L’immaginario comune
La letteratura, il cinema, le serie televisive, ma anche l’attualità, mettono in scena ed estetizzano una sottomissione femminile scelta, talvolta perfino rivendicata, fonte di sottomissione o di piacere.
Siamo circondati da immagini di donne apparentemente indipendenti, femministe, emancipate, che però sembrano desiderare lo sguardo maschile come atto di conquista e legittimazione. Come se quello sguardo potesse definirle e attribuire loro un valore aggiunto.
Sarebbe contraddittorio volersi deliberatamente non libero; ma si può non volersi libero.
Per una morale dell’ambiguità, Simone de Beauvoir, 1947
La sottomissione non è un’esperienza marginale o eccezionale: è quotidiana, trasversale. Ognuno di noi, se ci pensa, può facilmente fare un esempio di donna sottomessa. Ma cosa ci dice questo sul nostro modo di pensare e raccontare i ruoli di genere?
Le teorie freudiane
Alcuni negano che esista davvero una “sottomissione femminile”, bollandola come pregiudizio. Eppure, è ancora diffusa l’idea che ci sia qualcosa di naturalmente femminile in questa disposizione, mentre un uomo sottomesso viene spesso percepito come carente in virilità e quindi, giocando un po’ con le parole, proprio “effemminato”.
Questa visione si radica, in parte, nelle teorie di Sigmund Freud. Secondo il padre della psicoanalisi, il masochismo è una derivazione del sadismo: la pulsione a dominare, rivolta verso l’altro, si riflette verso sé stessi, trasformandosi in piacere del dolore. Da qui l’idea che nella sottomissione ci sia godimento, che il masochista tragga piacere da ciò che per il sadico è fonte di eccitazione attiva.
Freud collega il masochismo alla femminilità: suggerisce che nella natura delle donne ci sia una tendenza alla passività, a una sessualità segnata dalla sottomissione e dal dolore. Ma siamo davvero certi che la sottomissione sia una caratteristica innata delle donne?
Se la sottomissione viene rappresentata come qualcosa di naturale, allora le gerarchie di potere tra uomini e donne diventano automaticamente giustificate. Ma forse, più che naturale, dovremmo usare l’espressione “socialmente accettato”. Il fatto che l’uomo, per sua natura più forte, abbia da sempre prevalso sulla donna in termini di potere, porta le persone a pensare che la situazione sia irreversibile.
Ma forse, dobbiamo anche pensare (e sperare) che oggi la situazione sia diversa: che essere sottomessa non sia per forza sinonimo di debolezza ma anche di indipendenza. Ma come?
Una sottomissione desiderata
Il mondo del BDSM sovverte proprio queste dinamiche. Si tratta di un gioco di ruolo che coinvolge corpo e psiche, una forma di erotismo non convenzionale dove il potere viene esplorato, negoziato, scambiato.
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In passato il BDSM è stato visto come una patologia, legata a traumi o devianze. Oggi viene spesso riconosciuto come un rituale erotico consensuale, a metà tra trasgressione e gioco. Secondo l’ipotesi della disinibizione, queste pratiche permettono di sospendere i ruoli sociali ordinari e di abbandonarsi alle pulsioni più profonde.
In una relazione BDSM ci si divide tra chi domina e chi si sottomette, ma non secondo rigide logiche di genere. La donna può essere dominatrice quanto l’uomo, e viceversa. A differenza della visione freudiana, qui il potere è fluido, il piacere è negoziato, e la sottomissione è una scelta consapevole, non un destino biologico.
La chiave del BDSM
Il BDSM può includere dolore e umiliazione, ma ciò che lo rende sicuro e sano è il consenso. Serve comunicazione chiara, onesta, continua. Questa apertura favorisce non solo il piacere, ma anche l’intimità e la fiducia.
Molti praticanti riferiscono un livello di comunicazione col partner superiore a quello presente nelle relazioni “vanilla” (cioè sessualmente convenzionali). Non si tratta solo di sesso: è un modo per costruire connessione.
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Fondamentale è anche la negoziazione dei ruoli e la definizione dei confini. Nulla è dato per scontato, tutto può cambiare. Le safe words permettono di interrompere in qualsiasi momento, proteggendo chi è coinvolto.
È proprio grazie a questo dinamismo che le idee tradizionali di mascolinità dominante vanno in frantumi. Nel BDSM, chiunque – uomo o donna – può decidere di guidare, cedere, esplorare.
Naturalmente, esistono anche rischi emotivi e fisici, e per questo è cruciale la pratica dell’aftercare: la cura reciproca post-sessione. Serve a rielaborare, rassicurare, ricucire, prevenire traumi o disagio.
Darsi la possibilità di scegliere chi essere
Il BDSM è uno spazio dove si può giocare con le regole, ribaltare i ruoli, esplorare fantasie. Dove si può cedere il controllo o prenderselo. Dove si può guidare o farsi guidare.
Qui il rapporto è paritario: chi domina lo fa entro limiti negoziati, chi si sottomette ha sempre il potere di dire no. È dialogo, fiducia, fantasia. I costrutti patriarcali – ruoli fissi, norme imposte, potere unilaterale – vengono decostruiti e ricreati in forme nuove.
Se nella vita sei chi devi essere, nel BDSM sei chi vuoi essere.
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