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Salviamo Londra dai cartelli brutti

6 minuti di lettura

Attraversare una via londinese dove sta avvenendo una gentrification non fa sentire propriamente in pace con l’ambiente circostante. Si usa questo termine per indicare quando, per ragioni controverse da spiegare ma che si possono senza errore ricondurre a una sola parola, (l’immancabile e scontato “business”!), sopra a quelle adorabili costruzioni di mattoncini rossi, immerse nell’inconfondibile odore di cibo che pervade le strade londinesi, si trovano dozzinali insegne di grandi catene, che spazzano via, sì, per la gioia degli investitori, le case popolari, ma che trasformano l’ambiente in qualcosa che somiglia più ad una grossa simulazione da grande centro commerciale che ad una romantica Street o Lane.

Sono poche le zone che si salvano, e per lo più sono quelle periferiche dove la contaminazione non è ancora arrivata.

Eppure, tra il piccolo caffè e lo Starbucks (o Costa, Caffé nero, Percy Ingle, e chi più ne ha più ne metta), tra il pub che cucina pranzi e il Pret a Manger (anche qui: Pod, Itsu, Mc Donalds etc. etc.), tutti scelgono spesso il secondo. Io stessa! E non ne vado fiera. Io stessa mi sento parte di questo sistema quando vado in sostanza a dare i miei soldi a chi poi piazza i cartelli dozzinali sopra gli amati mattoncini rossi. Perché? Costa poco, e ha una rete wireless assicurata. La seconda ragione puó sembrare una follia eppure diventa una priorità in una città in cui la maggior parte degli abitanti sono trapiantati e per sentirsi con parenti ed amici che vivono in un altro stato hanno bisogno di una rete internet. Semplice: consente di non pagare un’esagerazione una telefonata.

È cheap, economico.

Ed è fast, veloce.

Per chi deve scappare subito di nuovo alla rincorsa di una metro che lo porti dall’altra parte della città.
Non devi aspettare che nessuno cucini niente per te. Entri e scegli la scatola di plastica che contiene il tuo pranzo. Poi arrivi al bancone per pagarlo e ti chiedono se lo mangi li o lo porti via. Mangio qui. Chissà, magari sarà travasato in un piatto vero. Mi allungano una forchetta di plastica e un tovagliolo. Sorridendo ringrazio.

Poi ognuno, da solo, tira fuori il cellulare e pranza da solo grazie alla tanto agognata rete wireless. Un giorno ho deciso di avvicinarmi ad un’elegante signora, una londoner sui sessant’anni, senza iPhone o tablet, e con la scusa di farmi dire qualche posto da scoprire di Londra, sono stata invitata a pranzare insieme a lei allo stesso tavolo. È stato un pranzo che non scorderò, in mezzo a tutti gli altri dozzinali pranzi che ho avuto.
Un’altra ragazza, londinese di nascita, l’altra sera, mi ha raccontato di aver amato Siena, perché là gli italiani le sono sembrati determinati e veloci come a Londra, ma con un contesto diverso intorno. Più rilassato. Si possono anche prendere un’ora per il pranzo. La stessa cosa si potrebbe dire per le catene di vestiti, ma in Italia ne abbiamo già esperienza.

Non vorrei essere fraintesa, sto amando questa città e si può trovare tutto quello che si vuole. Si può trovare anche chi la domenica si incontra alle 14.30 in un quartiere portando quel che resta nel frigo a scadenza vicina. Sconosciuti, ovviamente. Che poi cucinano insieme e la sera si siedono, insieme, a cenare quel che hanno cucinato. Si trova tutto quello che si vuole, se si vuole trovarlo. Il punto è questo. Che bisogna impegnarsi per scovare l’autentico.

Per trovare l’autentico cheap, bisogna sforzarsi ancora di più. Ed è questo a sembrarmi un poco assurdo.
E siccome qui tutto succede in anticipo, mi suona anche profetico.

Ripenso al fatto che nella mia città natale l’unica catena di cui si può parlare si chiama “Censoplano”, è ovviamente locale, e vende focaccine e pane in giro per la città. È buffo.
E il fatto triste è che Londra è meravigliosa, e che allo stesso tempo forse io non potrei godermi la meraviglia di Londra se non avessi la possibilità di mangiare con qualche pound. Non si può andare contro ad un meccanismo irreversibile in cui siamo immersi. Che forse, in fondo, ha anche qualche risvolto positivo.

Ma io ora voglio parlare di questioni prettamente urbanistiche.

Almeno, si salvi la meraviglia di Londra. Si salvi l’autenticità dei mattoncini rossi. Si salvino le vecchie insegne. Si salvi la bellezza. In modo che quando voglio fare una foto ad un edificio meraviglioso, non debba cercare un’inclinazione improbabile per non riprendere il “Pret a Manger” di turno. No, non si può accettare, non nell’aria che si respira in una città come Londra.

Tutto questo sproloquio per dire: studiamo come salvare il mondo dai cartelli brutti. Vi prego.

 

Silvia Lazzaris

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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