fbpx
Fonte: themillenniumreport.com

Brexit, ma perché?

13 minuti di lettura
Fonte: themillenniumreport.com
Fonte: themillenniumreport.com

La Gran Bretagna esce dall’Unione europea. O meglio rimane incastrata nella porta con una gamba di qua e una di là, un braccio di qua e uno di là, un orecchio di qua e un orecchio di là, ma poi alla fine con una spintarella va tutta fuori. Confusa, spaccata a metà, con un 51,9% pro-uscire contro un 48,1% pro-rimanere. Le voci della vittoria parlano poco e piano. Sono più rumorose (per quanto possano essere rumorose le voci inglesi) quelle dell’indignazione. E quell’indignazione arriva anche dagli altri Stati europei. E dal resto del mondo. Ma quello di oggi è un evento storico che va analizzato nelle sue cause per capire cosa lo ha determinato.

Hanno dilagato per mesi le campagne del populismo e della politica spicciola, come da manuale in questi casi. Quella degli argomenti economici, che funzionano perfettamente in entrambe le direzioni – in or out – e quella della chiusura delle frontiere all’immigrazione. Per mesi si è sentita forte la voce dei pro-Ue mentre l’altra metà dei cittadini prendeva le sue decisioni conservatrici in sordina. O quantomeno, non poteva esprimersi nella sua posizione con lo stesso orgoglio dei pro-Ue perché era chiarissimo quale fosse il trend, la posizione accettabile, e quale fosse uno shame, una vergogna. Li chiamano shy Tories, qui. Shy significa timido. E così molti sono stati shy per evitare lo shame. Timidi perché vergognosi. A quanto dicono, ce ne sono parecchi di shy tories. Shy specialmente nelle generazioni più giovani, che non si aprono al dibattito per paura della gogna pubblica, ritornata in voga con la rete sociale online. Timidi e zitti, e  quindi senza alcuna chance di cambiare la propria posizione, o di renderla meno vergognosa e più intelligibile.

Ma perché allora mezza Gran Bretagna ha votato di uscire? Cerchiamo di dare qualche ragione storica, un’analisi del profilo dei votanti inglesi. È utile l’analisi di uno dei conservatori britannici più influenti e preparati: Sir Roger Scruton, filosofo e commentatore pubblico. La prima distinzione che Scruton tiene a sottolineare è quella della differenza tra sentirsi europei e sentirsi parte dell’Unione Europea:«Io mi sento europeo, e la ragione per cui molti inglesi si sentono dubbiosi riguardo all’Unione Europea è proprio perché si sentono europei». Sarebbero tre le caratteristiche fondamentali del sentimento inglese per cui gli inglesi non sono convinti dall’Ue.

La prima caratteristica sarebbe una differenza di situazione post-seconda guerra mondiale. L’Inghilterra, a differenza di molti altri stati europei, non era stata occupata dalle forze naziste. In quella guerra, soprattutto gli inglesi che l’avevano vissuta, avevano avuto la sensazione di realizzare i loro propositi: avevano «protetto la loro libertà, indipendenza e sovranità». Questo significa che gli inglesi hanno approcciato questa unione sovranazionale con una premessa diversa. Loro erano riusciti a difendere la loro libertà, e facendolo, anche a difendere i valori dell’Europa. Ma quindi non avevano gli stessi motivi dei tedeschi e dei francesi, o degli italiani, nell’entrare in questo nuovo tipo di riconciliazione. Gli uomini che avevano combattuto la guerra e che erano tornati sentendosi vincitori, si erano chiesti: è veramente worthy? Ne vale veramente la pena? Questa domanda sarebbe sempre rimasta insita nei pensieri degli inglesi delle vecchie generazioni.

La seconda caratteristica è che il paese britannico ha un tipo di legge diversa da quello del resto dell’Europa. In Europa vige la giurisdizione napoleonica, che impone la legge “dall’alto”. In Inghilterra la faccenda è diversa. La legge non è largamente “imposta dall’alto”, ma creata nei tribunali. I cittadini britannici sentono di scoprire la legge nel risolvere i conflitti. Un caso può fare legge: un particolare modo di risolvere un conflitto, mai adottato prima, può essere “scoperto”. In parole spicciole: la sensazione è che il cittadino europeo scelga i suoi vestiti in un grande negozio di capi precuciti, di cui può scegliere al massimo taglia e colore nelle diverse situazioni, mentre il cittadino inglese va dal sarto e se lo fa cucire addosso. E si sente più indipendente. Questo fatto è molto rilevante in questa circostanza. Le leggi inglesi partono dal basso, dalla risoluzione dei conflitti. Sul versante europeo, e dall’Unione europea, c’è l’imposizione della legislazione dall’alto. Si tratta di sistemi di legge strutturalmente diversi, per cui i cittadini inglesi hanno difficoltà ad accomodare le proposte della legislazione europea. Gli inglesi si sentono in qualche modo governati da fuori e dall’alto. Lo sentono come uno scacco alla loro sovranità – soprattutto, da un “fuori”’ che non capisce i criteri della legislazione inglese.

La terza caratteristica è che gli inglesi parlano una lingua internazionale. Perciò loro sono una specie di «monoglot highly ignorant community», una comunità monoglotta altamente ignorante, che raramente impara un’altra lingua. E perciò capace di comunicare con tutti ma incapace di trasferirsi a vivere in altri Stati. Allo stesso tempo l’inglese è la prima lingua che tutti gli altri cittadini imparano. Da ogni parte d’Europa (e non solo) chiunque può trasferirsi nel loro territorio, e la loro percezione è che il loro territorio sia piccolo per tutte le ondate di persone che decidono di stabilirsi affianco a loro. Gli inglesi, cultori dell’ordine profondo e dell’indipendenza, sentono che hanno perso il controllo dei loro confini. Le persone si chiedono che cosa significa avere sovranità nazionale se non si possono controllare i propri confini. E questo, secondo Scruton, non è da interpretare come un nazionalismo (la Gran Bretagna è in realtà costituita da quattro nazioni impacchettate insieme) ma come un tentativo di avere sempre sotto controllo un ordine profondo.

A parere di Scruton quindi gli inglesi non avrebbero deciso di votare Brexit perché non si sentono europei. Piuttosto perché non sentono che l’Unione Europea così come allo stato attuale rappresenti quello che l’Europa potrebbe e dovrebbe essere. Queste ragioni hanno spinto quel 51,9% di inglesi a votare di uscire, mescolate alla malattia mortale della paura, impepata di opportunismo e vigliaccheria, bollita da campagne elettorali populiste. Non possiamo nemmeno sapere quanti abbiano votato senza avere la benché minima idea di cosa ci fosse in ballo, dato che questo sistema conta ma non pesa.

Ma se queste sono le ragioni, e cioè che gli inglesi si sentono europei eppure pieni di dubbi riguardo all’Unione Europea, c’erano argomenti più convincenti che potevano essere dati in un dibattito pubblico più acceso e coraggioso, senza intimidire nessuno con l’indignazione. Più sostanziosi dell’arido discorso economico e dell’accoramento fariseo da social network.

Per esempio, si sarebbe potuto spiegare che dopo due guerre mondiali incredibilmente tragiche e sanguinose, alcuni stati europei principali si sono resi conto che il sistema politico dello stato-nazione è stato in parte significativo per il caos del secolo passato. Questa situazione doveva essere cambiata, e il progetto dell’Unione europea ha segnato anzi un coraggioso tentativo di rimuovere l’anarchia all’interno di una delle regioni storicamente più inclini alla guerra del mondo, promuovendo la pace. Il rischio attuale è quello di confondere l’attuale governo, discutibile, dell’Unione europea, con una inutilità, anzi, un fastidio, della esistenze dell’Unione europea in generale. Alcuni dicono che anche senza una Unione europea forte, la Nato dovrebbe essere sufficiente a mantenere la pace in Europa. Ma innanzitutto, solo perché abbiamo ereditato due guardie del corpo, questo non significa necessariamente avere ragione a licenziarne una.

Ancora più importante, l’esistenza e l’appartenenza alla Nato dà poche e spicciole ragioni agli stati-membri per mantenere una politica di alleanza con gli altri membri della Nato. La Nato è semplicemente una istituzione formale di alleanza, com’era la Società delle Nazioni. Ma se una nazione non vede più un interesse nel mantenere un’alleanza con gli altri stati membri, non c’è niente che possa fermarla dall’abbandonare o ignorare le richieste di aiuto degli altri stati membri. Basta considerare l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni nel 1933, e gli altri membri della Lega che non riescono a venire in aiuto della Cina dopo l’invasione della Manciuria nel 1931. La mera esistenza di una alleanza multilaterale basata sulla difesa non è sufficiente a mantenere la pace, se i sottostanti meccanismi del sistema internazionale sono a somma zero. In parallelo, c’è da sottolineare che il peso principale dietro la Nato sono gli Stati Uniti. E mentre Barack Obama si è fortemente impegnato a proteggere la sicurezza degli stati europei, Donald Trump chiarisce che l’impegno degli Stati Uniti per proteggere la sicurezza dei suoi alleati (in particolare stati lontani come gli stati baltici) non può essere esteso indefinitamente nel futuro. C’è un senso crescente negli Stati Uniti che è ingiusto per gli americani pagare il conto per la sicurezza europea. La sicurezza europea è una responsabilità europea. E perciò forse la scelta più prudente sarebbe quella di attenuare la misura in cui l’Europa dipende dalla stampella americana.

Questo significherebbe in realtà mantenere un’Unione europea più forte e unificata possibile.

Ma a quanto pare, anche il blocco di inglesi che ha votato per restare sembra non avere piena coscienza dell’importanza storica di un’unione sovranazionale, a giudicare dagli argomenti proposti. Intrisi di ipocrisia e tartuferia, con cui oggi si neutralizza ogni presa di posizione. E che chiaramente non erano sufficienti per convincere veramente la fazione opposta. E così l’Inghilterra si spacca a metà, confusa. Stordita. Nella paura.

Non gli serve la nostra indignazione, ma il nostro dispiacere.

Silvia Lazzaris

 

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

2 Comments

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.