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Com’è invecchiato Baudolino?

Un romanzo storico figlio della gigantesca cultura di Umberto Eco, con una dose di fantastico e un pizzico di giallo. Una lettura che non delude gli appassionati del Medioevo

7 minuti di lettura

Umberto Eco non è sempre facile da leggere, nonostante sia entrato ormai stabilmente in molte antologie scolastiche. Ogni volta che si intavola una conversazione su uno degli ultimi intellettuali italiani c’è qualcuno che salta su per dire che non è riuscito a finire questo o quel libro, perché si perdeva troppo nei voli intellettuali ed eruditi dell’autore. E questo è positivo, perché scrittori e poeti sono tanto vivi quanto più critichiamo le loro opere e dibattiamo su stili, idee e gusti.

La letteratura dei grandi e dei classici è fatta di contraddizioni, da Dante a Montale, ed Umberto Eco non fa eccezione, forse in nessuno dei suoi scritti.

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Proprio la contraddizione, insieme alla menzogna, alla falsificazione, all’inganno, e alla presa in giro, è l’ingranaggio più importante di Baudolino, romanzo del 2000. Abbiamo detto tante volte che il mondo medievale era variegato e in costante contraddizione, composto dall’incontro e dalla convivenza di realtà apparentemente inconciliabili: i poteri del papa e dell’imperatore, la ricerca della perfezione e l’arte di accontentarsi, le sofferenze più indicibili e la capacità di godersi la vita con spensieratezza, il sacro e il profano, la guerra e la pace, la vita e la morte, il paradiso e l’inferno, Dio uno e trino, il reale e il fantastico.

La vita di Baudolino, nato nelle campagne piemontesi in cui sorgerà Alessandria, scorre impetuosa nella seconda metà del XII secolo, mentre Federico Barbarossa si confronta con i comuni italiani e la loro maledetta voglia di farsi gli affari propri. È un incontro casuale con l’imperatore a cambiare l’esistenza del protagonista, dando il via a una serie di eventi raccontati dallo stesso Baudolino, e che in quanto racconti sono esplicitamente frutto di una miscela tra realtà e invenzione: sappiamo benissimo, dall’inizio alla fine, che il protagonista potrebbe star inventando alcuni dettagli delle sue fantastiche avventure, ma va benissimo così.

Ma il tono della narrazione non cambia, lo stile impeccabile e curato di Umberto Eco non fa una piega, e così il lettore è costretto a domandarsi da solo se Baudolino ci stia dicendo la verità o stia nascondendo torbidi intrighi a cui ha assistito ma che non devono passare alla storia.

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La prima impressione è proprio che Umberto Eco abbia voluto trasporre le contrastanti sensazioni medievali in un testo, strizzando l’occhio al lettore inesperto nell’insegnargli qualcosa e facendo ridacchiare quello più ferrato. L’immersione è totale, tra latinorum e greco bizantino, vulgate e teologismi: addirittura il primo capitolo è un gioiellino alla Eco, scritto interamente in volgare.

Altro filo rosso è la ricerca, la quête, topos letterario adorato dai medievali (e quindi da Umberto Eco) che prevede che i personaggi arrivino – forse – alla destinazione o all’obiettivo solo dopo aver affrontato mille peripezie. Siamo posti di fronte all’intramontabile massima del “viaggio più interessante della destinazione”, sulle nuove scoperte, e proprio come gli uomini di quei secoli andiamo alla ricerca di nuove realtà e nuovi mondi, allargando gli orizzonti di un’Europa ormai strettissima.

Chierici, santi, pensatori, giudei, cavalieri, mercanti, imbroglioni, re leggendari o reali, intorno a Baudolino e ai suoi spostamenti volteggia una torma di personaggi variegata come poteva essere il Mediterraneo di quegli anni, quelli di Barbarossa e dei comuni, ma anche della disastrosa Quarta crociata, delle avventure verso est alla ricerca di chissà quale favoloso regno, di fantasie non impossibili e totalmente realizzabili perché erano parte di un immaginario collettivo alimentato dal racconto e dal dibattito ma anche dalla guerra e dalle fatiche tollerate giorno dopo giorno.

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La possibilità di mettere giù il libro e riprenderlo senza dover ricercare il filo del discorso gioca a suo favore, poiché è strutturato quasi a episodi come tutte le buone cronache e resoconti di viaggio medievali. Ma nel frattempo – riecco le contraddizioni – esige l’atmosfera giusta e un tacito accordo del lettore con l’autore e Baudolino: loro raccontano, noi ci fidiamo.

Inquadrare il genere, quello sì, è fattibile: un romanzo storico, supportato dalla gigantesca cultura del suo autore, con una dose di fantastico che alcuni trovano indigesta e un pizzico di giallo, perché quello sta bene su tutto.

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Baudolino è una lettura che non delude gli appassionati del Medioevo e di Umberto Eco, ma che scoraggia molti che giustamente si ritrovano a chiedersi il perché di intere pagine dedicate a dibattiti tra personaggi su questioni apparentemente futili e marginali, apparentemente banali riempitivi. Ci sono recensioni che accusano l’autore di aver “inceppato il gioco” narrativo che aveva funzionato per qualche romanzo, ma che alla lunga stanca; ma a quel punto come criticare la singola opera senza rigettare di conseguenza l’intera produzione di Umberto Eco? La costruzione di scenari del genere, circondati da uno sfoggio di cultura, da faccende incomprensibili, dalla spiegazione dell’inspiegabile, è proprio uno dei tratti tipici di Umberto Eco.

Non è detto che sia il romanzo più godibile di Eco, né il più riuscito, e si potrebbe dire, con vergognosa ignavia, che sarà il tempo a parlare. Baudolino è invecchiato, per ora solido, fiero e beffardo, e rivive ogni volta che ce la caviamo in strane situazioni e ci godiamo l’assurdo della realtà e della Storia.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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