Circa quarant’anni fa si giocò la doppia sfida tennistica che vide protagonista Bobby Riggs, nel 1973, rispettivamente contro Margaret Court e la paladina femminista Billie Jean King. Ma perché ancora oggi questa storia risulta essere, sempre, d’attualità?
La battaglia dei sessi
In questi giorni viene proiettato nelle sale cinematografiche il film La battaglia dei sessi della coppia di registi Jonathan Dayton e Valerie Faris, con protagonisti Emma Stone e Steve Carell. Caso ha voluto che l’uscita della pellicola coincida con un periodo storico in cui l’attenzione dell’opinione pubblica per la questione femminista stia raggiungendo un livello molto alto, per via del caso Weinstein, il potente produttore hollywoodiano accusato a più riprese di aver perpetuato numerose molestie sessuali durante la sua lunga e ricchissima carriera nel mondo del cinema. Specificatamente, a cosa si riferisce il titolo del film? Quale storia hanno voluto raccontare Dayton e Faris?
Siamo negli anni ’70, la rivoluzione femminista è in pieno fermento. Precisamente nel 1973 si svolgono due match di tennis che passeranno alla storia. Un protagonista è Bobby Riggs, eccentrico fuoriclasse del tennis degli anni ’30 e ’40. Essendo stato un campione tre decenni fa, naturalmente all’inizio degli anni ’70 egli ha già oltrepassato da qualche tempo la mezza età. Eppure, decide di sfidare in una partita di tennis la più forte giocatrice del mondo, la numero uno delle classifiche, miss Margaret Court. È la prima volta che un uomo e una donna si scontrano su una superficie tennistica e l’esito appare incerto.
La sproporzione in quanto a potenza fisica c’è, e sarebbe inutile negarlo; eppure, va sottolineato come Lei sia una tennista nel pieno della forma fisica, mentre Lui appare in leggero sovrappeso e non ha mai nascosto che, terminata l’attività agonistica, ha svolto una vita abbastanza agli antipodi rispetto a quella che dovrebbe svolgere un atleta.
Il match, però, nonostante queste premesse è senza storia: 6-2, 6-1 per Lui, Bobby Riggs, che con la sua faccia da guascone (un po’ megalomane) appare nelle settimane successive sulle copertine di Sport Illustrated e del Time magazine. Il match che passerà alla storia come Battle of the sexes (La battaglia dei sessi), infatti, non è questo. Qualche mese dopo Bobby tornerà in campo per sfidare un’altra atleta, Billie Jean King. Siamo sicuri che l’esito sarà lo stesso?
Billie Jean King
Billie Jean King è una tennista statunitense nata a Long Beach nel 1943. Alla fine degli anni ’60 è certamente una delle più forti giocatrici del circus. Vince ripetutamente a Wimbledon (il primo nel 1966), oltre ai titoli in Australia e Stati Uniti. Dovrà attendere invece il 1972 per conquistare anche Parigi, entrando a far parte della ristretta cerchia di fuoriclasse capaci di vincere tutti e quattro i tornei del Grande Slam.
Il tennis di quegli anni, però, non è lo stesso che recepiamo noi oggi. Prima dell’inizio dell’era Open nel 1968, la King guadagnava la modica cifra di cento dollari a settimana come istruttrice di tennis: non essendo uno sport professionistico, questo era l’unico modo per guadagnare denaro e nel frattempo, chiaramente, la tennista doveva girare il mondo e sfidare le più forti giocatrici della sua epoca. Denunciò più volte (utilizzando il termine shamateurism, da shame, vergogna) i pagamenti troppo bassi da parte della federazione internazionale, la quale di fatto spesso toglieva alle giocatrici la possibilità di iscriversi ai tornei. Con l’inizio dell’era Open, la situazione migliorò ma non del tutto.
Billie Jean King fece notare ripetutamente lo squilibrio di guadagni fra uomini e donne. Nel 1971 la King dominò gli US Open, eppure portò a casa quindici mila dollari in meno del vincitore maschile, il rumeno Ilie Nastase. La fuoriclasse con la racchetta in mano non ebbe dubbi e dichiarò che avrebbe smesso di partecipare al torneo casalingo qualora non si fossero equilibrate le vincite in denaro fra uomini e donne. L’anno successivo gli US Open diventarono il primo torneo tennistico in cui il vincitore e la vincitrice guadagnano lo stesso premio pecuniario. Wimbledon, per dire, ha dovuto attendere il 2007 prima di pareggiare il montepremi.
20 settembre 1973
Per quale motivo nel 1973 si disputarono questi due match tennistici? Il merito (o la colpa) è della guasconeria di Bobby Riggs, il quale alla ricerca di fama e denaro, disse che il gioco femminile era talmente inferiore che anche un uomo di 55 anni avrebbe potuto vincere contro le più forti del mondo; e così andò, effettivamente, contro Margaret Court. Billie Jean King inizialmente rifiutò la proposta di Bobby Riggs, salvo ritrattare successivamente in seguito a un’ottima offerta economica.
Oltre all’aspetto tecnico, la tennista di Long Beach, come si è detto, era una donna di forte personalità che intraprese varie battaglie per la parità dei sessi. Per questo motivo il match ebbe, fin dai preparativi, un impatto mediatico maggiore. L’arena di Houston vide la presenza di trentamila spettatori, mentre si calcola che in televisione assistettero al match oltre 90 milioni di persone, cifre da capogiro per l’epoca. Riggs era chiaramente convinto che avrebbe demolito la rivale femminile in poco tempo e con estrema facilità; Billie Jean, invece, spinta da forti motivazioni personali studiò il match del suo rivale contro Margaret Court per evitare gli stessi errori della connazionale.
La King giocò un match offensivo che di fatto colse totalmente impreparato l’ex campione degli anni ’40: la paladina dei diritti femminili stravinse per 6-4, 6-3 e 6-3. La portata del match fu storica e ciò spinse l’atleta a dichiarare: «Ho pensato che saremmo tornati indietro di 50 anni se non avessi vinto quella partita. Avrebbe rovinato il circuito femminile e fatto perdere l’autostima a tutte le donne» . Good job, Billie Jean.
Il mondo del tennis oggi
Nel tennis odierno l’icona femminista principale è probabilmente un uomo, Andy Murray. O meglio, forse risulta essere la figura maggiormente rilevante poiché è l’unico a prendere, con coraggio, una determinata posizione. Quest’estate, per esempio, ha corretto un giornalista che additava Sam Querrey come unico statunitense a raggiungere le semifinali di Wimbledon dal 2009: «Male player» (giocatore maschio) ha precisato Andy, poiché nel tabellone femminile diverse giocatrici statunitensi hanno giocato le semifinali del torneo londinese negli ultimi anni. Per qualcuno possono sembrare dettagli insignificanti, per altri no, dato che il mondo femminista ha più volte applaudito le parole e le prese di posizione di Andy Murray.
Negli ultimi anni si è parlato spesso del fatto che il tennis maschile porti più spettatori (e, quindi, più soldi) di quello femminile, anche se alcune grandi finali del XXI secolo smentiscono questa tesi; d’altronde le sorelle Williams o Maria Sharapova contribuiscono al marketing del tennis femminile esattamente come Roger Federer o Rafael Nadal fanno per quello maschile. Eppure, nonostante ciò, nessun grande personaggio del tennis si è mai esposto pubblicamente, tranne, per l’appunto, Andy Murray.
Egli è diventato il numero 1 al mondo anche grazie agli allenamenti dell’ex tennista francese Amelie Mauresmo, provocando molte ironie nel mondo parecchio conservatore del tennis. Non a caso, l’ex campionessa transalpina saliva sul banco degli imputati ogni qualvolta al suo allievo capitasse di perdere una partita: «Di norma, la colpa è sempre tua se perdi o se la tua prestazione non è stata il massimo. Con Amelie in panchina, invece, era sempre tutta colpa sua».
A oltre 40 anni da Billie Jean c’è ancora tanto, tantissimo da fare.