Amarcord è una band fiorentina indie-rock che, dopo una lunga gavetta ed il successo ottenuto partecipando a festival musicali quali Premio De André, Rock Contest, Emergenza Festival e Sanremo Rock, vede finalmente ripagati i suoi sforzi nella realizzazione del primo disco: Vittoria. Il progetto musicale è stato pubblicato da Clinica Dischi a Gennaio. Il gruppo è composto dal frontman Francesco Mucè, dai chitarristi Marco Ventrice e Giovanni Mazzanti, dal bassista Gabriele Burroni e da Riccardo Romei alla batteria.
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L’atmosfera che si genera ascoltando questo lavoro è quella di un disco istintivo, spontaneo e nato dai molteplici ricordi ed emozioni che si provano proprio durante le sessioni di registrazione del primo album. Fin dal primo ascolto il messaggio della band è d’impatto e i brani risultano concreti grazie all’impiego di un linguaggio schietto, che però non intacca la melodia e la musicalità delle parole. Le tematiche trattate sono molteplici: alcune canzoni, più intime, guardano con dolcezza ma anche con realismo alla vita di coppia, altre sono invece più incentrate su temi generazionali e sociali, altre ancora indagano più a fondo sui problemi adolescenziali e il rapporto con la morte. Il filo conduttore che accomuna tutte le canzoni è sicuramente iltempo come percezione del sentimento e le varie età che accompagnano ogni tipo di amore.
Il primo singolo, Il vostro gioco − dal sound decisamente rock − è una riflessione sulla necessità di ritagliarsi del tempo da dedicare a se stessi per riflettere ed è stato presentato dalla band con le seguenti parole:«Non si tratta di vincere o di perdere, la società di oggi sembra dirci che non valga la pena nemmeno partecipare. Il vostro gioco è una canzone che parla di falsi bisogni da soddisfare continuamente, di momenti in cui i silenzi degli altri si fanno pesanti come le aspettative da rispettare. Abbiamo bisogno di fermarci a tirare il fiato per combattere un malessere che allalunga diventa nocivo per noi e perchi ci sta attorno». Un brano, dunque, che parla della leggerezza perduta e che è nato da un orizzonte di violenza, di una continua esibizione di cinismo volgare e una presenza di “addetti alla distruzione di sogni” che vige sulle vite di tutti. Con le loro parole, gli Amarcord sottolineano l’urgenza di ripartire dal piccolo, tessere nuove reti sociali e prendere più seriamente le relazioni con gli altri.
Balene è il primo estratto del disco ed è un’autentica canzone d’amore, anche se rende manifesto uno dei limiti di questo lavoro, ovvero la concordanza tra musica e testo. Il sound è rock , ma il ritmo e le note appaiono troppo celeri per le parole, che si trovano a doverli inseguire come fa Achille con la tartaruga nel paradosso di Zenone. Anche l’ipnotica balladTutti fermi,incentrato sui problemi generazionali,presenta lo stesso problema, anche se la struttura del testo riesce a gestirlo meglio ed il risultato è un brano molto più piacevole e godibile cui non si può resistere:
«Gli abbracci vorrebbero unire le anime, ma non uniscono nemmeno i corpi. Domani ci sveglieremo in campi di grano coperti di corvi. Le nostre convinzioni sono uguali, teniamoci lontani dai normali».
Anche Psicosi, uno dei momenti migliori del disco e vincitore del premio Ernesto De Pascale al ventisettesimo Rock Contest come miglior brano che coniughi testo e melodia, tratta di amore, tradimenti e ritorni:
«E lancio un abbraccio nel vento e mi sorprendo a guardare uno specchio a parlare a uno spettro ma non mi interessa, ti ho detto “ti aspetto”, che tanto non dormo e confondo le luci dell’alba e il tramonto».
Un altro pezzo decisamente rock è Corde amare, che sia nella musica sia nel tema centrale (la gioventù e la morte) è influenzata fortemente dai Baustelle. Con questo brano, la band riporta gli ascoltatori agli indelebili anni delle superiori, rievocando i film di Federico Fellini e i primi travagliati amori. Il ritmo allegro e coinvolgente è in netto contrasto con la riflessione sulla morte:
«Strade solitarie, corde amare da dividere con te. Campi elisi, c’è una rosa rossa e questa è l’ultima per te. No non fingere, non nascondere questo nostro amore è come un film ed il miglior regista non saprà trovare un titolo. Titoli di coda sul mio cuore perché tu non ci sei».
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Legata ad essa dallo stesso “filo narrativo” è sicuramente I nostri discorsi, dove viene citato Vittorio Arrigoni, attivista famoso per la frase «Restiamo umani» morto nell’Aprile 2011 a Gaza. Il brano è un invito ad essere unici, sognatori e a lottare per le proprie aspirazioni contro il cinismo che immobilizza le persone, inducendole ad agire e a comportarsi secondo schemi rigidi e predeterminati, come risuona martellante il ritornello:
«Prendiamoci un futuro migliore dove poterci ricordare di essere umani un mondo senza musiche volgari con i deserti ricoperti di pannelli solari. Prendiamoci un futuro migliore per usare come armi del progresso e per osservare un mondo senza più quel mare di auricolari che ci hanno resi soli».
A metà track-list arriva Vittoria, che in sé ha la tradizione del rock italiano melodico, avvicinandosi molto a Luciano Ligabue e ai Negrita anche se, rispetto ai colleghi più famosi, presenta una vena più originale nelle liriche:
«Ti chiedo un bacio, un bacio per succhiare fuori un po’ del mio veleno, un altro per sputarlo via. Un bacio per black-out di sensi e semplici sorrisi, ne voglio uno contro la malinconia, la mia».
In coda al disco si trova Strani giorni, brano decisamente rock il cui ritmo è dominato dalla batteria che colpisce con la sua struttura musicale concreta e ben compatta.
«Noi non lasceremo riflessi, e se il soffitto crolla anche il cielo affonda, ma noi non resteremo gli stesso e sopra i nostri fianchi disfatti se il soffitto crolla, anche il cielo affonda con noi».
Lucifero o Beatrice, brano finalista al premio De André di tre anni fa, chiude magistralmente l’album con toni decisamente più evocativi, morbidi e delicati:
«Resto disteso su un prato orme di te cerco intanto che guardo le forme distorte degli alberi ti trovo. E non mi importa se c’è Lucifero o Beatrice dentro di te, mi importa che respiri, esisti».
Vittoria, dunque, si presenta come un album genuino e ben suonato, arricchito da testi maturi e consapevoli. L’unico lato negativo su cui sicuramente la band deve lavorare è la registrazione della voce ad un volume eccessivamente alto, che, se da un lato conferisce maggior forza alle parole, dall’altro affligge i propri brani con una patina commerciale.
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