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La Sagrada Familla al tramonto. www.viaggiatore.net

Catalanismo differente: il derby di Barcellona

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El delantero centro fue asesinado al atardecer (Il centravanti è stato ucciso verso sera) è uno dei più celebri gialli di Manuel Vàzquez Montalbàn, uno dei più grandi scrittori catalani del XX secolo. Come quasi tutte le sue opere anche questa è ambientata a Barcellona e il protagonista è il detective privato Pepe Carvalho. A un certo punto del romanzo, Pepe insieme ad un suo informatore finisce in un bar evidentemente e nostalgicamente franchista. Ciò lo si può intuire certamente per le effigi militari sparse nel locale, ma anche e soprattutto per le sciarpe delle squadre di calcio. Infatti non sono appese le bufandas blaugrana, ma quelle di altri due club: ovviamente il Real Madrid, la squadra falangista per antonomasia, ma anche l’Espanyol, ovvero l’altra metà di Barcellona. Il romanzo si svolge alla fine degli anni ’80, quando la città è un cantiere aperto poiché si sta preparando alle Olimpiadi del ’92; ed è da poco più di un decennio uscita dalla dittatura, come d’altronde tutte le altre città spagnole. La Catalunya e Barcellona però hanno rappresentato storicamente un’oasi a parte rispetto al resto della penisola iberica e ciò viene evidenziato perfettamente durante il periodo franchista. Ma il credo dell’Espanyol e il locale in cui finisce Pepe Carvalho mettono in luce come di fatto esista un’altra versione del catalanismo: e tale versione non potrebbe essere maggiormente distante da quella blaugrana.

Il centravanti è stato ucciso verso sera.
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Il motto del Barcelona Fùtbol Club è molto conosciuto e altrettanto esemplificativo: Mès que un club in catalano significa più di un club, perché la squadra simboleggia qualcosa che va oltre l’essere una semplice società calcistica. Il Barça «rappresenta l’esercito simbolico e disarmato della Catalogna», definizione sempre di Montalbàn, il quale non ha mai nascosto di essere un tifoso culé. Probabilmente senza saperlo, ma l’odierno calcio europeo parla un po’ di català. Per esempio quando scriviamo tiki-taka e non tiqui-taca; il primo infatti è stato inventato nella città di Gaudì, il secondo è una semplice importazione della roja di Del Bosque. Oppure lo stesso termine blaugrana non viene utilizzato in tutta la penisola iberica: infatti nelle altre regioni spagnole, Messi e compagni sono gli azulgrana, poiché il colore blu si dice blau solamente in Catalogna e nella comunità valenciana. D’altronde secondo Joan Fuster, probabilmente il più grande saggista di sempre in lingua catalana, tale ceppo linguistico è la fonte principale da cui derivano tutte le lingue indoeuropee. Forse era già scritto che nel calcio saremmo tornati a parlare il loro idioma.

Il motto dell’altra metà di Barcellona (che, ovviamente, non è l’esatta metà numerica) è molto meno celebre, ma anch’esso delinea perfettamente l’ideologia del clùb: maravillosa minoria, meravigliosa minoranza. È lecito chiedersi come si possa tifare Espanyol a Barcellona. Da una parte c’è una squadra ricca, bella, piena di campioni, conosciuta in tutto il mondo non soltanto dagli appassionati di calcio e, oltretutto, nella sua storia ha mostrato spesso e volentieri caratteristiche affascinanti. L’Espanyol invece rappresenta la perfetta antitesi all’universo blaugrana: squadra povera, senza fuoriclasse, apprezzata solamente dai calciofili incalliti e, soprattutto, si porta dietro una storia poco seducente.

Il Real Club Deportivo Español nasce nel 1900 e già dal nome si evince la precisa vocazione di allargare i propri confini aprendosi a tutta la penisola iberica. Infatti il nome originale del club è in castillano: Español, scritto proprio in questa maniera. Nel 1995, quasi un secolo dopo la fondazione, su precisa richiesta della dirigenza dell’epoca, il club acquisisce la denominazione catalana, diventando Espanyol con la Y, che può apparire un dettaglio da poco, ma certamente non lo è. La squadra oltretutto è sempre stata Real (Reial in catalano) e a all’ombra della Sagrada familla ciò è qualcosa che va tenuto sempre in considerazione. Per questo motivo, oltre che per meri dati statistici, l’universo blancoazul può definirsi perfettamente una minoria, che poi essa sia maravillosa (o meravellosa) dipende chiaramente dai punti di vista. D’altronde, se si è filomonarchici e filofranchisti nella città simbolo dell’indipendentismo e dell’opposizione alla dittatura, è naturale restare in disparte e ottenere molta poca considerazione.

La Sagrada Familla al tramonto.
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Nella storia del calcio europeo probabilmente non esiste un derby con una tale sproporzione di forze. Forse soltanto quello di Monaco di Baviera può reggere il confronto, ma non essendosi mai disputato negli ultimi dieci anni, esso ha perso molto del fascino tipico degli scontri Davide contro Golia. Il gioco del calcio seduce per un numero infinito di motivi, ma una buona parte del merito deriva certamente dall’imprevedibilità del risultato. Per questo il derbi català di domenica ha un chiaro favorito, ma non un esito scontato. A Barcellona le due squadre non hanno mai lottato per lo stesso obiettivo, ovvero la Liga spagnola: troppa differenza di ricchezza, di potere, di campioni. Ma come vuole la regola del Palio di Siena, se non vince il cavallo della propria contrada, l’importante è che il vessillo della contrada rivale non tagli il traguardo per primo. Tale regola è chiaramente esportabile al mondo dei derby calcistici.

La stagione 2006/07 del calcio spagnolo è sportivamente drammatica. A due giornate dal termine, tre squadre possono ancora vincere il titolo: il Siviglia di Juande Ramos, il Real Madrid di Fabio Capello e il Barcellona di Frank Rijkaard. Gli andalusi hanno appena conquistato la seconda Coppa Uefa della loro storia e non vanno oltre lo 0-0 sul campo del Mallorca; il Real si gioca le chances di vittoria del campionato in trasferta alla Romareda di Zaragoza; al Nou Camp va in scena l’ennesimo derbi català e la squadra di Rijkaard deve vincere assolutamente per mantenere intatte le speranze di titolo. L’Espanyol arriva da un momento molto complicato, poiché qualche giorno prima ha perso ai rigori la finale di Coppa Uefa proprio contro il Siviglia. I giocatori sono chiaramente abbattuti, la stagione per molti è già finita dato che la squadra non ha più nulla da chiedere al campionato. L’ultimo obiettivo era il titolo europeo, che sarebbe stato il primo trionfo continentale nella storia del club. I calciatori hanno pochi giorni per ricaricare le energie fisiche e mentali: c’è un derby da onorare e bisogna dare tutto contro i rivali di sempre. La squadra si stringe attorno al proprio capitano, Raul Tamudo. C’è un record che spiega perfettamente come Tamudo sia un calciatore speciale: infatti è il miglior marcatore catalano della storia del campionato spagnolo. Lui che con il Barcellona non ha mai giocato un minuto, ma in compenso ha segnato 129 gol con la maglia dell’Espanyol.

Il Real Madrid fatica più del previsto in terra aragonese e viene colpita due volte dal centravanti avversario, nientemeno che el principe Milito. Mancano pochi minuti e la partita di Zaragoza si sta trasformando in un inferno per i tifosi madrileni, anche perché il Barcellona nel frattempo conduce il derby 2-1. Raul Tamudo nel primo tempo ha illuso i propri tifosi, ma i blaugrana hanno presto rimontato la partita; dagli spalti del Camp Nou i tifosi del Barça cominciano a cantare “campeones, campeones”. Ma non è ancora finita. Piccola parentesi: è fantastico come le lingue iberiche declinino una disfatta, un fracaso: esse creano un neologismo aggiungendo la desinenza finale al nome del protagonista (attivo o passivo) del disastro. Il più celebre nella storia del calcio è in lingua portoghese ed è il Maracanazo del 1950, al seguito del quale parecchi brasiliani scelsero la via del suicidio per non sopravvivere all’onta di una vergognosa sconfitta casalinga. E cosa diventa un fracaso quando il protagonista è il miglior marcatore catalano di sempre? Semplice: el Tamudazo. Raul Tamudo a cinque minuti dalla fine firma la propria doppietta personale. Il derbi català finisce in parità, ma c’è un chiaro vincitore oggettivo, infatti a 90 minuti dalla fine del campionato il Real Madrid si conferma capolista e agguanterà il titolo la domenica successiva. I tifosi dell’Espanyol lo sanno bene: il cavallo rivale non ha vinto.

Raul Tamudo indica lo stemma dell’Espanyol.
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Manuel Vazquèz Montalbàn è morto d’infarto nel 2003 a Bangkok, poiché l’aereo sul quale si trovava stava facendo scalo prima di rientrare in Europa. Coincidenza del destino, Montalbàn ci ha lasciato proprio in Thailandia dove è ambientato il primo romanzo con protagonista Pepe Carvalho. L’ispettore privato, morto anche lui insieme al suo ideatore, viveva in collina a Valdivrera in una casa che domina tutta Barcellona; egli ha visto la città cambiare, in peggio, nel corso degli anni. Cinico, agnostico e disilluso amava bruciare i libri della sua sterminata biblioteca per aizzare il fuoco del caminetto, poiché riconosceva lo scarso valore che quest’epoca affibbia alla cultura. Pepe possedeva un ufficio nella sua zona preferita della città, cioè le ramblas; e durante le pause il detective amava camminare avanti e indietro lungo i celebri larghi viali di Barcellona. Se li avesse percorsi quel 9 giugno del 2007, avrebbe certamente visto una maggioranza di sciarpe dell’Espanyol. Per un giorno, per un solo giorno, la minoria si è goduta la propria rivincita.

Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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