Per molti è una rincorsa all’ultimo trend, per altri solo un’accozzaglia di “roba”, come la chiama Andy Sachs ne Il Diavolo Veste Prada, ma per chi sa dove e come guardare la moda si rivela una forma d’arte vera e propria. È esattamente al crocevia tra espressione artistica e couture che troviamo una delle figure più trasgressive, influenti e rivoluzionarie dello scorso secolo, una donna che con la sua immaginazione ha lasciato un segno indelebile: Elsa Schiaparelli. Nota a tanti per la sua rivalità con Coco Chanel, è però nel nome dell’amicizia con l’artista Salvador Dalì che la stilista di origini italiane ha scritto pagine di storia indimenticabili.
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Una vita fuori dall’ordinario
Nata a Roma nel 1890, Elsa Schiaparelli mostrò sin da giovane un’attitudine tanto creativa quanto ribelle che la portò non poche volte a scontrarsi con l’ambiente aristocratico e intellettuale della famiglia. L’evento catalizzatore dello scontro generazionale fu la pubblicazione nel 1911 da parte della giovane Elsa Schiaparelli di una raccolta di poesie fin troppo sensuali e provocanti per il gusto dei genitori, che la mandarono in esilio punitivo in un convento svizzero. Decisa a riprendersi la sua libertà, la ragazza protestò con lo sciopero della fame finché non le fu concesso di abbandonare il convento per trasferirsi a Londra.
Qui Elsa Schiaparelli trovò la libertà e nel 1914 sposò, nonostante l’opposizione della famiglia, il conte William de Wendt de Kerlor, da cui ebbe una figlia, Yvonne. Durante il loro matrimonio i coniugi de Kerlor vissero una vita errante tra la Francia e New York, dove Elsa Schiaparelli conobbe la moglie dell’artista Francis Picabia, Gabrielle Picabia, la quale introdusse la donna ad alcuni dei maggiori esponenti dell’ambiente dadaista e surrealista, da Marcel Duchamp a Man Ray. Elsa Schiaparelli portò la sua passione per l’arte e l’affinità con le Avanguardie con sé in Europa, dove ritornò nel 1922 da madre single.
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È nella capitale francese che Elsa Schiaparelli scoprì l’altro suo grande amore: la moda. L’incontro con lo stilista Paul Poiret le aprì gli occhi e da allora la couture divenne la sua vita. Nel 1927 Elsa Schiaparelli aprì il suo primo atelier in rue de la Paix e lo stesso anno diede vita alla sua prima creazione, un maglione nero dall’effetto trompe-l’oeil, il cui successo fu tale da approdare persino sulle pagine di Vogue.
Molte furono le innovazioni di Elsa Schiaparelli: fu la prima a usare zip a vista sugli abiti e a creare collezioni a tema, nonché a lanciare, tra le tante cose, una linea di intimo. Nel 1936 la stilista creò il rosa shocking, colore divenuto presto iconico e caratteristico della casa di moda. L’estroso approccio creativo della stilista italiana portò la maison alla ribalta, attirando l’attenzione di clienti del calibro di Marlene Dietrich, Greta Garbo, Mae West e Katharine Hepburn. Dopo aver aperto uffici e negozi tra Londra e New York, nel 1934 arrivò per Elsa Schiaparelli un altro importante riconoscimento: la copertina della rivista Time, che mai prima di allora aveva visto protagonista una stilista donna.
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Il sodalizio tra Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì
Il primo incontro tra Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì avvenne a Parigi nella metà degli anni Trenta, quando entrambi erano all’apice della loro carriera; non c’è dato sapere in che occasione precisa, ma dato che frequentavano circoli sociali simili era probabilmente solo questione di tempo prima che i loro cammini si incrociassero. Dopotutto, non era la prima volta che la stilista italiana stringeva rapporti professionali con artisti delle Avanguardie. L’amicizia con Salvador Dalì fu però la più proficua e insieme i due diedero luce a creazioni uniche, che unirono sapientemente le loro visioni non convenzionali dell’arte e della moda.
Tutto iniziò nel 1935 con un piccolo ma prezioso portacipria circolare, imitazione illusionistica del disco rotatorio di un telefono. Nel 1937 fu poi la volta del celebre Abito Aragosta, scelto da Wallis Simpson come parte del suo trousseau di luna di miele in occasione del matrimonio con il Duca di Windsor. L’abito da sera in organza di seta bianca si guadagnò 8 pagine sulla rivista Vogue anche grazie all’enorme aragosta disegnata da Salvador Dalì in persona, il quale sin dai primi anni Trenta aveva iniziato a incorporare il motivo dell’aragosta nelle sue opere come simbolo della sessualità.
La collaborazione tra Elsa Schiaparelli e il pittore spagnolo continuò negli anni successivi e nel 1938 l’Abito Scheletro calcò la passerella come parte della collezione Le Cirque. Ispirato a bozzetti e disegni di Salvador Dalì, questo lungo abito a tubino in crêpe nero colpisce per le decorazioni che lo arricchiscono riproducendo la colonna vertebrale e alcune ossa dello scheletro, un effetto macabro che non lasciò indifferenti né i contemporanei né i successori di Elsa Schiaparelli. A distanza di decenni, infatti, Alexander McQueen e Shaun Leane si ispirarono a quest’abito per la creazione del famoso Spine Corset del 1998.
Sempre alla collezione Le Cirque appartiene l’Abito Lacrime, un elegante abito da sera che genera però un senso di inquietudine, complice la stampa trompe-l’oeil disegnata dallo stesso Salvador Dalì. Sul bianco candido del tessuto campeggiano strappi e brandelli che ricordano la carne lacerata, proprio come in alcuni dipinti dell’artista surrealista.
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Spesso furono infatti le opere di Salvador Dalì a ispirare direttamente Elsa Schiaparelli. Così dal quadro surrealista The Anthropomorphic Cabinet del 1936 nacque il Completo con i cassetti, con delle tasche che riprendono le forme delle ante di un cassettone. Più tardi invece una foto di Salvador Dalì con una scarpa della moglie in testa portò alla creazione del Cappello Scarpa, un copricapo in feltro e velluto appartenente alla collezione Autunno-Inverno 1937-38.
Uniti da un’attitudine provocatoria e dal desiderio di infrangere norme e barriere, Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì sono così riusciti con queste e molte altre creazioni a trasformare la loro amicizia in un potentissimo strumento per stravolgere le aspettative del tempo, dimostrando con fare visionario che l’arte e la moda sono più vicine di quanto si potrebbe mai credere.
Articolo di Francesco Cavari
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