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Quando il PIL non dà la felicità:
il paradosso crescita-benessere

4 minuti di lettura

di Davide Cassese

«Nel primo trimestre del 2015 il prodotto interno lordo (PIL)  è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed è risultato invariato rispetto al primo trimestre del 2014».

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Così parlò l’Istat, che il 13 maggio ha dichiarato che l’Italia, dopo anni di agonia e di mancata crescita, è fuori dalla recessione. Un risultato incoraggiante e speranzoso, che vede il carro della nostra economia trainato principalmente dall’aumento del valore aggiunto dell’Agricoltura e dell’Industria. Pacata la reazione da parte del ministro Pier Carlo Padoan e del presidente Matteo Renzi, che – sotto l’espressione sorniona – cela una soddisfazione che però non gli spetta.

Il risultato, non entusiasmante, ma comunque in controtendenza rispetto ai dati tedianti dei mesi passati, non è certo da addebitare allo straordinario percorso delle riforme – ancora prematuro e  che piace solo al Fondo Monetario Internazionale –  ma piuttosto ad una situazione di miglioramento generale in tutta l’eurozona partorita dal Quantitative Easing, l’operazione di mercato aperto con cui la BCE acquista titoli dalle banche immettendo liquidità nel sistema economico. I risultati costano però all’Italia la promozione proprio da parte del FMI con l’invito a continuare il percorso riformista, accelerando sulle privatizzazioni e sulla sistemazione dei conti pubblici. Niente di nuovo.

Non si fa in tempo a brindare per i risultati che arriva, nel silenzio generale dei media, un altro risultato pubblicato dall’OCSE, il better life index, che su un campione di 36 paesi vede l’Italia posizionarsi al 23esimo posto, un gradino sotto rispetto a Slovenia e Repubblica Ceca. Il Belpaese si attesta  sopra la media per quanto riguarda l‘equilibrio vita privata-famiglia, reddito e ricchezza e stato di salute ma arranca per ciò che attiene alle relazioni sociali e all’istruzione ( 21° posto ), all’impegno civile ( 23°posto), al benessere soggettivo e alla qualità dell’ambiente ( 26° posto ). Nei meandri oscuri, al 29esimo  posto,  troviamo lavoro e retribuzione. Focalizzandosi sull’Italia, è significativo il dato sulle differenze nell’occupazione tra la provincia di Bolzano e la  Campania, che accerta l’ormai atavica disparità del nostro paese,  e sulla sicurezza dove troviamo la provincia di Trento e  la Calabria agli antipodi.

Salta all’occhio un bel paradosso. Sebbene si stia lievemente risalendo la china, esistono dei dati che fanno riflettere. Come è possibile che si guardi solo ai risultati del Pil e non si tenga adeguatamente conto dei risultati sulla qualità della vita, sul lavoro e sul livello di relazioni sociali e sull’ambiente? Il Pil, come sappiamo, misura la quantità di beni e servizi prodotta da un paese in un anno – riflettendo la crescita economica del paese -, ma sempre più spesso viene considerato, erroneamente,  come indice di benessere e salute di un Paese. L’aumento di questo, in realtà, non riflette un aumento di benessere perché  non considera tante altre variabili rilevanti: qualità della vita, rapporti interpersonali, benessere, sicurezza personale, livello di istruzione, spese militari e livello di inquinamento.

Si pensi a due industrie che, pur lavorando il medesimo prodotto, adottano tecnologie di produzione diverse. Ammettiamo che l’impresa Z adotti tecnologie pulite e non inquinanti, mentre l’impresa H tecnologie altamente inquinanti. Da un punto di vista di quantità prodotta, entrambe le imprese coincidono, ma da un punto di vista legato al rispetto dell’ambiente no. Nella logica di Pil come paradigma di benessere di un Paese, entrambe arrecherebbero lo stesso benessere. Equivoco spaventoso.

Un ulteriore caso si vede dal seguente esempio. Se il livello di sicurezza di un quartiere dovesse precipitosamente diminuire, tutti sarebbero portati ad adottare sistemi di sicurezza come telecamere e grate di protezione per cautelarsi. Queste sono le cosiddette spese difensive, che non riflettono affatto il benessere e la stabilità di un paese ma servono, al contrario, a preservarsi da pericolosi avvenimenti. Un loro conteggio nella stima del Pil, se queste aumentassero, porterebbe il Pil a crescere, testimoniando un livello di benessere e sicurezza elevato quando, in realtà, è falso.

Inquinamento

Nel corso degli anni, autorevoli studiosi di economia e discipline sociali come Joseph Stiglitz, Mauro Gallegati, Amartya Sen, Jean-Paul Fitoussi e Serge Latouche – sostenitore del movimento della decrescita felice – hanno dimostrato la scarso valore che assume il Pil come indicatore di benessere di un Paese. Persino Simon Smith Kuznets, premio nobel per l’economia e principale ideatore della contabilità nazionale, affermò che il benessere di una nazione non può essere dedotto dalla misura del Pil. La dimostrazione – e qui si arriva all’apoteosi – venne data anche da Richard Easterlin, professore di Economia all’università della California che, tramite un suo studio chiamato Paradosso della Felicità, ha dimostrato come il benessere soggettivo dei cittadini non fosse correlata ad un loro incremento di reddito – che, stando al mantra del Pil, rappresenterebbe un suo aumento. La correlazione tra benessere soggettivo e Pil risultava essere positiva ma bassa e tendeva ad annullarsi nel tempo. Allora parrebbe giustificato cambiare il modo di guardare al Pil e analizzarlo nella sua parzialità. Lungi dal voler smorzare le esaltazioni dei nostri governanti, e stando a quanto sopra detto, verrebbe da leggere il discorso, tenuto nel marzo del 1968 da Robert Kennedy, tre mesi prima di essere assassinato:

«Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato all’eccellenza personale e ai valori della comunità in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l’anno, ma quel PIL – se giudichiamo gli USA in base ad esso – comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta»

Kenndy-ciamo di iniziare a chiamare le cose con il loro nome?

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Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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