Realtà e finzione, umano e altro dall’umano, onestà dell’essere e ruolo da interpretare, agire concreto e pantomima. Sono tante le dicotomie che, più o meno direttamente e consapevolmente, ci ritroviamo a vivere ogni giorno. E sono queste dicotomie a essere affrontate e messe in scena in Strangers in the night, progetto che supera i confini tra le arti dello spettacolo. La pièce, realizzata dal coreografo Carlo Massari insieme ai performer Jos Baker e Linus Jansner, si ispira a La metamorfosi di Franz Kafka per affrontare in modo solo apparentemente divertente e trasognato quelle che sono le grandi questioni e angosce dell’uomo.
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«È una metafora»
Strangers in the night è un esempio brillante di ricerca meta-teatrale. Intrattiene, diverte, fa riflettere e disorienta (il giusto). Non nasconde il proprio lato di critica sociale e politica, ma lo combina con aspetti più espliciti di scrittura tragicomica. Rompe la quarta parete e coinvolge direttamente il pubblico in un’escalation di ironia, follia, violenza e molto altro. Si oppone ai patetismi e pietismi che di solito accompagnano questo tipo di retorica riflessiva e costruisce – ma si lascia anche andare – a situazioni e pensieri surreali eppure conosciuti intimamente da ciascuno.
Narrata, dunque, con irreale naturalezza, la favola portata sul palco dai tre performer trasforma in poesia, parole, musica e movimento la banalità del quotidiano, mostrando e accentuando l’aspetto antieroico dei suoi protagonisti, incastrati in bilico «tra la prigione del reale e un sogno di fuga».
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Una scenografia scarna e minimale, composta però da diversi oggetti di scena che appaiono e scompaiono, fa da sfondo e successivamente, a tratti, da coprotagonista. Tutto diventa essenziale nel racconto e nella messa in scena di una realtà che è psichica e dunque invisibile. Tutto si fa metafora. «Ma metafora di che cosa?», chiede ad un certo punto uno dei protagonisti. «Una metafora è una metafora, non deve essere spiegata», gli viene risposto.
«Questo non è l’inizio»
Mentre il pubblico si accomoda, in scena un uomo seduto su una sedia osserva le persone e attende. Rassicura gli ultimi arrivati sul fatto che non sono in ritardo e che lo spettacolo non è ancora iniziato. Interpella gli spettatori, chiede come va, scherza sul fatto che non parla italiano e si fa dire qualche parola da ripetere. «Non vi preoccupate, non è ancora l’inizio», «questo non è l’inizio». Un po’ nervoso, un po’ in imbarazzo, inizia a parlare del fatto che non gli piace stare al centro dell’attenzione e che è piuttosto riluttante a vestire i panni dell’attore, sentendosi un po’ come una scimmia in gabbia. Ma quello a cui si sta assistendo è (ovviamente) già l’inizio e diventa chiaro nel momento in cui, alle sue spalle, appaiono proiettate le battute che sta dicendo. Un inizio certamente insolito che introduce con intelligenza quello che è uno dei temi principali di Strangers in the night, ovvero il limite a volte impercettibile che separa realtà e finzione, nell’arte così come nella vita.
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E da lì è un susseguirsi instancabile di monologhi, canzoni, scambi serrati e coreografati. Momenti di luce e buio, di risate e dramma si alternano come i performer in scena, rendendo visiva una frammentazione dell’io tutta interiore, della società come del singolo.
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