Nato nel 1261 a Royères, al centro della regione francese del Limousin, Bernardo Gui è una figura complessa, preceduta da una fama sinistra e oscura. La sua vita e la sua opera si collocano in un’epoca di grandi tensioni religiose e sociali, quando la Chiesa cattolica cercava di consolidare la propria autorità e combattere le eresie che minacciavano la sua unità, provando nel frattempo a non perdere troppo di vista le richieste della massa dei fedeli.
Bernardo Gui nacque in una famiglia appartenente alla piccola nobiltà locale, uno status che gli garantì un’educazione invidiabile. A soli quattordici anni entrò nei Frati Predicatori, meglio conosciuti come Domenicani, l’ordine religioso fondato da San Domenico e approvato dal papa nel 1216 con l’obiettivo di combattere chi disobbediva alla Chiesa di Roma attraverso una predicazione efficace quanto quella degli eretici che sbucavano come funghi in tutta Europa. Nel 1279 dunque, Bernardo indossò il saio domenicano e iniziò un percorso di studi teologici che lo portò ben presto a distinguersi per la sua preparazione e dedizione.
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La sua formazione si svolse in un contesto di grande fermento intellettuale, caratterizzato da un rinnovato interesse per la filosofia scolastica e la teologia. Bernardo Gui studiò presso importanti centri di cultura religiosa e teologica, tra cui Tolosa, una città che sarebbe diventata centrale nella sua carriera. Fu infatti nominato qui, nel 1307, inquisitore generale.
Non era un luogo casuale, e Bernardo non era stato scelto a caso: nei dintorni si muovevano soprattutto i Catari, che con le loro comunità egualitarie e radicali rappresentavano una sfida diretta (e pericolosamente vicina) all’autorità della Chiesa romana. L’incarico di inquisitore da queste parti era quindi estremamente delicato e richiedeva una combinazione di rigore, diplomazia e conoscenza approfondita delle dottrine eretiche – oltre a contatti affidabili sul territorio.
Bernardo Gui svolse questo ruolo con grande rigore e determinazione, ma anche con una certa moderazione rispetto a quanto siamo abituati a immaginare (e anche rispetto ad altri suoi colleghi). Contrariamente all’immagine stereotipata dell’inquisitore inflessibile, Gui raccomandava un uso misurato della tortura, considerandola uno strumento da impiegare solo in casi estremi e sempre sotto stretto controllo. Inoltre puniva severamente le false accuse, dimostrando anche una certa attenzione alla giustizia formale e al rispetto delle procedure.
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L’opera più celebre di Bernardo Gui è la Practica officii inquisitionis hereticae pravitatis (Pratica dell’ufficio dell’inquisizione contro la perversione eretica), un trattato che fungeva da manuale per gli inquisitori del tempo. Redatto intorno al 1323, questo testo rappresenta una guida pratica e dettagliata per il riconoscimento, l’interrogatorio e la condanna degli eretici.
Nel manuale, sono descritte con precisione le principali eresie dell’epoca, tra cui quella manichea e quella valdese, offrendo indicazioni su come identificarle attraverso parole degli adepti, comportamenti e pratiche. Il testo fornisce anche istruzioni su come condurre gli interrogatori, gestire le prove e applicare le pene, sempre nel rispetto delle norme canoniche. La Practica è, come facilmente immaginabile, un documento di grande valore storico perché offre uno spaccato dettagliato delle strategie inquisitorie e delle mentalità religiose del primo Trecento.
Oltre al suo ruolo di inquisitore, Bernardo Gui fu quindi anche scrittore e storico. La sua produzione letteraria spazia dalla storiografia alla compilazione agiografica. Oltre alla Practica, meritano una menzione i Miroir des saints un compendio agiografico che raccoglie le vite dei santi e riflette la devozione popolare e la diffusione dei culti locali. Gui cercò di scrivere anche una storia universale (Flores chronicorum) con un approccio critico e ben documentato, che valorizzasse le testimonianze dirette.
La fama di Bernardo Gui ha varcato i confini della storiografia per entrare nella cultura popolare soprattutto grazie a Il Nome della Rosa, il capolavoro di Umberto Eco (1980). Nel libro, Gui è ritratto come un antagonista inflessibile, crudele e spietato, un inquisitore disposto a tutto pur di estirpare l’eresia e mantenere il controllo. Eco stesso era consapevole di quanto fosse caricaturale questa immagine di Bernardo, che l’ha reso per antonomasia l’inquisitore brutale e senza scrupoli. Gui, pur un perfetto rappresentante delle istituzioni ecclesiastiche, mostrò un certo equilibrio e una volontà di giustizia che lo distinguono da stereotipi e caricature. La sua opera testimonia un impegno serio e consapevole verso la difesa della fede, ma anche verso la ricerca della verità e, perché no, del rigore storiografico e della promozione culturale.
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