La vicenda degli anelli del potere inizia in una terra tanto lontana quanto mitica, avvolta da quell’aura fantastica di cui solo le storie antiche come il mondo possono vantarsi. Questa terra si chiama Lidia e il protagonista della storia è Gige (re di Lidia dal 716 a.C. al 678 a.C., oppure dal 680 a.C. al 644 a.C. secondo un’altra datazione), personaggio storico attorno a cui ruotano diverse leggende: secondo una di queste il suo nome sarebbe rimasto pressoché insignificante e sconosciuto ai posteri, se non fosse stato per una sorta di scherzo della natura (e del destino). Platone racconta così di lui:
Costui era un bovaro al soldo dell’allora sovrano di Lidia, quando, a causa di una violenta tempesta e di un sommovimento del suolo, si squarciò la terra e si aprì una voragine proprio nei pressi del luogo in cui pascolava il gregge. [Sceso nella voragine] ebbe modo di scorgere un cadavere che lì giaceva e che sembrava di statura maggiore di quella umana. Questo non aveva altro che un anello d’oro su una mano, Gige glielo tolse e uscì. Quando si tenne la solita riunione dei pastori, per il rendiconto mensile al re dello stato delle greggi, anch’egli vi andò con al dito il suo anello. Mentre sedeva fra tutti gli altri, casualmente gli capitò di ruotare il castone dell’anello verso di sé, all’interno, verso il palmo della mano e, detto fatto, divenne invisibile a quelli che gli sedevano a fianco, i quali parlavano di lui come se se ne fosse andato. Non vi dico la sua meraviglia, tanto più che, di nuovo mettendo mano all’anello, e ruotandone il castone all’esterno, non appena l’ebbe volto ridivenne visibile. Avendo notato questo fatto, egli ripeté l’esperimento con l’anello per verificare se davvero possedeva quello straordinario potere. (…) Appena ebbe la certezza di questa eccezionale proprietà, si diede subito da fare per essere accolto nella delegazione che doveva accogliere il re e, come giunse alla sua corte, ne sedusse la moglie e, col suo aiuto, tramando ai danni del sovrano, riuscì ad ucciderlo e, in tal modo, ad impossessarsi del potere.
Repubblica, II, 359c-360b

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Una persona qualsiasi riesce a raggiungere le vette della piramide sociale e a cambiare le sorti della propria stirpe, il tutto grazie a un semplice, piccolo oggetto (che tanto semplice non è): manufatto diabolico, monito divino o frutto del caso? L’anello può racchiudere in sé tutti questi aspetti ed è innegabile l’alone di mistero che circonda la sua comparsa. Tanto è misterioso e sinistro, quanto è profondamente connesso alla sete di potere: senza di esso Gige si sarebbe mai sognato di ambire al trono? Senza la possibilità di agire indisturbato, coperto dal manto dell’invisibilità, si sarebbe macchiato di regicidio? Avrebbe tramato, tradito e ucciso? La risposta è chiara e scontata. I mezzi forniti dal magico oggetto permetto di realizzare l’irrealizzabile, non senza una certa brama di potere, infusa nello stesso anello e da esso inscindibile. Ambizione e insaziabilità, unite all’opportunità di colpire nell’ombra, di non essere visto e sentirsi quindi più “libero” di agire contro la morale, sono una combinazione fatale per il senso etico, così semplice da sopire quando nell’uomo si insinua il seme del dominio.
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Facendo un salto temporale, si trova in letteratura un altro anello dalle simili facoltà: si tratta dell’oggetto magico posseduto da Angelica, forza motrice de L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Perseguitata dal desiderio dei vari paladini, la donna è costretta a una perenne fuga, un continuo divincolarsi dalle avances e dalle attenzioni indesiderate di personaggi come Orlando o Rinaldo; in questo gioco di fughe ed espedienti, Angelica può contare su di un alleato:
De l’annel c’ha nel dito si ramenta,
Orlando Furioso, 29, 64
che può salvarla, e se lo getta in bocca:
e l’annel, che non perde il suo costume,
la fa sparir come ad un soffio il lume.
Ecco anche qui la forza dell’invisibilità, che non perde la sua tipica e sottile nota illusoria, utilizzata in questo caso per salvare la portatrice da una sorte indesiderata e sottrarla alle mani – e agli occhi – di chi la brama. In questo caso l’oggetto protegge, pur sempre attraverso l’inganno, chi non vuole essere trovato; eppure, è forse così diverso il contesto in cui si inserisce? Il desiderio di potere non è qui suscitato in chi porta l’oggetto, ma in chi insegue il portatore: è Angelica stessa il tesoro, il fine a cui puntare, il premio che riconosce il valore del contendente che se ne impossessa. Motivo di contesa ancor più della guerra di religione che sta alla base della narrazione, la donna diviene simbolo e personificazione del potere a cui ambiscono gli uomini, di ciò che sono disposi a fare per goderne, di quanto strenuamente sono in grado di lottare e mettersi in gioco al solo scopo di avervi accesso. Ecco, ancora una volta, il potere degli anelli.

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Un anello che divide e che genera una concatenazione di dispute è anche protagonista del ciclo L’anello del Nibelungo, una serie di quattro drammi musicali di Richard Wagner. Forgiato dal nano Alberico, rubato da Wotan (nome germanico di Odino), consegnato poi ai giganti Fafner e Fasolt, vinto da Sigfrido – morto per mano di Hagen – e infine restituito da Brunilde alle Vergini del Reno: l’anello passa di padrone in padrone, di portatore in portatore, fino a fare ritorno al luogo che gli ha dato vita (le acque del Reno), mettendo così fine alla scia di sangue che ha generato. Ma qual è il motivo di tali contese? Ancora una volta, all’origine sta la sete di potere: si dice che chi possiede l’anello possa governare il mondo.
Arrivati a questo punto, è inevitabile che un fan dell’opera di J. R. R. Tolkien noti tutta una serie di riprese e parallelismi con la trilogia de Il Signore degli Anelli: l’impianto narrativo costruito dall’autore britannico si innesta su delle fondamenta ben salde, consolidate dalla tradizione letteraria occidentale – dalla sottomissione delle menti alla volontà di potere, alla distruzione della catena di nefandezze tramite il ritorno dell’oggetto al luogo che gli ha dato i natali (in questo caso, il Monte Fato). Seguendo il filone tematico inaugurato da Platone, il possesso dell’Unico Anello (generatosi sempre in circostanze “sinistre”) favorisce l’accesso al potere, soggiogando la volontà e le menti di chi si trova sulla sua strada; al contempo “contamina” fortemente l’animo di chi se ne fa carico, avvelenandolo con la seducente voce del comando e della prevaricazione sul prossimo. A tutto ciò si unisce la sfera dell’invisibile e della questione etico-morale che ruota attorno a essa: indossando l’anello ci si può rendere invisibili, ma che uso può essere fatto di tale invisibilità? Potendo agire indisturbato, l’essere umano seguirà comunque la morale? È facile cedere alla tentazione. Ciò che sta nell’ombra, il non-visto, esula spesso dall’etico e fa sentire chi agisce come legittimato a dare sfogo alle pulsioni più profonde.

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Gige, Hagen, Isildur… tanto diversi per origine, natura e storia, eppure accomunati da anelli e dalla volontà di potere, unica in grado di sedurre a tal punto i cuori e le menti degli uomini.
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Bibliografia:
Platone, Repubblica
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso
Richard Wagner, L’anello del Nibelungo
J. R. R. Tolkien, Il signore degli anelli