Nella prefazione alla Gaia Scienza del 1886, Friedrich Nietzsche accosta filosofia e medicina – da cui la figura emblematica del medico filosofico – ponendo le due discipline sotto il comune denominatore del potenziamento della vita. Non la verità per la verità, ma la salute che rinvigorendo la potenza si pone a servizio della vita.
L’alleanza sinergica tra filosofia e scienza nel pensiero nietzschiano intende ricomporre la diastasi di derivazione metafisica tra mondo vero e mondo apparente per restaurare la fedeltà dell’uomo alla terra – immagine zarathustriana. Fedeltà alla vita, nella sua immanenza, nella sua necessità innocente, senza appigli ultraterreni. Senza biasimo, ma con amore riconquistato; amor fati, nel lessico dell’autore.
Tutto è necessità – così dice la nuova conoscenza – e questa stessa conoscenza è necessità. Tutto è innocenza; e la conoscenza è la via alla comprensione di questa innocenza.
L’historia amoris tra filosofia e scienza nel corpus dei testi di Nietzsche conosce il proprio punto di scaturigine in una profonda crisi personale, la delusione di Bayreuth del 23 luglio 1876. Rottura con Richard Wagner e Arthur Schopenhauer. Emancipazione dal misticismo cristianeggiante e dal pessimismo romantico. Delusione metabolizzata e trasfigurata editorialmente in Umano troppo Umano, opera-monumento in cui la filosofia celebra le proprie nozze con la scienza, perché «la filosofia non è pensabile affatto se scissa dalle scienze naturali». Le opere del periodo illuministico concorrono a plasmare la tempra gaia e nomade dello spirito libero, figura di transizione, tra cammello e bambino, parlando per figure, in vista della liberazione dalla morale della rinuncia a se stessi, rigorosamente a servizio della vita – ad potentiam. L’opera di liberazione dal risentimento e dal pregiudizio, proseguita in Aurora e Gaia Scienza, si definisce nelle opere a venire con vigore crescente, conquistando notazioni naturalistiche di matrice fisica, chimica, biologica e fisiologica. Dai primi anni ottanta in avanti, Nietzsche non intende che dedicarsi ad altro che a medicina, fisiologia e scienze naturali.
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E dunque lode alla fisica che insegna a divenire creatori consapevoli di se stessi. Per riportare alla luce il carattere polemico e diveniente, in continuo fieri dell’esistenza – tratto eracliteo – si guardi invece alla chimica, dove non esiste nulla di immutabile. Contro l’ignoranza in fisiologia ci si impratichisca nell’arte di scegliere per sé alimentazione, clima, luogo di residenza e maniera migliore di ristorarsi per divenire ciò che si è – detto pindarico scelto a sottotitolo di Ecce Homo, autobiografia letteraria e lascito testamentario ai postumi dell’autore.
Vi è in Nietzsche la risoluta convinzione che il connubio tra sapere naturalistico e sapere filosofico possa favorire lo sviluppo di una vita ascendente, tornita da una più grande salute. Una salute che guerreggia con la malattia, certamente, ma per cui la malattia non è termine da elidere dall’equazione dell’esistenza, ma pur sempre salute in quanto consapevole di sé, e del mondo.
La scienza che procede per ipotesi sperimentali, prove, errori e falsificazione lavorando sul bìos, sulla vita in quanto materiale, insegna alla filosofia il sospetto, il ricordati di non credere, che per Nietzsche sta alla base di qualsiasi ricerca conoscitiva. Non la verità in quanto tale, ma la ricerca della verità che è pronta a rimettere sempre in discussione il proprio diritto a possedere convinzioni. L’incedere scientifico – sia ben inteso – non è esente da errori, battute d’arresto e passi falsi, e neppure da presupposizioni metafisiche e vecchie fedi trasfigurate sotto il manto aureo, ma pur sempre funzionale dell’oggettività.
Nietzsche dialoga con il sapere scientifico del suo tempo, e dunque anche guerreggia, nel senso etimologico del verbo “dialogare” dove il prefisso -dia, segnalando una separazione, rimanda a un confronto agonale tra verba avversari.
Sul terreno dell’evoluzione biologica, la spada di Nietzsche cozza con quella di Charles Darwin – non di Richard Wagner questa volta. Un Darwin che Nietzsche conosce per lo più di seconda mano, tramite i testi di un suo celebre volgarizzatore Ernst Haeckel, e che diventa un personaggio concettuale del suo agone filosofico, per ragionare di vita e potenza. “Evoluzione” dal latino e-volvere significa anzitutto dispiegarsi e dispiegare, esporsi all’urto del fuori, del che c’è del mondo – espressione siniana.
Nietzsche contra Darwin, ma per quale ragione?
Nietzsche individua in Sull’origine della specie (1859), il testo iconico del naturalista inglese, la genealogia di un’evoluzione lineare, graduale e ancora teleologica, pensata in vista del meglio. L’evoluzione darwiniana appare a Nietzsche un mero adattamento passivo dell’organismo all’ambiente, guidato da una legge selettiva favorevole ai migliori. Contra Darwin, Nietzsche produce allora delle critiche serrate a difesa e sostegno di un’esistenza che procede in tutt’altro modo. Quella pensata da Nietzsche è un’evoluzione rizomatica, rigorosamente molteplice e ramificata, priva di qualsiasi residuo teleologico, “a-narchica“, senza origine, senza fine né scopo proprio come il mondo che va inteso come un mostro di forza risultante dallo scontro da volontà di potenza riunite sotto il comune denominatore della nutrizione. Nietzsche intende porsi oltre Darwin, innestando la sua trasvalutazione nel solco carsico aperto dalla rivoluzione culturale impiantata dal darwinismo, per rimodellare quel materiale sperimentale che chiama umanità. All’orizzonte, una navigazione verso nuovi infiniti sempre più aperti.
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Eppure a ben guardare le linee di connessione tra i due sono molteplici. Come mostra Telmo Pievani, filosofo contemporaneo della biologia e dell’evoluzione, in Imperfezione, una storia naturale, Darwin lottò tutta la vita contro la perfezione. Contingenza assoluta e decretazione del successo a posteriori di alcuni varianti su altre. Ecco i principi della sua evoluzione, pensata come processo sempre attivo di mutuo accomodamento tra organismo e ambiente, rigorosamente senza fini fissati ab origine, dall’andamento non lineare, ma coralliforme – nei suoi taccuini è la figura del corallo a torreggiare, e non quella della scala naturae per tracciare il percorso seguito dall’evoluzione biologica. Svolgendo entrambi un lavoro genealogico, Nietzsche e Darwin sterrano le radici di un’evoluzione sovrabbondante, di cui la specie umana non è che un ramoscello recente – un’invenzione recente nella dizione foucaultiana.
Dall’evoluzionismo la filosofia ricava una figura umana dai contorni sfrangiati, priva di signoria sul domino naturae, di cui si riscopre parte integrante, comparsa recente. Prendere sul serio l’evoluzione biologica significare rinunciare all’antropomorfismo, perché come scrive Telmo Pievani «viviamo a 27mila anni dal centro di una normale galassia a spirale» e il cervello perfetto è quello degli insetti, come sosteneva Rita Levi Montalcini.
Consapevolezza già cristallizzata nell’analisi lucida di Michel de Montaigne a fine Cinquecento.
L’uomo è un soggetto meravigliosamente vario, vano, oscillante, di cui è difficile farsi un giudizio stabile ed uniforme. Creatura che pur credendosi padrona del mondo non è neppure padrona di se stessa.
Per lavorare un materiale sperimentale così fatto, Nietzsche ricorre alla transdisciplinarietà, declinata come dialogo sinergico tra filosofia e scienza in vista dell’implementazione energetica della vita. Ad potentiam. Cosa proponiamo noi?
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