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Il Tempio di Serapide di Pozzuoli, tra storia e misteri

9 minuti di lettura

Un rettangolo inaccessibile, tre alte colonne e un pavimento bagnato. Di fronte il mare. Attorno, le bocche aperte dei vulcani flegrei coperte d’acqua: i laghi Miseno, Averno, Fusaro. Ora come allora, il Tempio di Serapide, attiguo al centro di Pozzuoli, si presenta così, tuttavia non più nascosto tra la macchia mediterranea ma circoscritto da strade e abitazioni, che gli attribuiscono un aspetto più minuto e trascurabile. 

I misteri del Tempio di Serapide

Chi lo avrebbe immaginato? Questa fu un’area di straordinario interesse a partire dal 1750, anno in cui cominciarono gli scavi archeologici sotto Carlo di Borbone, e per un secolo e mezzo ancora. Le colonne del Tempo, titolo dello studio di Luca Ciancio, mette in luce come il sito sia stato fulcro di un florido e complesso dibattito da parte di antiquari, architetti, naturalisti e intellettuali che contribuì da protagonista alla nascita della geologia come scienza moderna. Chi passeggia lungo il suo perimetro è tuttora avvolto dal fascino del mistero che vede la base bagnata dalle acque, la quale, insieme alle colonne dal fusto bucherellato, interrogò gli studiosi sui mutamenti del livello del mare prima e della crosta terrestre poi. Ma procediamo senza fretta. 

Filippo Morghen, Le Antichità di Pozzuoli

Ci sono due ordini di questioni da affrontare per inquadrare la storia di questo luogo, questioni che, percorrendole, restituiscono l’eterno lavorio della Terra, un intreccio di interpretazioni; questioni che mettono insieme placide vedute del golfo, vitalità dei campi flegrei, mondo romano, contemplazioni in scarpette fibiate col tacco, taccuini finiti direttamente in contatto con la Royal Society

Due questioni, dicevamo. Una di ordine antiquario, relativa alla datazione e all’uso di quello che per lungo tempo venne chiamato tempio: questa storia comincia con il ritrovamento, a metà del Settecento, di una statua raffigurante la divinità alessandrina di Serapide. L’altra di ordine scientifico, che arrovellò decine di teste ingegnose nel comprendere come mai le colonne si presentassero finemente scavate, fino a un certo livello, dai datteri di mare, piccoli molluschi litofagi.  

Qual era l’uso del Tempio di Serapide

Per rispondere al primo interrogativo è bene ricordare che gli scambi commerciali tra Napoli e l’Egitto in età romana furono prolifici. Nel I secolo dopo Cristo, periodo in cui si tende a datare il tempio, l’Egitto era divenuto proprietà personale dell’imperatore e granaio di Roma. Nei porti campani gli scambi erano non solo commerciali, ma anche culturali; il fascino della religione egizia viaggiava attraverso il mare e si posava sulle coste italiane: scarabei, statuette, gioielli e amuleti si diffusero così nel territorio romano, nel sud della penisola. È proprio per questo motivo che il ritrovamento della statua di Serapide (divinità del culto egizio) a Pozzuoli fece pensare alla costruzione di un tempio dedicato all’adorazione della divinità, frutto dunque della mescolanza tipica delle terre di frontiera affacciate sul Mediterraneo. 

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Eppure gli scavi lasciavano emergere i resti di un’architettura grandiosa e particolare, non riconoscibile come un tempio tradizionale a causa soprattutto delle sezioni laterali. Se il colonnato, la statua della divinità (oggi visibile al museo archeologico di Baia) e la tholos lasciavano pensare ad un tempio, le piccole stanze laterali e quadrate (tabernae) aprivano la porta all’enigma. Latrine(Bellicard)? Terme(De Jorio)? Si cominciò a pensare alla costruzione di bagni termali, associando questa ipotesi a pratiche terapeutiche legate al dio Serapide. Era di recente scoperta, infatti, che la divinità avesse a che fare con la medicina e presiedesse in generale alla salute; lo asseriva la dissertazione di Octavien De Guasco prendendo anche in esame quanto raccolto dall’abate Charles Galliot, vincitore del concorso che nel 1759 aveva coinvolto una serie di eruditi e che fu appositamente indetto dall’Académie des Inscriptions al fine di esaminare l’origine, gli attributi, l’uso e i significati del culto di Serapide. Forse, dunque, pellegrini malati giungevano sino a Pozzuoli per sottoporsi a vapori e cure, sotto la buona stella della divinità egizia. Poteva quindi trattarsi di un ospizio consacrato, nel quale alloggiare e bagnarsi per ricevere guarigione in cambio di adorazioni e sacrifici.

Una questione geologica

Una volta formulate le ipotesi riguardo la funzione di un edificio tanto singolare, rimaneva da sciogliere il mistero dell’erosione delle colonne. In molti si cimentarono nell’impresa dando vita ad uno scambio teorico affascinante, perché la questione venne compresa nel dibattito aperto sui modelli geodinamici, ovvero sulle modalità di trasformazione del globo nel suo complesso: discussione nella quale il tempio puteolano ebbe una fondamentale rilevanza. La sua immagine, infatti, con qualche variazione rispetto all’originale ritratta da John Izard Middleton, fu scelta da Charles Lyell come frontespizio dei suoi Principles of Geology (1830-33) a rappresentare il nucleo teorico centrale della sua scientifica opera maestra e divenne una delle immagini più conosciute ed evocative della geologia. 

Pietro Fabris, Veduta di Pozzuoli dall’Accademia 1776; si notino le tre colonne del Tempio davanti ai personaggi

Comprendere come fossero possibili l’immersione e la successiva emersione del Serapeo voleva dire, ad un tempo, indagare sul processo di formazione dell’orogenesi e della crosta terrestre. La concezione più accreditata nel Settecento era quella di orientamento nettunista e werneriano, ovvero l’attribuzione dell’origine delle rocce alla cristallizzazione e all’erosione dovuta al ritiro delle acque oceaniche. Tale interpretazione fungeva da base teorica per molti studiosi italiani e tedeschi, accordandosi anche con la tradizionale spiegazione biblica del diluvio universale sull’origine del mondo (si veda la Sacred Theory of the Earth di Thomas Burnett, 1684). Gli studiosi di stampo nettunista erano dunque inclini ad attribuire gli enigmatici fenomeni del Tempio ai movimenti del livello del mare, identificando rocce, terre e montagne come immobili e intendendo le eruzioni vulcaniche come fenomeni improvvisi e circoscritti. 

Nel 1787 Goethe sosteneva che, in seguito all’abbassamento del livello marino, si fosse generato un lago intorno al sito di Pozzuoli, una «palude di acqua salmastra» alimentata dalle maree e da sorgenti sotterranee, nella quale si sarebbero moltiplicati i molluschi responsabili dello scavo delle colonne. L’ipotesi lacustre era proposta anche da studiosi come Ermenegildo Pini, Andrea De Jorio e Giovanni Battista Brocchi.  

Sil’vester Feodosievich Ščhedrin, Tempio di Serapide a Pozzuoli 1828

Uno dei più convinti sostenitori della teoria delle «fasi del livello marino» fu l’architetto napoletano Antonio Niccolini, il quale, interessato all’impianto idrico, guardò al tempio come un idrometro naturale e misurò i livelli raggiunti dalle acque nel corso di sedici anni (1822-1838). Egli ammetteva che porzioni della superficie terrestre avessero subito forti sollevamenti, fenomeno che concepiva però come molto più antico rispetto alle più recenti oscillazioni del livello del mare.  

A partire dal 1802 si inaugurò un periodo di riformulazione dei presupposti teorici sui quali si fondavano le scienze della Terra, e ciò accadde proprio in connessione con l’interpretazione delle dinamiche legate al sito puteolano. Il matematico e filosofo naturale John Playfair, infatti, contribuì in modo sostanziale alla diffusione delle teorie di James Hutton, padre del cosiddetto “plutonismo” (da Plutone, dio del fuoco), identificando nel tempio di Pozzuoli una perfetta dimostrazione delle sue tesi. Il geologo scozzese aveva intuito che le forze erosive del Pianeta sono controbilanciate dalla produzione costante di nuovi letti rocciosi sedimentari nei bacini oceanici, che si innalzano grazie alla forza espansiva del calore agente dal basso. Si cominciava, per lo più in ambito anglosassone, a concepire il fuoco sotterraneo non solo come forza esplosiva, catastrofica e localizzata, ma anche come fluido che agisce in forma impercettibile producendo un costante rinnovamento della crosta terrestre. In questo senso risultava ora possibile pensare al sollevamento del Tempio di Serapide come dovuto all’azione dei fuochi sotterranei: secondo Playfair l’elevazione era prodotto di un moto oscillatorio verticale generato dalla pressione provocata dal calore.  

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Nonostante consistenti resistenze nell’apprezzamento di un nuovo quadro teorico e i limiti della spiegazione di Playfair (il tempio, infatti, non solo era soggetto a sollevamento ma anche, alternatamente, ad abbassamento), andò crescendo l’associazione tra il mistero di Pozzuoli e il territorio vulcanico di cui si circonda. Anche Scipione Breislak, geologo romano e massimo esperto, nel primo Ottocento, di vulcanologia del Sud Italia, nelle Institutions géologiques (1818) sostenne un ruolo importante dei magmi nella formazione del Pianeta, tuttavia rigettando l’idea di un nocciolo incandescente al centro della Terra come responsabile dei movimenti di sollevamento della crosta (Hutton, 1795). Per lui il fenomeno di Pozzuoli era da connettere, sì, con le caratteristiche vulcaniche del luogo (e fu il primo a pensare ad un possibile effetto di espansione volumetrica delle rocce causato dal calore), ma attribuiva l’origine della spinta all’infiammazione di laghi di petrolio sotterranei. 

L’ipotesi di Charles Babbage: il fenomeno del bradisismo

È soprattutto a Charles Babbage e Charles Lyell che dobbiamo il compimento di questa articolata fase di discussione sul tempio, di cui ho riportato solo parzialmente: il primo considerava tutta la costa puteolana come soggetta a fenomeni di rialzamento e abbassamento, avendone osservato la composizione fatta di depositi marini, strati di pomici e sabbia, resti di organismi acquatici. Quindi legava i fenomeni del tempio alla natura del territorio circostante:

Le sue stesse sorgenti calde, la sua immediata contiguità con la Solfatara, la sua vicinanza al Monte Nuovo, le sorgenti calde delle Stufe di Nerone, le sorgenti bollenti degli antichi vulcani di Ischia da un lato e del Vesuvio dall’altro, sono i più rilevanti di una moltitudine di fatti che portano a questa conclusione.

Il fenomeno del bradisismo venne da lui concepito come effetto della variazione di calore di masse profonde le quali, aumentando o diminuendo di temperatura, avrebbero provocato anche espansione o contrazione di volume e sarebbero andate così ad influenzare l’elevazione complessiva delle masse più superficiali. Il «modello termico» di Babbage, basantesi sugli effetti del calore su sostanze diverse e residenti, forniva una spiegazione fisico-matematica molto più coerente rispetto alle teorie precedenti (che individuavano nell’azione meccanica di spinta dovuta alla pressione la risalita del Serapeo), in quanto dava ragione delle fasi tanto di sollevamento quanto di subsidenza della crosta e assicurava la ciclicità di tali processi. Secondo il matematico, questi fenomeni erano da considerarsi all’origine tanto di terremoti, fratturazione di rocce, elevazione o depressione della superficie, quanto, verosimilmente, del sollevamento di vaste aree come le Alpi, le Ande e gli stessi continenti.  

Charles Lyell a sostegno dell’uniformitarismo

Lyell rilanciò l’ipotesi huttoniana del sollevamento verticale della crosta come meccanismo di rinnovamento della morfologia terrestre e, inizialmente, usò il tempio a sostegno dell’uniformitarismo, ossia della sostanziale gradualità e costanza nel tempo e nell’intensità dei processi naturali, contrapposta al catastrofismo, ovvero all’idea che, per spiegare fenomeni di considerevoli dimensioni come l’orogenesi delle grandi catene montuose, occorresse ricorrere a forze di intensità eccezionale. In costante rapporto con Babbage, non poté non tenere conto della portata delle sue tesi e apportare continui aggiornamenti nei suoi Principles in merito alla questioni del tempio, opera che vide ben dodici edizioni tra il 1830 e il 1875. 

Frontespizio dei Principi di Geologia di Charles Lyell, 1830-33. Fonte: quora.com

In particolare Lyell individuò nel seguente modo la sequenza delle fasi di innalzamento e abbassamento del tempio:  

  • I secolo d.C.: periodo di costruzione
  • III secolo – 1500: periodo di immersione, con una profondità massima tra il IX e X secolo (circa tre metri);
  • dopo il 1500: nuova fase di sollevamento, che ebbe il suo apice nell’eruzione del Monte Nuovo sulla costa del Golfo (1538);
  • successivamente all’epoca dello scavo (1750): nuovo abbassamento; come mostrano le immagini che ritraggono il tempio tra il 1810 e il 1830, mettendone in luce il pavimento coperto di acqua anche durante la bassa marea. 

In seguito a un serie di sopralluoghi, fu anche in grado di operare un’analisi stratigrafica che individuava le fasi successive di deposizione dei sedimenti nell’area del tempio. 

Di questo dibattito così vitale e importante per le scienze della Terra lasciano traccia anche le numerose e suggestive raffigurazioni del sito, secondo un’evoluzione di stili. 

In conclusione

Dalle vedute per il mercato dei viaggiatori di Filippo Morghen a quelle dal potenziale scientifico di Pietro Fabris, dai prodotti di committenza regia di Gianbattista Lusieri alle vedute “secondo verità” di Jacob Philipp Hackert, dalle pittoresche acqueforti di Charles Louis Clérisseau alle ricostruzioni immaginarie di Hubert Robert, la serie iconografica continua senza perdere in bellezza. 

Gianbattista Lusieri, Il Tempio di Serapide a Pozzuoli, 1785-86

Centinaia di riproduzioni dello stesso sito, in un’epoca in cui non esisteva la fotografia, testimoniano l’attrattiva di un luogo che divenne tappa imprescindibile d’osservazione, di confronto e di viaggio tra Sette e Ottocento. 

Chi visiti il mercato romano (Macellum) di Pozzuoli, deve conoscere l’ardita passione che ha coinvolto la ricerca e le conoscenze scaturite da questo sito, quando erroneamente era creduto Tempio di Serapide

Giulia Testi

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Bibliografia:  

Ciancio, Luca, Le colonne del tempo. Il “Tempio di Serapide” a Pozzuoli nella storia della geologia, dell’archeologia e dell’arte (1750-1900), Edifir Firenze 2009. 

Giudicepietro, Flora e D’Auria, Luca, Storia del dibattito scientifico sul serapeo di Pozzuoli, in “Miscellanea INGV” anno 2013 n. 20.

Redazione

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