Siamo nell’antica Roma. In mano abbiamo una moneta: da un lato la figura del busto dell’Imperatore Commodo, immortalato mentre indossa una pelle di leone, e, sul rovescio un’iscrizione che lo proclama addirittura reincarnazione di Ercole. Una vera e propria dichiarazione di potenza divina, come era d’uso all’epoca. Fu Giulio Cesare a portare questa grande innovazione: anziché, infatti, raffigurare sulle monete il ritratto dei suoi antenati, Cesare fece incidere il suo di ritratto, un modo per rafforzare la sua immagine e per farla circolare il più possibile. Una prima forma di pubblicità, se vogliamo. Ma in mano, oltre alla moneta raffigurante l’Imperatore Commodo, abbiamo un’altra moneta, in ottone, molto più piccante: da un lato vediamo una piccola scena pornografica, dall’altra dei numeri romani che indicano, probabilmente, il costo della prestazione. Avete in mano una Spintria, ovvero un gettone romano a luci rosse raccolto durante i giochi mentre venivano lanciate al pubblico entusiasta, e che vi dà accesso ai lupanari, i bordelli di un tempo. Fatene buon uso.

Spintria, le origini
Ma con il termine Spintria inizialmente non si indicavano queste particolari monete spinte che avrebbero visto la luce intorno al I secolo d.c. Con Spintria si indicava invece un pervertito e lascivo individuo, nello specifico, giovani omosessuali passivi. Ne troviamo traccia anche grazie al biografo romano dell’età imperiale, Svetonio che nel suo Tiberius scrive: