Nel 1993 Umberto Eco tenne le Norton Lectures presso la Harvard University. Queste letture si rivolgevano a un pubblico molto vasto (che comprendeva spesso studiosi di varie discipline, studenti e curiosi di varia provenienza). Per questo Sei passeggiate nei boschi narrativi – la trascrizione di queste sei lezioni – ha più il tono colloquiale e informale di una lectio medioevale tra il buon vecchio maestro e un arguto discepolo.
Sì, perché proprio attraverso l’analisi dei testi di altri autori (saltando da Omero a Spillane, da Cappuccetto Rosso a Nerval, da Agatha Christie a Manzoni e via discorrendo) Eco riesce a dare un’interpretazione dei vari “lettori” e, di conseguenza, dei vari “autori” (rendendo il rapporto tra i due assolutamente imprescindibile, quasi osmotico). L’autore si interroga così sulla credibilità dei testi e delle aspettative dei vari lettori come se i romanzi fossero attraversamenti di un bosco. Ecco dunque che «il bosco è una metafora per il testo narrativo; non solo per testi fiabeschi, ma per ogni testo narrativo».
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Vediamo insieme gli argomenti trattati in ognuna di queste lezioni:
- Entrare nel bosco – il lettore “modello” è sempre presente. Eco parte dal presupposto che ogni finzione narrativa è un mondo, ma di questo mondo l’autore non può raccontare tutto (il testo è definito una “macchina pigra”): è qui che interviene il lettore a colmare i vuoti sancendo l’inizio di un patto di fiducia, ovvero il lettore legge partendo dal presupposto che si fida di quell’autore. Il lettore “modello” è dunque il lettore-tipo, esattamente quel lettore per cui il testo è stato pensato e che l’autore “modello”, suo contrapposto, ha il compito di stimolare costantemente. Questo tipo di lettore sta alle regole del gioco create dall’autore, e sa stare al passo con le formule narrative proposte.
- I boschi di Loisy – qui avvertiamo la netta distinzione tra il lettore “di primo livello” che vuole sapere come andrà a finire la storia e il lettore “di secondo livello” che tenta invece di carpire le formule narrative proposte dall’autore. In questa lezione viene inoltre esposta la distinzione tra fabula, intreccio e racconto (ripercorrendo i concetti di analessi e prolessi).
- Indugiare nel bosco – i tempi della narrazione. Qui il lettore si perde tra il tempo della fabula, del racconto e della lettura (che generalmente non coincidono). L’autore così indugia, attraverso gli espedienti letterari e “i ferri del mestiere” per far viaggiare il lettore, per coinvolgerlo, per farlo passeggiare letteralmente.
- I boschi possibili – la sospensione dell’incredulità. C’è un momento, durante la lettura di qualsiasi testo in cui perdiamo, spinti dall’autore, il concetto di verità: l’autore finge cioè che ciò che sta raccontando è vero, e il lettore finge di crederlo tale. Parliamo di un mondo dove «i mondi narrativi sono parassiti del mondo reale»: il lettore deve fare riferimento al mondo reale per colmare i vuoti lasciati dall’autore. Si introduce così il tema della credibilità del racconto e delle convenzioni che il lettore è disposto ad accettare quando legge. Tali convenzioni non sempre sono reali, ma diventano credibili nel nome di un patto di fiducia sacro che il lettore instaura con l’autore.
- Lo strano caso di via Servandoni – e se l’autore sbaglia? Eco prende un esempio celebre per andare più a fondo del problema della credibilità iniziato nel capitolo precedente: Alexandre Dumas, nella sua opera I Tre Moschettieri, cita una via (per l’appunto Rue Servandoni) che all’epoca in cui è ambientato il romanzo (1625) non poteva esistere perché il personaggio da cui prende il nome non era ancora nato. Viene pertanto introdotto un tema importante: fino a che punto il lettore modello deve possedere una conoscenza del mondo reale? In realtà, osserva Eco, il lettore modello può non esser tenuto a conoscere chi fosse Servandoni e può ignorare questo particolare senza grossi danni per la trama narrativa.
- Protocolli fittizi – quando la finzione si mescola con la realtà e il lettore, anche scovata l’imperfezione narrativa, decide di accettare il mondo proposto dall’autore. Noi lettori, proiettati nel bosco della narrazione, siamo portati spesso a leggere la realtà come finzione e viceversa. L’universo che creiamo, stando a contatto con quanto ci presenta l’autore, per noi ha una propria coerenza interna e vive di vita propria e decidiamo autonomamente se ritenerlo “reale” o “inventato”. La narrativa naturale (ispirata a fatti realmente accaduti) e quella artificiale (di eventi fittizi) si mescola irrimediabilmente, portando il lettore a costruire la propria vita come un racconto. Ecco dunque che «il nostro modo normale di render conto dell’esperienza quotidiana prende la forma di una storia»: noi non viviamo l’immediato presente ma «colleghiamo cose ed eventi mediante il collante della memoria, personale e collettiva».
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Cosa abbiamo imparato da Sei passeggiate nei boschi narrativi di Umberto Eco?
Innanzitutto che il ruolo dell’autore non è mai passivo, mai apatico, ma che leggere è un’azione che presuppone sempre il fatto di metterci qualcosa di proprio nel testo pensato dall’autore. O, per dirla con le parole di Eco, «leggere è una scommessa. Si scommette che si sarà fedeli ai suggerimenti di una voce che non ci sta dicendo esplicitamente che cosa suggerisce».
In secondo luogo che è importante la fiducia: non è detto che debba essere innata – forse, in fondo, ce l’abbiamo solo per quegli autori che conosciamo già o che hanno una certa autorità nel panorama letterario. Ma dobbiamo sicuramente fidarci del bosco narrativo che l’autore ci sta proponendo, dobbiamo essere disposti a perderci nel bosco e nei sottoboschi che ci presenta, sancendo un patto che è tutt’altro che scontato.
In terzo luogo che all’autore è concesso sbagliare, e che il lettore è pronto ad arrivare in suo soccorso. Il lettore può colmare i vuoti e i piccoli “difetti” dell’universo che l’autore mette a disposizione.
Ecco dunque che il libro in sé acquista un’importanza vitale e una forza vivificatrice nei confronti del lettore che può, grazie agli universi e ai boschi messi a disposizione di altri, ampliare il proprio universo di conoscenze, percezioni e memorie. Per dirla con le parole di Einaudi:
«Il libro, sia esso romanzo saggio o poesia, deve coinvolgere al massimo l’intelligenza e la sensibilità del lettore. Quando in un libro, di poesia o di prosa, una frase, una parola, ti riporta ad altre immagini, ad altri ricordi, provocando circuiti fantastici, allora, solo allora, risplende il valore di un testo. Al pari di un quadro o scultura o monumento quel testo ti arricchisce non solo nell’immediato ma ti muta nell’essenza».
Ester Franzin