Una breve introduzione
Pornografia. Dal greco antico πόρνη (porne) e γράφειν (grafein), “prostituta” e “scrivere/incidere/disegnare”: scrivere riguardo o disegnare prostitute, lo scritto o il disegno di una prostituta. In qualsiasi modo lo si traduca, l’etimologia di questo termine riporta indietro nel tempo di oltre duemila anni e, al tempo stesso, fa sorgere una domanda: esisteva nel mondo greco qualcosa che si avvicinasse al nostro concetto di pornografia? Per rispondere a questa domanda è prima di tutto necessario operare una distinzione.
Contenuti sessualmente espliciti si trovavano dovunque nell’Atene antica, soprattutto in contesti di vita pubblica: un esempio è fornito dalle commedie di Aristofane, messe in scena di fronte all’intera cittadinanza e tutt’altro che prive di riferimenti sessuali. Il ricorso a questi contenuti “osceni” (letteralmente ob + skené: fuori dalla scena, un qualcosa che normalmente non deve stare in vista) era del tutto normale in molti contesti dell’antichità – basti pensare al Priapo romano – e vi si faceva ricorso per scherno o per valenza apotropaica, la loro fruizione era pubblica e non erano volti al creare eccitazione e/o appagamento. Sebbene i piani non siano mai totalmente separati e in molte circostanze risulti difficile operare una distinzione, la pornografia ha tuttavia una valenza differente: il suo scopo è proprio ciò a cui l’”osceno” non può arrivare, tramite una fruizione più “personale” e socialmente svincolata. Eppure, all’interno di una società nella quale l’immagine e la parola erano sempre caricate di significati ulteriori, non bisogna mai sottovalutare la valenza sociale di determinate rappresentazioni, pur quanto private esse sembrino.