosofie, piantiate il seme della discordia nel nostro perfetto paradiso antropico della tecnica, dell’empirismo, del rifiuto della religione.

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La neutralità, come presupposto metodologico, sembra essere declinata parallelamente su un doppio binario: da un lato, i già citati principi di matrice illuminista sanciscono formalmente la possibilità per tutti di esprimersi liberamente (seppure conformemente alle norme di Stato) nel dibattito pubblico; dall’altro, l’impalcatura ontologica occidentale, a carattere neopositivista, ribadisce l’insindacabilità della scienza empirica, portatrice di verità in quanto sostanzialmente esterna, obiettiva, disinteressata e libera dal rischio di parzialità derivante da credenze personali o collettive di sorta.

Il prototipo dell’uomo contemporaneo, prodotto storico di Illuminismo e Positivismo, nella forma di razionale imprenditore divelto da qualsiasi credenza epistemologica altra dalla scienza tecnica, diviene il soggetto centrale e il perno fondante nella costruzione della contemporaneità. Attorno a bisogni, diritti e doveri individuali si edifica l’ingegneria giuridica nazionale e sovranazionale. Prioritario è il benessere individuale e l’elaborazione di uno spazio di libertà negativa all’interno del quale il soggetto possa muoversi senza particolari impedimenti istituzionali.

Ciascun individuo appare tutelato da possibili ingerenze esterne alla luce del suo inserimento in un perimetro di senso che, formalmente, conferisce a tutti lo stesso spazio di manovra, fieramente incurante di specificità e particolarismi. Davanti allo Stato, dunque, tutti siamo uguali e, virtualmente, dotati delle stesse possibilità. Ma tale uguaglianza, che spesso assume le forme e le modalità dell’assimilazionismo a uno specifico modello precostituito, agisce come una livella: cancella qualsiasi eventuale elemento di unicità, sottrae l’individuo al proprio soggetto collettivo di appartenenza e delegittima, in questo senso, qualsiasi necessità specifica possa derivare dall’orizzonte storico in cui tale gruppo è inserito. La responsabilità storica, comunitaria, nella società della delazione e del solipsismo, è divenuta fuorilegge.

La neutralità, dunque, si configura come assoluta impossibilità di pensare specifici strumenti, specifici spazi, specifiche forme di sostegno che possano permettere a soggetti collettivi storicamente oppressi, che esperiscono forme più o meno istituzionalizzate di marginalizzazione, di fruire attivamente di quel libero spazio di manovra preposto dalla società occidentale contemporanea. Farlo significherebbe contraddire i pilastri fondanti di uguaglianza e libertà.

Ma persino tali pilastri, espressione di un campionario valoriale unanimemente condivisibile in quanto descritto come astorico e super partes, si configurano come produzioni socio culturalmente orientate e storicamente collocate. L’elevamento a sistema di paradigmi empirico-scientisti, orbitanti attorno alla concezione propriamente occidentale di persona pensata come individuo, è stato reso possibile da precise dinamiche storiche che hanno condotto a una forma articolata di gerarchizzazione di soggetti collettivi, cui segue una impari distribuzione di capitale sociale ed economico. Il presupposto di neutralità, dunque, non può essere pensato come di per sé neutro e universalmente applicabile, in quanto è frutto di una scelta socioculturalmente determinata, poi innalzata a sguardo egemonico, che ha appiattito fino a cancellare qualsiasi altro modello ontologico-epistemologico, attraverso una mitopoiesi di delegittimazione del deviante.

Neutro, dunque, non è altro che quello status quo imposto da soggetti collettivi dominanti attraverso processi violenti, quotidianamente riprodotti attraverso una narrazione tendente all’autoassoluzione, che ne descrive le prerogative fondanti (fiducia nella scienza, valori liberali) come la norma assoluta, insindacabile, automatica. Particolarmente incisivo fu quel graduale processo di secolarizzazione (o meglio di de-istituzionalizzazione del sacro) tipico dell’Europa del Sedicesimo secolo, obbligato prerequisito per l’ascesa del capitalismo, che Max Weber denomina disincantamento del mondo e descrive come fenomeno agente sul piano sostanzialmente ideologico, ma che la filosofa Silvia Federici, invece, sostiene abbia avuto successo (sino al suo elevamento a sovrastruttura) soprattutto in funzione della sistematica cancellazione del deviante attraverso pratiche violente mirate alla ricostituzione di un nuovo assetto sociale, come la caccia alle streghe, lo schiavismo e la colonizzazione.

Nessun aspetto del nostro farci attori sul palco della produzione di significati, dunque, può dirsi neutro, né può, in funzione di tale autoproclamazione, presentare una pretesa di maggiore validità ontologica. La stessa affermazione di neutralità contiene in sé una eloquente affermazione politica, in quanto derivante dall’introiezione di uno specifico paradigma. Nello spazio pubblico di condivisione, tutte le parti coinvolte esperiscono forme di interconnessione inedite, ibride, informate da processi storici, rapporti di potere e narrazioni, istanziate nei corpi e nelle pratiche e quotidianamente portate in essere.

Lo spazio pubblico di condivisione costante nel quale siamo imbrigliati diviene così contesto significante costituito da un’interazione dialogica e da una fondamentale circolarità ermeneutica tra soggetti. Tutti sono ugualmente produttori di significato e tutti sono calati nella stessa dimensione, che non presuppone di per sé un punto di vista per sua natura esterno, privilegiato, al quale si possa legittimamente attribuire maggiore validità.

E tuttavia, all’interno di un’agorà che è libera e uguale proprio perché fondata su principi di libertà e uguaglianza derivanti dalla storia, dal pensiero, dal retroterra culturale di uno specifico soggetto collettivo posizionato al vertice (società occidentale, bianca, borghese, cristiana), forse l’unico modo affinché quei valori possano dirsi funzionanti, è metterli in discussione, forse fino a contraddirli.

Libertà positiva e uguaglianza non solo formale ma sostanziale saranno possibili solo laddove si riconosca che nessun individuo è dispensato dal suo posizionamento sociale e storico. Nessun individuo può essere considerato solo un individuo, solo sé stesso immune alla propria complessità contestuale di appartenenza, neutrale. Perché chi può permettersi di farlo è solo colui il cui soggetto collettivo di riferimento è già quello dominante, quello elevato a norma vigente.

Esplicitiamo, rivendichiamo, rendiamo pubblico il nostro posizionamento nella produzione e nel consumo di contenuti. A fronte di un atomismo di presunta neutralità, riconosciamoci parziali e portatori di specifica identità, culturalmente determinata e storicamente collocata. Co-costruiamo, dialetticamente, un luogo di relazione arricchente per tutti, sempre rinegoziabile e sempre fertile, una rete intersoggettiva visibile, di mutuo riconoscimento e mutua cura.

Mariagiulia Gargiullo 

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Bibliografia

M. ADORNO, T. W. HORKHEIMER, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 2010 [trad. italiana di Roberto Solmi, Dialektik der aufklärung, Amsterdam, Querido Verlag, 1947].

S. FEDERICI, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2020 [1998].

M. WEBER, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Segrate, Rizzoli, 2020
[trad. italiana di Anna Maria Marietti, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, 1905]

Redazione

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