«Un personaggio che fa parte della storia e della musica, della storia della letteratura. Perché le sue non sono semplici canzoni, hanno dei significati profondi». È così che un detronizzato Pippo Baudo presenta lo starter del 46esimo Festival della canzone italiana: Bruce Springsteen. Detronizzato, da esplicita richiesta del Boss, per non intaccare un momento che deve essere profondo, solenne, intimo. Il 20 febbraio 1996 va in onda, infatti, la prima serata del Festival di Sanremo, conosciuto nazionalmente e fuori confine per i lustrini, le gag, i balli, i fiori, il vociferare incessante dei collegamenti, degli extra, delle interviste fatte in ogni angolo della cittadina che per una settimana diviene la vera capitale d’Italia. Prima serata di tutto un rumore che fa da corredo a ciò che è posta – quantomeno su carta – come protagonista delle cinque giornate: la musica. Bruce Springsteen accetta la proposta di Pippo Baudo e va a Sanremo, nell’unica apparizione televisiva riservata all’Europa per promuovere il suo nuovo disco, uscito qualche mese prima.
Va, ma non prima di porre le sue condizioni. Il presentatore non deve essere sul palco. Prima della sua esibizione, nessuna intervista o interazione tra i due di fronte al pubblico. Nessuna orchestra festante o luccichio fuorviante. Solo così può finalmente entrare il Boss, working class hero statunitense: chitarra in braccio, armonica montata ad altezza bocca, voce. Il palco è spoglio. Solo un seguipersona è puntato sulla sua figura. A quel punto, prima della sigla del Festival e di ogni rumore, Bruce Springsteen canta The Ghost of Tom Joad.
Dopo l’esibizione di Bruce Springsteen, può iniziare il Festival che abbiamo sempre conosciuto. Parte la sigla, il conduttore Pippo Baudo torna sul palco e presenta la prima serata, tra gli applausi del pubblico e i suoni dell’orchestra.
Ora, rimaniamo allo stesso momento, ma cambiamo ambientazione, contesto e protagonista. Immaginatevi un ragazzino, poco più che undicenne, seguire come tanti dei suoi coetanei il Festival di Sanremo a casa, con la propria famiglia. Magari anche con un certo disinteresse, come un rituale che, puntuale, si ripete ogni anno in Italia. Una prassi, come quella che si riserva alle feste comandate. Immaginatevi questo undicenne trovarsi di fronte ad un’apertura così insolita e, dunque, incuriosirsi. «Io non sapevo chi fosse Bruce Springsteen a quell’epoca, ma il testo mi arrivò come un fuoco caldo che mi riscaldava». Adesso Luca Marinelli di anni ne ha quaranta, ma quel momento, che ha recentemente definito «trascendentale», non lo ha mai rimosso. È stato lui stesso, infatti, a raccontare, il 13 gennaio, ospitato a Radio 2 Social Club per presentare la nuova serie che lo vede come protagonista – M. Il figlio del secolo, la storia di quel primo incontro con un artista ed una canzone dai toni profondi e intimistici. The Ghost of Tom Joad è una canzone che parla di diseredati, di povertà e di un sistema economico spietato e ingiusto. Tom Joad è il personaggio principale di un famoso romanzo di John Steinbeck, Furore (The Grapes of Wrath), del 1939. Un’epopea, ambientata negli anni Trenta del XX secolo, durante la Grande Depressione statunitense, e che narra la storia di una famiglia dell’Oklahoma costretta a lasciare la propria casa e la propria terra a causa della crisi economica, per trovare un nuovo futuro in California.
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Si dice che Bruce Springsteen non abbia neanche letto il libro, ma che fu catturato dal film omonimo di Tom Ford, realizzato l’anno seguente all’uscita del romanzo. Nell’album che prende il nome dalla canzone dedicata al protagonista di Furore, Bruce Springsteen abbandona la sua E Street Band e dà spazio a chi è relegato ai margini della società con la sua voce, a volte sussurrata, e con gli arpeggi dolci che carezzano le dure storie di immigrazione e disperazione. Come lui stesso scrive nella sua biografia, The Ghost of Tom Joad è una canzone (e un album) frutto di dieci anni di dialogo interiore, scaturito dopo il successo planetario di Born in the U.S.A. ed incentrato essenzialmente su una domanda: «qual è il ruolo che spetta all’uomo ricco?». L’album sembra essere un’unica storia di quasi 50 minuti, cantata davanti al fuoco di un falò, lieve e morbida nella melodia, quanto ardua e crudele per la realtà narrata. Un country autentico, fatto di storie dimenticate a causa della loro incompatibilità con un sistema che, nella velocità della sua corsa, non si cura di chi non riesce a mantenere la via.
Furore giunse in Italia durante gli anni del fascismo, in cui si decise di diffonderlo in chiave antiamericana, per restituire un’immagine violenta, primitiva e barbarica della landa oltreoceano. Il libro fu quindi pubblicato dalla Bompiani, ma il regime finì per censurarlo pesantemente. Nonostante questo, la storia narrata in Furore ha finito per impiantarsi nell’immaginario collettivo ed assumere dei caratteri universali. Per questo, quasi sessant’anni dopo, il racconto ha continuato ad ispirare un artista come Bruce Springsteen e un undicenne che, trent’anni dopo l’incontro con la canzone di Springsteen, si è ritrovato a vestire i panni di chi quella storia l’aveva osteggiata e manipolata: Benito Mussolini. L’attore Luca Marinelli ha scelto così di esibirsi a Radio 2 Social Club (QUI un estratto) nelle note di The Ghost of Tom Joad, canzone che lo aveva così catturato nella sua fanciullezza. Questa storia che passa di voce in voce continua ancora oggi a rapire. L’effetto è da brividi.
Per questo, Bruce Springsteen ha fatto di Tom Joad uno spirito, capace di potersi aggirare nuovamente nella ciclicità delle piccole storie umane. Un fantasma rabbioso, febbrile. Alla continua ricerca di una giustizia e una rivalsa che vede come irraggiungibili. In un mondo nel quale il destino degli emarginati è inevitabilmente un destino segnato. La canzone è una rappresentazione cruda di una realtà che ripropone di decennio in decennio la propria attualità. Va ascoltata senza tradire le volontà del Boss: in un sacro silenzio.
…Men walkin’ ‘long the railroad tracks
Goin’ someplace there’s no goin’ back
Highway patrol choppers comin’ up
Over the ridge
Hot soup on a campfire under the bridge
Shelter line stretchin’ round the corner
Welcome to the new world order
Families sleepin’ in their cars
In the southwest
No home no job no peace no rest
…The highway is alive tonight
But nobody’s kiddin’ nobody about
Where it goes
I’m sittin’ down here in the campfire light
Searchin’ for the ghost of Tom Joad
He pulls prayer book out of his sleeping bag
Preacher lights up a butt and takes a drag
Waitin’ for when the last shall be first
And the first shall be last
In a cardboard box ‘neath the underpass
Got a one-way ticket to the promised land
You got a hole in your belly
And gun in your hand
Sleeping on a pillow of solid rock
Bathin’ in the city aqueduct
…The highway is alive tonight
But where it’s headed everybody knows
I’m sittin’ down here in the campfire light
Waitin’ on the ghost of Tom Joad
…Now Tom said “Mom
Wherever there’s a cop beatin’ a guy
Wherever a hungry newborn baby cries
Where there’s a fight ‘gainst the blood
And hatred in the air
Look for me Mom I’ll be there
Wherever there’s somebody fightin’ for
A place to stand
Or decent job or a helpin’ hand
Wherever somebody’s strugglin’ to be free
Look in their eyes Mom you’ll see me”
…The highway is alive tonight
But nobody’s kiddin’ nobody about
Where it goes
I’m sittin’ downhere in the campfire light
With the ghost of old Tom Joad
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