Dal secondo live degli Oasis, finalmente riuniti in quel di Cardiff (Galles), il 5 luglio, è andato virale un video che vede come protagonista una partecipante all’evento musicale più atteso dell’anno (forse, anche degli ultimi 15 anni). Si vede dapprima il cantante dei Verve, Richard Ashcroft, intonare i versi di una delle canzoni più famose di quegli anni Novanta che gli oltre 70mila spettatori sono lì per celebrare. Mentre Ashcroft canta con la sua voce graffiata e trascinata «No change, I can change / I can change, I can change / But I’m here in my mold / I am here in my mold», ritornello di Bitter Sweet Symphony, viene inquadrata una ragazza sugli spalti con la ricerca di Shazam attiva, l’applicazione che consente di identificare la musica che si sta ascoltando.
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La maggior parte dei commenti al video sono più o meno di questo tipo: «Ecco chi è riuscito a prendere i biglietti degli Oasis al tuo posto». Il post fa ridere e indignare allo stesso tempo, data la corsa forsennata dei fan degli Oasis che in tutto il mondo hanno tentato di accaparrarsi il Golden Ticket dell’anno. Eppure, spesso è ignota la lunga e tortuosa storia dietro a quella canzone che è divenuta uno degli inni di quegli anni e del BritPop, dei cui proventi non ha potuto beneficiare per decenni lo stesso autore e cantante dei Verve.
Il giro d’archi di Bitter Sweet Symphony è uno dei più celebri della musica alternative rock e pop moderna. Pubblicato nell’estate del 1997 come primo estratto del terzo album in studio dei Verve, Urban Hymns, il singolo è da subito piombato al centro di polemiche che riguardavano i Rolling Stones e i diritti di autore. Nonostante l’immenso successo del brano di Richard Ashcroft, quest’ultimo fruttò infatti ben poco alla band di Wigan (Inghilterra). I Verve avevano raggiunto un accordo con i Rolling Stones per utilizzare un passaggio di cinque note della cover riarrangiata in chiave orchestrale del brano The Last Time, pubblicato nel 1965 dagli Stones. In cambio i Rolling Stones avrebbero giovato del 50% dei ricavati del nuovo brano dei Verve. Il riadattamento orchestrale di The Last Time era stato realizzato dalla Andrew Oldham Orchestra per il loro album The Rolling Stones Songbook (1965) e assomiglia molto alla Bitter Sweet Symphony Ashcroftiana.
Con l’uscita di Bitter Sweet Symphony nel 1997 e la sua straordinaria popolarità, un vecchio manager che gestiva i diritti musicali degli Stones negli anni Sessanta, Allen Klein, si fece avanti, accusando i Verve di aver violato gli accordi e utilizzato un estratto più ampio di quello concesso dai Rolling Stones. Secondo Richard Ashcroft la causa venne intentata solo dinanzi al successo del suo brano, anche perché Decca (l’etichetta discografica degli Stones) aveva dato il suo permesso ad utilizzare il campione contenuto nella cover degli Stones. Il chitarrista dei Verve, Nick Cable, spiegò che la loro canzone era in realtà molto più ricca e articolata rispetto al brano degli Stones. «The sample hardly featured in at all. The main string line that everybody seems to think is the sample is Wil Malone’s score. The high string line that comes in at the beginning and then the swelling strings have nothing to do with the Rolling Stones».
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Tuttavia, l’ABKCO Records, l’etichetta musicale di Allen Klein che detiene i diritti di autore del materiale musicale dei Rolling Stones degli anni Sessanta, citò in tribunale il gruppo di Ashcroft per aver violato le norme sul diritto di autore, accusando i Verve di plagio. Le accuse di Klein non riguardavano solo il fatto che i Verve avessero usato un numero maggiore di note dell’arrangiamento di Andrew Oldham. L’ex manager dei Rolling Stones asseriva, infatti, che anche la melodia vocale di The Last Time era stata copiata e semplicemente riadattata ad un tempo più lento. Tutto questo proseguiva mentre Bitter Sweet Symphony segnava una decade e l’era del BritPop. Allen Klein chiese dunque che i diritti di autore non fossero più condivisi tra i Verve e Mick Jagger e Keith Richards, autori di The Last Time, riservandoli interamente ai due leader degli Stones. Richard Ashcroft perse la causa e scherzò, affermando che Bitter Sweet Symphony era la canzone più bella scritta da Jagger e Richards negli ultimi venti anni. Nonostante i due non avessero giocato alcun ruolo nella scrittura della canzone, il brano composto dai Verve venne nominato ai Grammy’s del 1999 sotto al nome di Jagger e Richards. In tutto ciò, David Whitaker, il compositore che arrangiò la versione orchestrale di The Last Time, non venne aggiunto nei credits. «The hole thing just makes me a bit sick», aveva commentato. Nel 2019 è stato stimato che Bitter Sweet Symphony ha fruttato a Jagger e Richards circa 5 milioni di dollari.
In realtà, lo stesso Ashcroft ha spiegato come a beneficiare dei ricavi della sua canzone non fossero proprio i Rolling Stones. «In the end, it’s not in the Stones’ hands. It’s in the hands of some guy in a suit in New York City, who owns their material». A detenere i crediti di Bitter Sweet Symphony era, infatti, per lo più la casa editrice di Allen Klein, l’allora manager dei Rolling Stones e anche dei Beatles e Sam Cooke. Klein divenne famoso nel tempo per essere un uomo d’affari che utilizzava tattiche aggressive per proteggere i diritti musicali gestiti dalla sua compagnia, divenendo protagonista di diverse polemiche e conseguenti cause legali. L’imprenditore statunitense, infatti, non solo contribuì direttamente al rancore creatosi tra John Lennon e Paul McCartney, ma trattenne anche ingenti somme di denaro da Lennon e George Harrison, facendo poi loro causa per 4,2 milioni di dollari quando decisero di separarsi.
Capitalizzando sul successo di Bittersweet Symphony, Klein diede il benestare alla concessione del brano per diversi spot pubblicitari, come uno della Nike e uno della casa automobilistica Vauxhall. Il tutto senza interpellare i Verve, ormai fuori da ogni proprietà del loro brano. Si dovette attendere la morte di Allen Klein, avvenuta nel 2009, per iniziare a scorgere il soffio di un nuovo vento a favore dei Verve. L’ABKCO passò al figlio Jody Klein, tuttora proprietario e CEO della casa discografica, che inaugurò un nuovo dialogo con Jagger e Richards nella questione dei diritti di Bitter Sweet Symphony. La polemica si riaccese poi nel 2018, con il frontman dei Verve che, ospite alla trasmissione podcast Kyle Meredith with…, si rivolse direttamente agli Stones chiedendo di aiutarli a riavere i diritti sulla propria canzone.
Nel 2019 arrivò finalmente il comunicato che sancì la vittoria di Ashcroft: «In futuro tutte le royalties che sarebbero state loro assegnate per Bitter Sweet Symphony andranno a Richard Ashcroft», precisando inoltre che Jagger e Richards «non hanno più bisogno di essere riportati nei crediti di Bitter Sweet Symphony, riconoscendo che per quanto li riguarda la canzone è di Richard». La canzone è ora interamente nelle mani dei Verve, che hanno iniziato a ricevere dal 2019 i ricavi dei diritti di autore. Purtroppo, nessuno dei precedenti incassi è stato ridato indietro. Inoltre, in un’epoca in cui la vendita dei dischi e lo streaming delle canzoni sono cambiati notevolmente rispetto al passato, con la seconda vita di Bitter Sweet Symphony al di fuori dalla sua epoca di maggior successo (come la ragazza che fa shazam al concerto degli Oasis testimonia), è probabile che i ricavi di un tempo non saranno più comparabili a quelli di adesso. Una vicenda «dolceamara», come aveva previsto lo stesso Ashcroft.
Nonostante tutto questo, Bitter Sweet Symphony rimane una canzone che parla di vita e del continuo susseguirsi di gioie e dolori, tra la lotta contro il sistema e l’oppressione. Parlando di Allen Klein, Ashcroft aveva citato proprio la canzone vittima del lungo processo legale, che al secondo verso recita «You’re a slave to money then you die». Il frontman dei Verve aveva sempre riconosciuto alla canzone un valore che andava oltre se stesso e la band, come appartenesse ad una generazione per i suoi temi e la forza stessa della sua melodia: «The song is bigger than me, is bigger than the band». Così come la vicenda legale per Ashcroft andava oltre il semplice aspetto economico, sempre rivendicato, ma mai posto come punto principale: «It was always about the song, not the money».
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