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Passeggiando per Milano insieme
a Renzo: da Monza a Porta Venezia

16 minuti di lettura

11 novembre 1628: dopo una rocambolesca fuga dal paesino su «quel ramo del lago di Como», lasciata la sua promessa sposa al convento di Monza dove la crede al sicuro, uno dei personaggi più celebri della letteratura italiana si avvia per la prima volta nella sua vita verso Milano. Stiamo parlando, naturalmente, di Renzo Tramaglino. Per Renzo Milano rappresenta quasi un altro mondo, tanto che Manzoni descrive il suo ingresso nella città con toni da fiaba: come Jack arrivato in cima alla pianta di fagioli, tutto gli appare enorme, sfarzoso ma anche un po’ inquietante. In effetti per Renzo quelle vissute a Milano non sono belle esperienze: la grande città è un luogo negativo, un mondo alla rovescia dove anche un animo onesto come il suo può essere corrotto. Ma nonostante questo Milano conserva tutto il suo perverso fascino.

Questa descrizione è valida ancora oggi. Milano non possiede la sfolgorante bellezza di Firenze o Roma: o la si ama o la si odia. Pochi turisti se ne innamorano e anche per chi la vede tutti i giorni è facile dimenticare che, prima che patria della moda e del design, prima che capitale economica d’Italia, Milano è una città con un’antichissima storia alle spalle, le cui tracce sono praticamente a ogni angolo, se si sa guardare. Perciò oggi vogliamo proporvi un modo diverso di visitare il capoluogo lombardo, adatto sia a chi ci ha trascorso la vita, sia a chi calpesta il pavé per la prima volta: ripercorriamo esattamente (o quasi) il percorso che fece Renzo quel giorno di san Martino, cercando di recuperare non soltanto le tracce del mondo manzoniano, ma anche e soprattutto quel disincantato stupore con cui il giovane si avventurò per le strade che portano al Duomo.

CASSINA DE’ POMM

Cascina dei Pomi
Cassina de’ Pomm © Silvia Ferrari – Il fascino degli intellettuali

«Renzo, salito per un di que’ valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del Duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto; e fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell’ottava meraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino».

Non si è concordi nello stabilire il percorso che Renzo abbia compiuto dal convento Santa Margherita di Monza, dove appunto aveva lasciato Lucia e Agnese, a Milano; l’ipotesi più probabile è che avesse preso l’antica strada postale che da Monza attraversava il territorio che oggi corrisponde a Sesto San Giovanni, per poi arrivare nella zona dell’odierna stazione di Greco Pirelli e incrociare il Naviglio della Martesana. Il piccolo terrapieno su cui si fermò ad ammirare il Duomo in costruzione, dunque, si trovava in prossimità della Cassina de’ Pomm. Questa costruzione poligonale, che si articola intorno ad uno dei tipici cortili milanesi, risale al ‘700 e fu eretta in una conca del Naviglio: pare che Ludovico il Moro avesse chiesto che fosse organizzato in questa zona un sistema di cascine per la coltivazione dei meli – da qui, il nome de Pomm’.

Il Naviglio in questione è quello della Martesana, detto anche “Piccolo”. Il progetto, iniziato da Francesco Sforza nel 1457 e portato avanti con la collaborazione di Leonardo da Vinci, fu concluso nel 1482: l’obiettivo era collegare Milano con l’Adda e con il Lago di Como. E proprio da Cassina de’ Pomm, il punto in cui il Naviglio si interra, parte una pista ciclabile che arriva prima a Cassano d’Adda e poi, ancora più in là, a Trezzo d’Adda, dove la via d’acqua si ricongiunge al fiume. Nelle belle giornate estive può davvero valere la pena fare una pedalata fino alle rive dell’Adda: la fatica – non eccessiva, perché la strada è quasi completamente in piano – è ricompensata dal bellissimo paesaggio fluviale e dall’emozione di percorrere un tragitto che le barche all’epoca di Leonardo da Vinci impiegavano più di sette ore a coprire.

VIA SAN GREGORIO

via san gregorio
Cortile in via san Gregorio © Silvia Ferrari – Il fascino degli intellettuali

Dopo aver incrociato il Naviglio della Martesana, Renzo si dirige lungo quella che ora è via Edolo, che diventa poi via Filzi: camminando lungo questo viale alberato oggi sulla destra si stagliano il grattacielo Pirelli e l’imponente mole della Stazione Centrale; sulla sinistra in lontananza si scorge la cima della Torre Unicredit, ai cui piedi si estende il quartiere nuovo di Milano, in parte ancora in costruzione. Ma tutto questo ovviamente non c’era ai tempi dei Promessi Sposi: continuiamo quindi a passeggiare con Renzo che, nel frattempo, si è fermato a chiedere indicazioni a un passante.

«Siete fortunato, bravo giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d’una fabbrica lunga e bassa: è il lazzaretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de’ begli olmi: là è il convento: non potete sbagliare […]».

La «viottola a mancina» che il gentiluomo indica a Renzo è la via san Gregorio. Nonostante colleghi quartieri piuttosto trafficati di Milano, è insospettabilmente piacevole percorrere questa strada, sulla quale, buttando un occhio qua e là, si aprono cortili dominati da edera rampicante. Se non si affretta il cammino, questi cortili possono offrire scorci mozzafiato. Generalmente sono aperti a chiunque voglia entrare a sbirciare: i proprietari in genere sono ben felici di concedere qualche fotografia e, magari, di raccontare la storia della famiglia che abitò in quelle case.

IL LAZZARETTO

Lazzaretto
Resti del muro del Lazzaretto © Silvia Ferrari – Il fascino degli intellettuali

«S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; […] e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi».

Al numero 5 di via s. Gregorio (sulla sinistra rispetto alla direzione da cui arrivava Renzo) si nota il basso muro in mattoni descritto dall’uomo che ha fornito le indicazioni: è ciò che resta del Lazzaretto. Realizzato fra il 1489 e il 1509, l’edificio prende il nome dal suo costruttore, Lazzaro Palazzi e, com’è noto, ospitava i malati di peste, che dovevano essere tenuti lontani dai degenti dell’Ospedale Maggiore. Il Lazzaretto era una costruzione quadrangolare, che occupava le vie intorno a san Gregorio fino a Corso Buenos Aires; come Renzo apprende, era circondato da un fossato, il Redefossi, che traeva le sue acque dal Naviglio della Martesana; per chi ha voglia di fare una piccola deviazione, le sue chiuse, progettate da Leonardo da Vinci, sono ancora visibili nella zona poco distante di Porta Nuova.

San carlo al lazzaretto
Chiesa di san Carlo al Lazzaretto © Silvia Ferrari – Il fascino degli intellettuali

Al centro del Lazzaretto sorgeva la Chiesa di san Carlo, edificata nel 1585 dall’architetto Pellegrino Tibaldi. La sua funzione, naturalmente, era quella di offrire assistenza spirituale ai malati di peste e il prestigio acquisto le ha consentito di essere l’unica parte del complesso, oltre al muro di via san Gregorio, ad essere sopravvissuta fino ad oggi. Si trova in una rientranza di viale Tunisia, in una zona purtroppo molto appartata, che non rende giustizia alla sua importanza né consente di immaginare l’imponenza del Lazzaretto di cui un tempo era il cuore.

Subito di fronte alla Chiesa di san Carlo al Lazzaretto c’è un locale dal nome evocativo: L’osteria della Luna Piena. Non è certamente la stessa in cui soggiornò Renzo quella stessa notte – e il cui oste gli procurò parecchi guai – ma è sicuramente piacevole trovare un luogo che testimonia in modo così chiaro l’appartenenza alla storia di questo isolato, altrimenti abbastanza anonimo. Non sappiamo dire se vi si mangi bene o male, ma può valere la pena entrare anche solo per prendere un caffè e congratularsi con il proprietario per la colta citazione.

VIA BORGHETTO

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Street art in via Borghetto © Silvia Ferrari – Il fascino degli intellettuali

«I bastioni scendevano in pendio irregolare, e il terreno era una superficie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttati là a caso. […] Un fossatello le [alla strada] scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di povere o di fango, secondo la stagione. Al punto dov’era, e dov’è tuttora quella viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in una fogna. Lì c’era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi: a destra e a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce, abitate per lo più da lavandai».

Siamo quasi giunti al termine di questa prima parte del percorso di Renzo. Dopo aver svoltato in Corso Buenos Aires si presentano alla nostra vista i due Castelli o, come vengono più spesso chiamati, i due Bastioni di Porta Venezia, che Renzo conosceva come Porta Orientale. È da qui che il giovane fa ufficialmente il suo ingresso a Milano.

Per chi voglia esplorare un po’ i dintorni non mancano le attrattive: sulla destra si estendono i Giardini Indro Montanelli, sede anche del Planetario e del Museo di Storia Naturale. A sinistra, invece, si trova piazza Oberdan, sotto la quale, all’angolo con via Tadino, si trova ciò che rimane dell’Albergo diurno Venezia, un’affascinante costruzione in stile liberty: al momento è in ristrutturazione, ma sono previste quasi ogni mese delle aperture straordinarie e non è difficile riuscire a organizzare una visita guidata.

Proseguendo invece lungo la via Luigi Majno si arriva alla via Borghetto, dove si trovava un tempo il convento e la Chiesa dei Frati Cappuccini e la Colonna di san Dionigi. Proprio presso questa colonna Renzo vede due scene che, considerando la carestia che flagellava le campagne, gli sembrano strane: del pane abbandonato sul pavimento e una famiglia che trasporta come meglio può pagnotte e farina, perdendone più di quanta ne avrebbe condotta fino a casa. Ancora non sa che questa situazione anomala è dovuta all’assalto dei forni che sta avendo luogo proprio in quel momento nel centro di Milano.

Dopo aver commentato «Grand’abbondanza ci deve essere in Milano!», Renzo si avvia finalmente verso il convento del Padre Bonaventura, a cui lo aveva indirizzato Fra Cristoforo. Del convento e della Chiesa non rimane oggi traccia in via Borghetto, che si distingue solo per un singolare esempio di street art su un muro alla fine della strada e per la suggestiva visione dell’ingresso ai Giardini Indro Montanelli.

Il viaggio di Renzo avrebbe dovuto concludersi qui: avrebbe atteso che le acque si calmassero sotto la protezione dei frati cappuccini, per poi tornare al suo paesino in quel di Lecco e sposare Lucia. Ma Renzo è incuriosito dai tumulti che, ha intuito, stanno squassando la città in cui è appena giunto e non resiste alla tentazione di andare in esplorazione. Inizia così la seconda parte del suo percorso a Milano, una parte “negativa” perché non raccomandata da Fra Cristoforo e non suggerita dal buon senso. Una parte che percorreremo settimana prossima.

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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