Atene. V secolo a.C.: è il secolo d’oro della civiltà greca, il momento di massimo splendore, il non plus ultra delle istituzioni democratiche, il culmine della produzione artistica e, non da ultimo, il secolo del grande teatro. Tragedia e commedia sono i due grandi poli su cui si innesta il sistema teatrale greco antico, i due grandi macro generi sotto cui vanno tutta una serie di opere all’epoca estremamente note, destinate poi ad arrivare fino ad oggi subendo, però, una sorta di distinzione valoriale: la tragedia, genere alto, fatto di grandi temi e di grandi personaggi, pare infatti aver “messo in ombra” la commedia, forse perché intimamente legata alle vicende della polis e non portatrice di valori ed istanze universali. Ma è del tutto vero? Non proprio, in primis perché i collegamenti tra i due generi sono numerosissimi e i richiami tra tragedia e commedia sono così tanti che dobbiamo per forza presumere che il pubblico fosse in grado di fruire ed apprezzare i due generi con estrema facilità e duttilità, secondo perché non è assolutamente vero che la commedia, al giorno d’oggi, ha poco da dire. Associata tradizionalmente al nome di Aristofane (450 a.C. – 385 a.C.) la commedia presenta sì temi contingenti e legati alla città e alle sue personalità -irrise senza pietà tramite la modalità dell’onomastì komodèin, il fare commedia chiamando per nome-, ma ad una lettura più approfondita questo genere si fa anche portavoce di valori ancora importanti e attuali per lo spettatore del XXI secolo.
La produzione di Aristofane comincia negli anni ’20 del V secolo, e la sua prima opera arrivataci sono gli Acarnesi, un’opera giovanile, definita dal critico e grecista Carlo Ferdinando Russo «istintiva e libera», che riguarda la pace: tramite la rocambolesca avventura del protagonista Diceopoli – un nome parlante, come spesso accade in Aristofane, che significa “cittadino giusto” – l’autore esprime la necessità di non fare la guerra, anche esponendosi in prima persona in un momento di intensa rottura della quarta parete. Raccontando un episodio avvenuto al poeta l’anno precedente la messa in scena di Acarnesi, Diceopoli-Aristofane racconta di essere stato trascinato in tribunale per la sua commedia dell’anno precedente, i Babilonesi (commedia non pervenutaci), nella quale aveva criticato aspramente l’atteggiamento guerrafondaio di Atene nei confronti dei cittadini di Mitilene, a Lesbo. Quello che l’autore decide di portare in luce è l’attualissimo tema degli effetti negativi della guerra sull’essere umano.
Altro “tema” ripreso dalla letteratura teatrale a venire è quello della messa in scena nella messa in scena di cui abbiamo un chiaro esempio nelle Tesmoforiazuse del 411: multa paucis, Euripide rischia brutto perché le donne, infamate nelle sue tragedie, intendono fargliela pagare. Il tragediografo manda allora avanti un parente, ché si introduca alle Tesmoforie, la festa delle donne, travestito da donna – famosissima ed esilarante è la scena della vestizione – e ne prenda le difese. La situazione però si mette male e il parente è costretto a parodiare in un primo momento l‘Elena e poi l’Andromeda di Euripide. Si tratta di un mettere in scena qualcosa con un preciso scopo, in questo caso salvarsi la pelle. Quale altra grande pièce vede una messa in scena funzionale alla trama stessa? Ad esempio, l’Amleto di Shakespeare, del 1603, quando nel momento in cui il protagonista fa mettere in scena un dramma atto a svelare le reazioni dello zio, presunto omicida del padre, si riprende uno stilema già introdotto e ben riuscito nel V secolo a.C.
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L’eredità aristofanea più grande è però quella delle Rane, opera rappresentata probabilmente nel 405: Dioniso, dio del teatro, scende nell’Ade per portare in vita o Eschilo o Euripide, e forse la parte più nota della commedia si tratta proprio del confronto, basato sulla ripresa letterale dei versi dell’uno e dell’altro, tra i due poeti. Si tratta dell’inizio ideale della critica letteraria, in cui si citano gli autori mettendone a fuoco gli elementi peculiari; è inoltre una critica “militante” dal punto di vista politico e niente affatto fine a se stessa: lo scopo infatti è quello di riportare dall’Oltremondo il poeta più utile della città, nell’ottica – attualissima – di rivendicazione dell’utilità dell’Arte. Il percorso del protagonista Dioniso – scelta significativa, visto che si tratta del dio del teatro – corrisponde a quello dello spettatore ateniese: nella prima parte dell’opera, infatti, i toni sono quelli della burla, dello scherzo, o, per dirla alla greca, della bomolochìa, mentre nella seconda Dioniso diventa di fatto giudice e arbitro della contesa tra i due tragici. Emerge quindi come il teatro, quando sia solo intrattenimento, non è di aiuto nella crescita dello spettatore che invece deve essere educato da questa istituzione, che ricordiamo essere di grandissima portata e di vitale importanza per la polis di età classica.
In conclusione, la commedia di Aristofane è già portatrice, in sé, di temi, modalità e istanze destinate ad avere una eco amplissima sulla produzione teatrale a venire; e coglierle è facile, basta solo allontanarsi dall’aspetto manualistico che spesso subiscono gli autori e godersi l’opera nella sua integralità, lasciandosi guidare da Aristofane, personalità di un passato così lontano, ancora in grado di essere fortemente attuale.
Immagine di copertina: Photo by Roger Lipera on Unsplash
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