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Aiuti umanitari dalla Germania al Donbass. La testimonianza di un volontario

Leo Fisch racconta la sua esperienza come volontario in Ucraina nelle zone più colpite dal conflitto.

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11 minuti di lettura

Leo Fisch è un volontario tedesco di origini russe che ha iniziato a portare aiuti umanitari in Donbass dopo lo scoppio della guerra. Oggi è pronto a condividere la sua esperienza.

Leo, come è iniziato il tuo impegno umanitario in una zona di conflitto come l’Ucraina?

All’epoca ero uno studente e ho visto su Instagram, nel mio gruppo di amici, una storia in cui delle persone dicevano ai loro follower che stavano andando al confine ucraino-polacco per l’evacuazione. Ho chiesto se avessero bisogno di un altro autista e di qualcuno che parlasse russo e così ho iniziato. Il primo mese e il secondo, credo, ci siamo limitati a guidare fino al confine per far uscire le persone da lì e portarle in Germania, in particolare la maggior parte di loro venivamo in Baviera e poi noi le aiutavamo anche qui. Non era un movimento. All’inizio c’erano tre persone, a volte quattro o cinque. Era una cosa che facevamo come privati cittadini, poi abbiamo creato un’organizzazione. È un’organizzazione tedesca e non è stato così difficile. Abbiamo delle regole e bisogna seguirle: bisogna avere otto o nove persone che vogliono iniziare. Inoltre, bisogna pagare una quota associativa. A noi è costata ottanta euro.

La tua famiglia viene dalla Russia. Ti sostengono nelle tue attività di aiuto alla popolazione ucraina?

La mia famiglia, in particolare mia zia, all’inizio pensava che fossi un po’ strano, ma ora mi sostiene e capisce cosa sto facendo. Non gli piace molto perché è pericoloso, ma la famiglia pensa che sia bello che io aiuti le persone. I miei genitori, mio fratello e mia sorella vivono in Germania ora, ma alcuni membri della mia famiglia sono ancora in Russia. Tuttavia, non credo che capiscano davvero la mia posizione a favore dell’Ucraina, ma mi sostengono comunque. La famiglia ritiene che io stia facendo cose buone perché sto aiutando i civili.

Cosa facevi tu di preciso durante le missioni umanitarie?

Per le ultime otto volte che sono stato in Ucraina ho guidato, tradotto, organizzato e cose del genere. Inoltre, tutti i prodotti medici che portavamo erano la mia parte del progetto. Ma le donazioni e l’aspetto economico erano stati fatti da altre persone. In generale, il mio lavoro consisteva nell’andare là fuori e aiutare.

Cosa intendi con «là fuori», dove sei andato di preciso?

In Ucraina orientale! Siamo stati, per esempio, a Kharkiv quando l’esercito russo era proprio di fronte alla città. Tuttavia, abbiamo portato un aiuto umanitario ai villaggi del fronte. Per ora siamo nell’area del Donbass: eravamo a Solidar solo due o tre settimane prima che venisse catturata. Sì, questa è la nostra area d’azione principale.

Cosa avete provato quando eravate in quelle zone calde?

Ho avuto un po’ di paura quando, come convoglio umanitario, siamo stati presi di mira l’ultima volta che siamo andati nel Donbass. È stato a febbraio e mi sono spaventato perché a cinquanta metri da me c’era un proiettile di artiglieria, o un grosso mortaio. Eravamo lì in piedi con grandi bandiere bianche con croci rosse sopra, in modo che sapessero che siamo un convoglio umanitario e non l’esercito, ma ci hanno preso di mira comunque, ma siamo riusciti ad andare via. Li ho visti da lontano. Nell’aprile dell’anno scorso, abbiamo iniziato ad andare in Ucraina e la prima volta siamo andati direttamente a Kharkiv. Non sapevamo dove fosse pericoloso, così abbiamo dormito a Saltovka. Era la zona più bombardata di Kharkiv e abbiamo dormito in un edificio al sesto o ottavo piano. Siamo stati bersagliati tutta la notte, ma per fortuna non ci è successo nulla.

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Che tipo di aiuti avete portato ai civili?

Abbiamo portato soprattutto aiuti umanitari sotto forma di cibo, quasi niente acqua, ma soprattutto cibo. Poi abbiamo iniziato a fornire alcuni prodotti per l’igiene e anche medicine, le più comuni. Perché il nostro budget non è così elevato e inoltre non abbiamo molto spazio in macchina. 

Parte dei vostri aiuti umanitari andavano anche ai soldati ucraini?

Per l’esercito avevamo qualcosa di semplice, alcune cose più piccole, come le unità che conosciamo personalmente e per le quali forniamo alcuni aiuti come vestiti o anche medicine e altro, ma almeno ora non facciamo assistenza umanitaria specifica per i membri dei corpi militari.

Ad oggi, la gente lì di cosa ha più bisogno?

Soprattutto di filtri per l’acqua, ma sono piuttosto costosi, soprattutto quelli grandi. Poi hanno bisogno di medicine e cibo, più o meno. L’inverno se n’è andato, quindi non hanno bisogno di vestiti caldi, ma sì, le medicine sono un grosso problema e l’acqua potabile.

Come hanno reagito gli ucraini alle vostre “visite”?

Sono grati e sono felici ogni volta che andiamo. Sono sempre una o due nonne, babushka nella lingua locale, che ci aiutano a portare a destinazione gli aiuti e a distribuirli. L’ultima volta eravamo in un villaggio vicino a Donetsk e c’erano una nonna e un nonno e il nonno è salito su una delle nostre auto e abbiamo attraversato il villaggio per fornire aiuti umanitari. Non si sono radunati, ma abbiamo guidato per le strade e abbiamo dato molto.

Cosa vi spinge a continuare ad aiutare gli ucraini?

Perché mi piace aiutare le persone e so che hanno bisogno di aiuto. Hanno bisogno di aiuti umanitari e io ho l’opportunità di aiutarli, quindi lo farò. Ma a volte sono davvero stanco di guidare, per esempio. La prossima missione: guidare in Ucraina. Probabilmente percorrerò l’intera strada da solo, quindi si tratta di duemila e cinquecento chilometri in due giorni. Devo guidare perché sono l’unico autista a bordo con la patente.

Quello che hai visto con i tuoi occhi è diverso dalla realtà dei telegiornali?

Dipende da quali notizie si vedono. Ogni soldato in prima linea si lamenta di non avere abbastanza equipaggiamento, di non ricevere le cose basilari come le cartucce o il cibo. I babushka sono rimasti nelle zone in cui si combatte per fornire cibo ai soldati, perché il governo non riesce a tenere il passo, o per corruzione, o non lo so. Ma non c’è tutto il cibo di cui hanno bisogno, per esempio, o anche le munizioni o altre cose fondamentali come il materiale per dormire.

Avete altri progetti o piani futuri?

Abbiamo un progetto con altre organizzazioni che si chiama «Cucina da campo». Stiamo acquistando cucine da campo in Germania e poi le trasportiamo in Ucraina per fornire cibo caldo alle persone in prima linea, come i civili. Vogliamo portarle nei punti caldi, in modo che la gente possa cucinare senza bisogno di legna o gasolio. Possono cucinare molto di più con il minor quantitativo possibile di materiale da bruciare, perché non ce l’hanno. Quindi, li compriamo qui, li portiamo in Ucraina e poi la gente può usarli. Al momento a Vovchansk, una città della regione di Kharkiv vicina al confine russo, vogliamo iniziare. Le cucine sono grandi e dobbiamo avere una licenza speciale per portarle in Ucraina. Le stiamo caricando su un container speciale e poi lo attaccheremo a un’auto e lo porteremo con noi. Non è così facile portarle. Penso che ne abbiamo quattro e le porteremo il prima possibile in Ucraina per fornire a quante più persone possibile cucine da campo e aiuti umanitari.

Come le persone possono unirsi alla vostra organizzazione o conoscere il vostro movimento?

Se il progetto diventa sempre più grande, avremo bisogno di più autisti, più traduttori, più persone qui in Germania. Che siano disposte ad aiutare e a organizzare donazioni e altro, quindi in questo caso particolare potete scrivermi su Instagram: @fsh.leo e poi ci pensiamo noi.

Delia Dolzhenko

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