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Robert Guédiguian

Robert Guédiguian. Un regista contro

Il cinema complesso e non univoco del regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese di origine armena. Qual è il film della settimana?

11 minuti di lettura

di Ilaria Moretti

Per comprendere Robert Guédiguian – regista, produttore e sceneggiatore nato a Marsiglia nel 1953 – bisogna aver vissuto, almeno il tempo di un weekend, nella sua città natale, luogo affascinante e selvaggio attraversato dalle carezze del Mistral e da un caleidoscopio di colori e odori. Marsiglia è il blu cobalto del mare che si specchia in un cielo madreperla, sono le vie del Panier con le vecchie case ocra cupo, il mélange incandescente dei tramonti osservati dal vecchio porto in direzione di Notre Dame de la Gare. Poi ci sono i profumi: salsedine, basilico, anice stellato, pesce e urina. «Marsiglia non è una città per turisti», sosteneva Jean-Claude Izzo nel suo romanzo Total Kheops (tradotto in italiano con Casino Totale, edizioni e/o, 1998). «Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere.»

Robert Guédiguian
Robert Guédiguian
Photo © Patrick Swirk

Guédiguian nasce all’Estaque, un quartiere povero situato nella zona nord-ovest della città fondato dalla classe operaia e da gente che lavorava al porto. La periferia è abitata dalla «povera gente», da quei «meticci» che ne sono l’anima, capaci di forgiare la città piegandola alle sfumature della loro stessa identità: «Come molti abitanti di Marsiglia, sono molto meticcio, di madre tedesca e padre armeno. Sono quindi un marsigliese autentico, perché di origini miste e credo che i veri marsigliesi siano di origini miste».[1]

Guédiguian cresce in un ambiente anarco-sindacalista. Durante la sua giovinezza i candidati comunisti venivano eletti all’Estaque e nei quartieri limitrofi con percentuali «sovietiche» del 75-80%. È in un tale contesto sociale e culturale che il regista cresce, sviluppa un proprio pensiero. La politica è certamente importante, ma il Guédiguian ragazzo non pare troppo influenzato dalle gerarchie del partito: è in una forma di disubbidienza e di indocilità che costruisce il suo credo apertamente di sinistra. Un comunista, sì, ma con «il cuore cosciente». L’espressione pasoliniana riportata nella Ceneri di Gramsci richiama, in questo caso, ad una forma di «sensualità»: «penso che essere comunista sia una cosa che ha a che fare con il cuore e non solo con la teoria».

Figlio di operai senza esserlo stato a sua volta, Guédiguian si fa, o meglio, si investe del destino di portavoce di una classe che non ha potuto esprimersi per mancanza di tempo e forse per mancanza di mezzi. È dunque attraverso il racconto dei marginali, degli esclusi, degli incompresi della storia che il cineasta forgia le vicende che saranno poi narrate nelle sue pellicole pescando ora nella memoria, ora in un presente a tratti violento e sconsolante, senza smarrire, tuttavia, una forma di levità.

Gérard Meylan e Ariane Ascaride in "Marius et Jeannette"
Gérard Meylan e Ariane Ascaride in “Marius et Jeannette”

Tante volte, cercando di catalogare la sua opera, si è cercato di definirla attraverso una serie di epiteti che descrivono solo parzialmente il suo percorso artistico e di impegno civile. Lo si è definito un cineasta popolare, engagé, politico e vicino agli ambienti di sinistra o ancora il «cantore dell’Estaque», senza comprendere che questi, a lungo andare, erano divenuti dei vuoti stereotipi, delle categorie rigide e troppo severamente schematiche per poter inquadrare, con la giusta lente, la complessità di un cinema che è tutto fuorché univoco. Forse Guédiguian è davvero un cineasta di quartiere, un uomo che, nato all’Estaque, ha voluto parlare del suo piccolo mondo omaggiandolo nelle sue sfaccettature: attraverso i visi dei suoi abitanti solcati dal tempo e dalla fatica, come nel caso di Rouge Midi (Mezzogiorno Rosso, 1985), percorrendo i cortili bianchissimi e aridi de L’argent fait le bonheur (Il denaro fa la felicità, 1993) o infiltrandosi nelle cave arse dal sole presenti in Marius et Jeannette (Marius e Jeannette, 1997).

Ma l’Estaque è solo un luogo figurato, una periferia fra le tante presenti nel mondo, territorio di infanzia e di ricordo che si astrae dalla sua seppur forte connotazione geografica per divenire esemplificativo di altro. L’Estaque sono tutte le periferie del mondo, i suoi cortili altri cortili, dove la gente si riunisce la sera a parlare, a scambiarsi pareri, a baciarsi, a far circolare la droga. I problemi di Marsiglia sono gli stessi di una qualsiasi altra comunità urbana: delinquenza, solitudini, degrado ma anche voglia e bisogno di collettività, necessità di poesia. Marsiglia è un pianoforte, direbbe Guédiguian, un pianoforte suonato da un piccolo armeno dinnanzi ad una folla silenziosa: «Mi è sempre piaciuto credere che il mondo verrà salvato da piccoli musicisti armeni sparsi in diversi luoghi della terra».[2] Descrivere un mondo, un piccolo mondo dunque, non per inscriverlo in una rigida aneddotica, ma per raccontarlo servendosi di dettagli intimi che ognuno può assurgere ad universali. Basta trovare un luogo, suggerisce Guédiguian, con dei pregi, dei difetti, una storia.

Jean-Pierre Darroussin in "L'argent fait le bonheur"
Jean-Pierre Darroussin in “L’argent fait le bonheur”

Se è vero che il cinema è un’arte collettiva, per Guédiguian fare film significa intraprendere un’autentica avventura umana a fianco di amici e collaboratori che sono divenuti, a conti fatti, i compagni di un’intera esistenza. Gérard Meylan – amico d’infanzia, attore non professionista divenuto un cardine, un punto fermo di ogni film – Ariane Ascaride, moglie e musa ispiratrice, Jean-Pierre Darroussin – tra i pochi attori professionisti entrati a pieno titolo nella bande di amici marsigliesi – e il direttore di produzione Malek Hamzaoui, anch’esso vecchio compagno di gioventù. La loro è senza alcun dubbio la storia di un’amicizia e di una fedeltà che non ha pari nel cinema francese: lo spettatore osserva l’evoluzione dei personaggi e degli attori che invecchiano, ingrassano, maturano. Mutano i ruoli interpretati, mutano le casistiche e gli scenari, ma al fondo, forse, ogni attore non ha fatto altro che reinterpretare se stesso. Robert Guédiguian è anche questo: diciannove film all’attivo e una banda di amici-attori capaci di testimoniare la Marsiglia di ieri, di oggi e, perché no, anche di domani.

Il film della settimana

Marie-Jo et ses deux amours (Marie-Jo e i suoi due amori, 2002)

Marie-Jo (Ariane Ascaride) vuole morire perché non riesce a scegliere tra i suoi due amori: il marito Daniel (Jean-Pierre Darroussin) che ama teneramente e l’amante Marco (Gérard Meylan) con cui vive un profondo trasporto sessuale ed emotivo.

Affinché una tematica simile funzionasse, confessa Guédiguian, era necessario trovare «una storia senza soluzione». Marie-Jo è felice soltanto quando fa l’amore: il resto è un baratro fondo, una spirale di angoscia quotidiana che pare senza via d’uscita. Vorrebbe condividere con il marito la gioia del suo innamoramento per Marco ma non può, non è possibile. Tuttavia non può rinunciare alla sua storia extra-coniugale, pena la sofferenza, la perdita di sé. Impossibile per lei essere una buona madre, una moglie felice e presente. Ma anche il ruolo dell’amante le riesce male: vorrebbe stare con Marco, ma il senso di colpa verso la figlia e il marito rendono dolorosa la separazione. Il dissidio pare una cifra ineludibile dei suoi due amori: Marie-Jo lascia la famiglia, si stabilisce dall’amante, ritorna a casa per poi andarsene nuovamente. Ancora e ancora, come se l’amore fosse una coazione a ripetere, una spinta mortifera, un Al di là del principio di piacere che prelude ad una catastrofe annunciata. Sulle note gravi di La morte e la fanciulla di Franz Schubert Marie-Jo sosterrà a voce bassa la sua ultima, indiscussa verità: «si è enormemente forti quando si ama un uomo ma si è doppiamente deboli nell’amarne due».

Gérard Meylan e Ariane Ascaride
Gérard Meylan e Ariane Ascaride

[1] L’intervista a Robert Guédiguian è stata realizzata a Parigi da Angelo Signorelli, il 10 gennaio 2013 negli uffici di Agat Films. La traduzione dal francese è di Monica Corbani.

[2] Dichiarazione di Robert Guédiguian espressa durante la sua conferenza al Bergamo Film Meeting (2013) a seguito di una mia domanda sul film La ville est tranquille (La città è tranquilla, 2001).

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Redazione

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