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Gli uffici competenti

Cosa ci è piaciuto (e cosa no) de «Gli uffici competenti»

Iegor Gran racconta la storia del padre Andrej Sinjavskij, scrittore e intellettuale ricercato nell'URSS tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

6 minuti di lettura

Le grandi dittature del Novecento si sono lasciate dietro, oltre a torme di nostalgici, uno strascico di storie che aspettano solo di essere raccontate. Come quella di Andrej Sinjavskij, di mestiere scrittore e intellettuale. A parlarci di lui nel libro Gli uffici competenti (Einaudi, 2022) è il figlio Iegor Gran che decide di non mostrarci il padre come un eroe della libertà contro i minacciosi censori sovietici; anzi, i personaggi a cui ci affezioniamo di più sono proprio gli agenti – guidati dal tenente Ivanov – incaricati di rintracciare chi si cela dietro allo pseudonimo di Abram Terc.

Siamo in URSS tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quelli del disgelo con il resto del mondo e della destalinizzazione portati avanti da Nikita Chruscev (segretario del Partito dal 1953 al 1964) e delle prime aperture verso l’Occidente. Un Occidente da cui la popolazione sovietica sembra sempre irresistibilmente attratta, fin dall’inizio del romanzo, e che fa costantemente da specchio per gli agenti del KGB perché qualunque cosa venga da lì è una potenziale minaccia per l’ordine pubblico e per l’integrità dei compagni e della madrepatria. La decadenza morale del mondo capitalista fa sì che ogni opera di un autore russo tradotta e pubblicata al di là della cortina di ferro accenda gli allarmi nelle stanze del potere: se qualcuno scrive qualcosa che laggiù piace, è sospetto e pericoloso. Andrej Sinjavskij, protagonista suo malgrado di tutta l’opera e oggetto della ricerca, è solo un pretesto letterario, un appiglio legittimo, per provare a descrivere un clima grottesco e invasato, apparentemente fuori dal tempo e staccato dalla realtà. Non perché faccia propaganda contro il comunismo o denunci i crimini di Stalin, anzi, tutto ciò che fa è scrivere articoli e libelli che qualche complice riesce a far passare tra le maglie dei confini e oltre la cortina di ferro, fino a farli tradurre – orrore! – in francese, oltre che incontrarsi con i suoi amici letterati.

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L’agile libro di Iegor Gran è denso di quell’ironia che solo chi è ben informato sa infilare tra le righe senza apparire troppo stucchevole, ma ha dei limiti. La vita degli agenti e dei loro collaboratori ha fascino, nonostante sembri sempre vuota e un po’ grottesca rispetto a quelle dei misteriosi intellettuali che non vogliono far altro che esprimersi senza troppe rotture, quindi il romanzo risulta quasi (nel bene e nel male) la parodia di una spy-story che vuole mettere in luce le assurdità e le ingenuità del mondo sovietico – anche se non sempre in modo efficace. A volte l’autore sembra volerci strizzare troppo l’occhio, ridere insieme a noi di Ivanov e dei suoi colleghi, senza mai porre – forse volontariamente – la questione morale al centro delle vicende. Dobbiamo cercare da soli l’etica e la psicologia dei personaggi sfuggenti, che tradiscono, spiano, provano a districarsi in un mondo di divieti impliciti: se questa è una scelta volontaria, non sempre è chiara. Proprio l’accurata ricostruzione dei metodi del KGB e delle sue reti di spie e collaboratori risulta l’elemento più impattante per il lettore che non deve mai scegliere da che parte stare, forse perché il cattivo nemmeno esiste.

In fondo la caccia ad Abram Terc è lo sfondo davanti al quale tentiamo di esplorare le sensazioni di chi ha vissuto in Unione Sovietica negli anni Sessanta, una fase fondamentale della storia mondiale che tendiamo sempre ad analizzare solo in chiave di politica estera. Per capire gli anni di Cruscev e Breznev dobbiamo ricordare che l’URSS era alla ricerca di un’identità nell’affannoso tentativo di liberarsi dalla memoria odiosa del Terrore stalinista. Di tutto questo ne Gli uffici competenti cogliamo solo poche sfumature ed è un peccato, perché la qualità della prosa di Iegor Gran e la bella traduzione dal francese (a cura di Giuseppe Girimonti Grieco ed Ezio Sinigaglia) rendono piacevole la lettura. Una ricostruzione storica più immersiva avrebbe aggiunto colore a uno scenario dal potenziale immenso.

La lettura de Gli uffici competenti è insomma stranamente leggera e non si deve commettere l’errore di approcciarla con occhio accademico. Rimane comunque un gradevole esperimento ancora unico nel suo genere, che forse ci farà ricominciare a cercare tra le numerose pieghe del secondo Novecento.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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