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Uber e Taxi: una polemica senza fine

6 minuti di lettura

La mattina 12 febbraio 2015, in Via Palermo nel centro di Milano, una donna esce di casa e si trova davanti uno striscione che la definisce, parafrasando, “donna di facili costumi”, ne comunica le sede di ricevimento (nella fattispecie la sua abitazione) concludendo che per l’assessore ai trasporti Pierfrancesco Maran la prestazione è gratis. La vittima di un atto tanto squallido é Benedetta Arese Lucini, general manager di UBER italia, l’app che fornisce un servizio taxi di sole macchine di lusso, e che all’estero spopola. Il funzionamento è semplice: basta registrarsi con il numero di carta di credito e, quando si ha bisogno di un’auto, accedere all’applicazione, lasciare che il GPS localizza la propria posizione e trovi il driver disponibile più vicino. Tutto ciò ad un prezzo non molto superiore ad una normale corsa in taxi. Per questo motivo l’ingresso a Milano di Uber ha sollevato una dura polemica tra i tassisti che denunciano una concorrenza sleale.

Il giorno in cui è avvenuto il “fattaccio” sono stati proprio i tassisti, i primi sospetti ed accusati di aver preparato lo striscione. La denuncia è arrivata subito, da più parti, e con argomenti giusti: non importa la querelle che c’è tra i due, non è con la violenza verbale che si risolve. Molti si sono concentrati sul particolare sessismo che la frase conteneva: la donna che fa qualcosa di non gradito è, per forza, una puttana. L’uomo tuttalpiù ne usufruisce o è ” un figlio di”. Una porcheria del genere trascina talmente in basso la discussione da renderla impossibile.

Sul suo blog sul Corriere, Bebbe Severgnini condanna l’atto e riceve una  risposta interessante (http://italians.corriere.it/2015/02/14/a-chi-giova-quello-striscione-a-uber/) da parte del tassista Luca Schieppati il quale, citando un vecchio detto “fai mancare il pane e incolpa i fornai” asserisce che tale bravate non giova ad altri che Uber, arrivando persino a supporre che “amici di Uber hanno appeso quello scempio” proprio per rendere la società, in un futuro, inattaccabile senza passare per sessisti e violenti. Il tassista prende ovviamente le distanze dal gesti che definisce “inaccettabile, vergognoso e da condannare senza se e senza ma”.

Onestamente non so dire se e quanto possa essere forzata l’opinione di Schieppati, certo è che chiunque l’abbia scritto è un incivile, e desidera solo buttare in caciara la questione. Chi sostiene che la concorrenzialità è il sale del mercato dirà, che le due realtà (Uber e Taxi) possono convivere senza problemi nella realtà cittadina, contando sul fatto che non tutti gli utenti si sposteranno in massa su Uber. 

L’unica città europea dove si è fatto tanto baccano è una italiana, che vergogna, direbbe un esterofilo. Un esterofilo ignorante però, perché si da il caso che  i ripetuti scioperi di quest’estate abbiano toccato anche città come Parigi, Madrid, Lisbona, Berlino e Londra. Slogan degli scioperi è: “I tassisti europei uniti per la legalità contro l’abusivismo”. Le ragioni della protesta? Le organizzazioni di categoria spiegano così perché si fermano:

Per difendere le regole e la legalità del servizio pubblico. Per non cedere un settore ad una multinazionale che punta ai ricavi e non al servizio senza nemmeno pagare tasse in Italia. Per difendere l’utenza da chi non utilizza un tassametro omologato, controllato, piombato, con una tariffa amministrata, controllata e garantita. Per difendere tariffe certe, tipiche del servizio pubblico, che vengono applicate in ogni occasione, a prescindere dalle condizioni atmosferiche o di variazione della domanda. Per tutelare la sicurezza di chi trasportiamo. Perché oggi tocca a noi, ma domani potrebbe toccare a scuole, sanità, pensioni, trasporto pubblico.

Insomma gli argomenti e gli spunti di discussione non mancano. La paura che una multinazionale americana monopolizzi il mercato è reale e a tratti comprensibile. E forse il fatto che lo striscione abbia messo in cattiva luce i tassisti, può farci credere alle parole di Schieppati. Ma resta in ogni caso qualcosa che non quadra: i tassisti possono continuare a criticare nel merito Uber. Nulla glielo impedisce. Il punto che voglio sottolineare è un altro: il metodo.

Lo sfogo sessista da italiano basso (nemmeno medio) mette non solo in cattiva luce il suo autore (sia esso un tassista o qualcuno al servizio di Uber), ma una società che, da ambo le parti, non è in grado di esporre pacificamente il suo punto di vista, e ricorre alla volgarità e al livore per prevalere sull’altro. E questo modo di procedere non va incoraggiato, partendo dal proprio piccolo. Perché se si vuole discutere di diritti, mercato, concorrenzialità (tutti temi nobilissimi) bisogna farlo in un altro modo, non fosse altro che per una mera questione di stile. Certo se ogni volta bisogna perdere giornate a condannare la volgarità non si discute mai del vero problema, che nemmeno viene mai risolto. Ma forse si  preferisce lasciare la questione in sospeso, giusto per alimentare la polemica. 

Uber Taxi

di Susanna Causarano

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