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Repubblica di Manin

La Repubblica di Manin e l’assedio di Venezia, storia di un’insurrezione

10 minuti di lettura

Nel contesto dei moti rivoluzionari del 1848, che coincisero con lo scoppio della Prima guerra d’indipendenza italiana, a Venezia nacque il 22 marzo 1848 la Repubblica di San Marco guidata da Daniele Manin. La città, insorta contro la dominazione austriaca, restò indipendente poco più di un anno, diventando però un baluardo dei sentimenti patriottici e insurrezionali dell’epoca.

Contesto storico

I moti del 1830-31 che sconquassarono l’Europa decretarono ufficiosamente il fallimento del tentativo, nato con il Congresso di Vienna, di restaurare l’Ancien Régime. Nonostante questo, rimasero irrisolte ancora alcune questioni; per quanto feriti, i regimi assolutisti rimasero saldamente presenti e l’odio nei loro confronti non fece che aumentare. Seguirono, quindi, nel 1848 delle insurrezioni diffuse in tutta Europa, con lo scopo di rovesciare i regimi assolutisti e instaurarne di liberali. Il loro impatto storico fu così profondo e violento che nel linguaggio corrente è entrata in uso l’espressione “fare un quarantotto” per sottintendere una improvvisa confusione, o scompiglio.

Il primo moto scoppiò a Palermo, contro i Borbone, rei di aver ritirato la Costituzione concessa nel 1812. Le insurrezioni si susseguirono in tutta Italia a stretto giro di posta, a Napoli e soprattutto a Milano (le celebri Cinque giornate di Milano) e a Venezia, dove l’astio nei confronti dei regimi assolutisti si mescolava con un forte sentimento nazionalistico che mirava alla cacciata degli Asburgo dall’Italia. Il re di Sardegna Carlo Alberto, infatti, mosso dalla volontà di evitare una rivolta interna e di apparire come un monarca liberale, il giorno dopo le Cinque giornate di Milano, ossia il 23 marzo 1848, dichiara guerra all’Austria, dando inizio alla prima guerra d’indipendenza italiana.

Il giorno prima venne costituito, grazie all’azione dell’avvocato Daniele Manin, la Repubblica di San Marco una delle pagine più significative sia dei moti del ’48 che della prima guerra d’indipendenza[1].

La Repubblica di San Marco di Daniele Manin

Daniele Manin, nato Daniele Fonseca da una famiglia di origini ebraiche convertitasi al cristianesimo, fin da giovanissimo espresse tutto il proprio talento e la propria passione per la letteratura e la filosofia. All’età di undici anni, ad esempio, era solito leggere i trattati dei più importanti intellettuali dell’epoca, da John Locke e Jean-Jacques Rousseau a Giovan Pietro Vieusseux e Claude-Adrien Helvetius. A soli quattordici anni si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Padova e a diciassette si laureò. Ancora in giovane età, venne imprigionato dagli austriaci per le proprie idee patriottiche e liberato proprio nel marzo di quel ’48 che lo vide fautore e presidente della Repubblica di San Marco. Gli inizi furono fin da subito tribolatissimi.

Manin tra interessi locali e nazionali

La dichiarazione di guerra del Regno di Sardegna nei confronti dell’Austria e i primi successi militari, ponevano il Manin nella scomoda posizione di dover decidere se attuare immediatamente il programma di riforme repubblicane da lui promesse, come la creazione di un Parlamento, o anteporre il bene nazionale a quello locale e unirsi, tramite annessione, alle forze sabaude nella guerra contro gli austriaci. Nonostante alcune importanti riforme di stampo liberale e filo-borghese, la sua posizione fu quella di unire gli sforzi insieme a quelli del re Carlo Alberto per cacciare definitivamente gli austriaci. L’esercito sabaudo, infatti, aveva costretto il feldmaresciallo Josef Radetzky alla ritirata presso Il Quadrilatero (Peschiera del Lago, Verona, Mantova e Legnago)[2]. Sembrò essere quello il momento più vicino ad una vittoria e, certamente, questo pesò nelle valutazioni di Manin e dell’assemblea veneziana che deliberò, il 3 luglio 1848, l’annessione della neonata Repubblica di San Marco al Regno di Sardegna, convinti che così facendo gli aiuti di Carlo Alberto sarebbero stati più ingenti e che, solo cooperando, si potesse sconfiggere l’Austria.

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La priorità di Carlo Alberto, però, sembrò quella di annettere i territori conquistati piuttosto che insistere con le operazioni militari, ora che il nemico sembrava essere in difficoltà. La situazione di stallo destabilizzò anche la Repubblica di San Marco, i cui ceti inferiori mostrarono il proprio dissenso sia nei confronti delle politiche volute dal Manin, definite troppo borghesi e poco popolari, sia per l’annessione al Regno di Sardegna. Questa situazione, protrattasi per lunghe settimane, permise all’esercito austriaco di riorganizzarsi e sferrare una controffensiva decisiva. Le truppe austriache sconfitte dai ribelli veneziani, si ritirarono a Trieste e vennero affidate al generale Laval Nugent von Westmeath. Grazie ad una rapida campagna di arruolamento furono rinforzati i ranghi, pronti a riconquistare il Veneto: lo scopo era infatti quello di riunirsi con le truppe di Radetzky, rimaste in difesa del Quadrilatero.

Gli errori di Manin e l’assedio di Venezia

Nonostante la strenua resistenza degli abitanti, specie nel Cadore, le sorti della guerra si inclinarono rapidamente verso la parte austriaca. Nugent, per problemi di salute seguiti all’importante vittoria nella battaglia di Cornuda, aveva affidato la guida dell’esercito al generale Georg Thurn-Valsassina, il quale, nonostante non fosse riuscito a vincere la resistenza dell’esercito sabaudo a Vicenza, raggiunse Radetzky a Verona. Da qui, gli austriaci ripresero ad assediare Vicenza, che fu costretta a capitolare.

La caduta di Vicenza, a valanga, ne portò altre: quelle di Treviso e Padova, lasciate al nemico dalle truppe veneziane per non sguarnire la Repubblica di San Marco[3]. Le sorti degli alleati piemontesi non furono certo migliori. Le vittorie austriache nel Veneto avevano demoralizzato gran parte dell’esercito di Carlo Alberto il quale, le malelingue insinuarono, aveva già pronto il documento con il quale avrebbe chiesto l’armistizio. L’arrivo degli aiuti austriaci guidati da Thurn fu infatti fondamentale per Radetzky, affinché potesse pareggiare numericamente l’esercito piemontese, contando sull’equipaggiamento militare certamente superiore.

I piemontesi, ormai fiaccati dal ritorno austriaco e costretti a difendere il fronte che andava da Rivoli a Governolo lungo più di 70 km, non riuscirono ad opporsi alle forze di Radetzky e Thurn, perdendo a Custoza. Di lì a poco furono costretti a firmare l’armistizio, lasciando le forze di Manin sole a fronteggiare il nemico.

La capitolazione della Repubblica di Manin

Nonostante una strenua resistenza a Forte Marghera, alla fine di luglio del ’49 il colonnello Girolamo Calà Ulloa fu costretto alla ritirata e, alla fine di agosto, Manin firmò la resa, prima di fuggire in esilio. Piccola nota a margine: dopo la presa di Forte Marghera, gli austriaci si decisero ad utilizzare dei palloni aerostatici caricati a bombe incendiare, per quello che sarebbe stato il primo bombardamento aereo della storia. Fortunatamente, il forte vento di Libeccio che soffiava in quei giorni, respinse indietro le mongolfiere.

Si chiuse in questo modo l’esperienza repubblicana di Manin, dimostratosi alla lunga incapace di porsi come coordinatore della guerra agli occhi di un Carlo Alberto, certo, non esente da colpe. L’attesa per la decisione di farsi annettere dal Piemonte e le rivolte per le istanze popolari inascoltate ritardarono enormemente i lavori di costruzione di un esercito, quello veneziano, tanto volenteroso quanto disorganizzato e tecnologicamente inferiore.

L’esperimento della Repubblica di San Marco, nonostante ciò, resta uno degli episodi più significativi del ’48, poiché rese ulteriormente insostenibile il malcontento verso il dominatore straniero, ponendo le basi delle successive (e vittoriose) guerre d’indipendenza italiane.

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Note:

[1] Sebastiano Bedolo, Storia esatta dei fatti del 22 marzo 1848 in Venezia, Venezia, 1848

[2] Lucio Villari (a cura di), Il risorgimento. Volume quarto. La prima guerra d’indipendenza 1847-1848, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2007.

[3] Paul Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-1849, Torino, Einaudi, 2007.

Davide Accardi

Classe '92, ha conseguito la laurea specialistica in Studi storici, antropologici e geografici presso l’Università di Palermo discutendo una tesi dal titolo L’identità nazionale nei territori di confine. I suoi campi di ricerca comprendono, inoltre, temi di biopolitica come lo Stato d'eccezione. Scrive e si interessa di cinema, in particolare sulla relazione tra spazi e vuoti in Antonioni e sull’influenza della psicanalisi in Kaufman.

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