È scontro aperto tra il sindaco di Roma Virginia Raggi e il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Il motivo del contendere è ormai noto, e ha a che fare con il decreto che istituisce il parco archeologico del Colosseo, il quale, secondo la stessa Raggi, sarebbe «lesivo degli interessi» della città.
Secca la replica del titolare del Mibact, che accusa il Movimento 5 Stelle di «bloccare una riforma che sta dando frutti in tutta Italia» costringendo la Capitale a un immobilismo inaccettabile. Per il sindaco però l’unica cosa che non può essere tollerata è il fatto che «a Roma ci siano aree di serie A e aree di serie B. Come sindaca di Roma non posso sorvolare sul fatto che lo Stato centrale voglia gestire in totale autonomia il territorio della città che, invece, è patrimonio dei suoi cittadini». Secondo la Raggi, infatti, con la nascita del nuovo ente «i ricavi della bigliettazione del Colosseo e dei Fori Romani» finirebbero solo per il 30% alla città di Roma, il 50% in meno di quanto avviene oggi.
La risposta perentoria di Franceschini ha tirato in ballo lo scottante tema delle fake news, accusando il sindaco di usare argomenti falsi che alimentano l’idea secondo cui il Ministero sottrarrebbe risorse a Roma e ai romani: «Ora ripeto in due righe la verità, che risulta dagli atti e non è contestabile: prima delle riforma l’80% degli incassi restava su Roma per il Colosseo, i Fori e il resto del patrimonio statale, mentre il 20% andava al fondo di solidarietà nazionale, come fanno tutti i musei statali italiani a favore dei musei più piccoli; dopo la riforma l’80% degli incassi resta su Roma per il Colosseo, i Fori e il resto del patrimonio statale, mentre il 20% va al fondo di solidarietà nazionale, come fanno tutti i musei statali italiani a favore dei musei più piccoli. Notate qualche differenza?»
I rapporti sono però ormai ai minimi storici. Virginia Raggi, con una conferenza stampa convocata lo scorso 21 aprile (il Natale di Roma, tra l’altro) ha annunciato un clamoroso ricorso al TAR che rischia, al di là della prevedibile irritazione del ministero, di bloccare tutto il processo di riforma.
La risposta tranchant di Franceschini si limita a riportare i dati di ieri e di oggi sulla questione incassi (per verificare basta andare a vedere il DM 12 gennaio 2017 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.58 del 10.3.2017) giungendo linearmente a una conclusione di facile intuizione: non cambierà nulla. Di quell’80%, il 50% andrà ai siti dell’area archeologica centrale e il 30% a quelli nel restante territorio della città, di competenza della Soprintendenza speciale di Roma.
Risulta comprensibile allora, l’irritazione generale che circola al Mibact. Il ministro, in un comunicato ufficiale, stigmatizza duramente la decisione della giunta capitolina: è legittimo, giustamente, avere opinioni diverse, altra cosa è avvalorarle avvalendosi di tesi e strumenti senza fondamento reale. L’idea sostenuta dal titolare del dicastero è quella che si tratti di un’astuta mossa politica, portata avanti issando il vessillo del No e spingendo sul tasto del sottrarre i soldi ai cittadini.
La riforma ha funzionato e sta funzionando ovunque in Italia, da Pompei a Brera passando per la Reggia di Caserta. Ora a Roma si rischia uno stallo che dovrà in qualche modo essere risolto.