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Il consumo di opere d’arte: verso una maggiore inclusività

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16 minuti di lettura

Secondo alcuni è possibile affermare che «senza un osservatore, l’arte non esiste». Ciò presuppone che vi sia qualcuno, uno spettatore, un individuo che osservi un’opera e che la giudichi come un’opera d’arte e non come un qualunque manufatto. È, quindi, necessaria una comunità di persone che faccia esperienza dell’arte. Difatti, l’intento di un artista è comunicare un messaggio attraverso la sua opera e ciò implica che vi sia un destinatario a questo messaggio. Senza un pubblico, non ci sarebbe esperienza dell’arte e di conseguenza non ci sarebbe alcun consumo di opere d’arte. Ma di che pubblico, di che consumatori di arte stiamo parlando? Quali caratteristiche e quali competenze devono avere?

C’è una differenza tra il consumatore odierno e il consumatore che in qualche modo si potrebbe definire tradizionale. L’esperienza che si fa dell’arte è cambiata nel tempo, perché sono cambiati i modi e i mezzi di accesso ad essa.

L’amore per l’arte: uno studio sui consumatori

In sociologia, l’arte è stata spesso studiata da numerosi teorici: la sua natura, gli artisti, i consumatori, sono stati tutti oggetto di analisi sociologiche volte a comprendere quali fossero gli aspetti più sociali e le conseguenze di questo mondo. Spesso, si ha in mente un consumatore tradizionale di arte, qualcuno che soddisfi determinati canoni di istruzione, interessi e provenienza sociale.

Ad oggi è molto difficile condurre delle indagini dettagliate su chi accede a mostre, musei, luoghi di cultura e spesso si cade nell’idea sbagliata e sorpassata che i frequentatori di musei siano persone appartenenti soprattutto alla classe medio-alta. Di notevole importanza è lo studio condotto da Pierre Bourdieu e Alain Darbel alla fine degli anni ’60. I risultati di tale studio vengono pubblicati nel 1966 ne L’amore per l’arte che raccoglie i dati della ricerca condotta dai due studiosi francesi.

Cosa emerse, al tempo, da questi dati di così utile per far capire, oggi, come effettivamente sia cambiato il consumo di opere d’arte e i suoi fruitori?

Dall’analisi dei due sociologi si nota come in passato o almeno fino al secolo scorso, la maggior parte dei visitatori di musei fossero bambini e adolescenti in età scolare, persone con un titolo di studio alto e pensionati: solo una minima parte di queste persone era in età lavorativa e solo il 4% della classe operaia faceva parte di questo pubblico. I principali riferimenti, all’interno di questo studio, sono ad una fascia di visitatori appartenente ad una classe sociale medio-alta, che ha conseguito una maturità liceale o una laurea e che quindi, si può evincere, fosse in grado di comprendere ciò che aveva di fronte in materia di arte.

Queste condizioni sottolineavano come chi facesse più consumo di opere d’arte fosse chi già aveva dedicato molto tempo alla propria formazione culturale e cioè chi, paradossalmente, ne aveva meno bisogno.

consumo di opere d'arte

L’esperienza odierna del consumo di opere d’arte

Oggi, però, ci si trova in una situazione diversa. Sembra che questi vincoli, questi requisiti da soddisfare, non esistano quasi più. Questo perché anche l’arte ha risentito delle innovazioni tecnologiche, ma soprattutto dell’avvento di Internet. Il consumo di opere d’arte che oggi si presenta al pubblico è un consumo agevolato, che invoglia il singolo a consumare l’opera d’arte, ad arricchire la sua cultura personale, slegandosi completamente da quei vincoli che si credeva, in precedenza, fossero le uniche condizioni per accedere all’arte stessa.

Si potrebbe quasi affermare si tratti di un consumo rivolto a tutti, universale. O meglio, universale per tutti quelli che ne sono interessati, ma che a suo modo invoglia anche chi, magari, di arte non ha un interesse spiccato, ma soltanto una semplice curiosità.

Difatti, oggi, è possibile mettere in relazione il cambiamento avvenuto nel consumo di opere d’arte e la sua accessibilità attraverso iniziative ufficiali, novità tecnologiche e mediatiche, ma non solo: è cambiata anche l’interazione che l’artista ha con il consumatore.

Le iniziative istituzionali sempre più diffuse e le nuove modalità di interazione con opere d’arte e artisti hanno sicuramente cambiato l’esperienza. Numerose sono le iniziative proposte per ampliare i destinatari della cultura. Oltre alle iniziative ufficiali, troviamo anche nuovi modi di presentare un’esposizione o una mostra o, talvolta, sono i musei stessi ad agevolare l’accesso del pubblico.

Nel nostro Paese, ad esempio, l’iniziativa di maggiore impatto e successo è «Domeniche al Museo», iniziativa proposta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Questa novità, introdotta per la prima volta nel 2014, coinvolge numerosi comuni italiani, i quali per la prima domenica di ogni mese, consentono l’ingresso gratuito a musei civici, gallerie, siti storici, parchi e giardini.

Con l’introduzione di questa iniziativa, si ha una svolta nel considerare chi può effettivamente accedere all’arte. Il pubblico si amplia, anche chi non può permettersi un biglietto o magari è restio a dedicare del tempo, ad esempio, alla visita di un museo, può così essere invogliato a prendere comunque parte ad un arricchimento culturale per se stesso, senza dovervi rinunciare a tutti i costi. Non c’è alcuna predisposizione, alcun criterio da rispettare: è gratuito, per tutti.

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Abbattendo le barriere: mostre interattive e social media

Anche le nuove modalità cui oggi vengono allestite alcune esposizioni d’arte hanno un ruolo importante nel cambiamento dell’esperienza artistica. Tra le più celebri ricordiamo Klimt Experience, Caravaggio Experience e Inside Magritte tenutesi in molte città italiane negli scorsi anni. Si tratta di mostre multimediali, che sfruttano immagini, suoni, video, per consentire allo spettatore di immergersi nell’opera stessa. Questa è una vera e propria rivoluzione: si cancella il confine da museo che si instaura tra lo spettatore e la tela affissa ad una parete.

Si è immersi a 360 gradi nell’opera e ciò incuriosisce, ma soprattutto unifica. Chiunque, circondato da colori, pennellate, è parte dell’arte e la consuma e si fa consumare a sua volta da essa. E di per sé la multimedialità di un’esposizione artistica allarga gli orizzonti di chi la visita e consente una maggiore interazione con l’opera, andando ancora una volta a smentire la necessità di una disposizione alla fruizione, sia essa legata alla provenienza sociale o all’educazione di ciascuno.

Inoltre, i social media ed Internet hanno cambiato drasticamente il modo di comunicare di persone comuni, celebrità, istituzioni, paesi, associazioni e molti altri. Questo vale anche per l’istituzione artistica per eccellenza, tra cui i musei, che hanno creato un canale diretto di dialogo con i propri visitatori. Sempre più musei hanno pagine ufficiali sui principali social (Facebook, Instagram, Twitter) e siti web, diventando punti di riferimento fondamentali per i visitatori. L’accesso è facilitato e chiunque può accedervi. I musei non si presentano più esclusivamente come templi sacri dell’arte, spaventosi per qualcuno a volte, ma acquistano quella concezione di semplicità, immediatezza ed accoglienza che coinvolge tutti.

I visitatori trovano su questi biglietti da visita digitali tutte le informazioni di cui hanno bisogno. Sui profili social vengono offerte delle vere e proprie esperienze virtuali, che coinvolgono in modo diretto il pubblico. Compaiono le barriere invisibili che un museo può sembrare avere, ma è proprio esso ad aprire le sue porte e a mostrarsi ai visitatori, proponendo loro un’esperienza diversa e semplice, già solo accedendo al sito web o visitandone un profilo ufficiale.

E poi, gli artisti. In generale, l’artista per definizione gode di una fama particolare, una sorta di aurea che induce a pensare che appartenga ad una categoria di persone a parte. C’è quindi, da sempre, una separazione di pensiero tra le persone comuni e coloro che producono arte. È come se gli artisti costituissero una classe sociale a sé stante, un’élite.

Eppure, oggi sono numerosi i casi in cui sono proprio gli artisti stessi ad interagire con il loro pubblico, con i consumatori delle loro opere. Questa connessione, come è avvenuto per i musei, è merito anche della tecnologia e dei social network. È facile trovare artisti che gestiscono un profilo ufficiale e personale sul quale pubblicano le loro opere. O ancora più semplice è oggi cercare nome e cognome dell’artista e subito poter visualizzare in rete le immagini di tutti i suoi lavori.

Basti pensare ad un’artista come Bansky. Misterioso, sfuggente, nessuno conosce la sua identità e le sue opere di street art non sono semplici da trovare, nascoste negli angoli delle città di tutto il mondo. Cercando semplicemente il suo nome su Google, anche chi magari non ha mai fatto esperienza di una sua opera d’arte dal vivo, può osservarla, farne conoscenza e soprattutto, poi, riconoscerla. Non c’è bisogno di averla vista di persona per dire «conosco questa opera, conosco chi l’ha realizzata, il suo stile e dove si trova». Oppure, rivoluzionario è l’uso che fa l’artista Maurizio Cattelan del suo profilo Instagram, rendendolo un vero e proprio progetto artistico e sociale. Con il The single post Instagram, Cattelan pubblica un’unica immagina che rimane per un tempo non preciso sul suo profilo per poi essere eliminata definitivamente, rendendo così l’idea di consumo di opera d’arte ancora più evidente e portando anche messaggi sociali relativi al consumismo in generale.

L’arte a portata di mano

Tutto ciò di cui si ha bisogno è uno smartphone: basta scaricare alcune applicazioni ed è possibile avere istantaneamente, raccolte nel palmo della nostra mano, pagine e pagine di storia dell’arte.

Applicazioni come DailyArt (sviluppata da Moiseum) e Google Arts&Culture (sviluppata da Google) propongono un modo nuovo di accedere all’arte.

La prima è un’applicazione che ogni giorno, in modo casuale, propone all’utente un’opera da osservare e l’immagine sullo schermo è accompagnata dalle stesse informazioni che troveremmo su un manuale di storia dell’arte: autore, data, una breve descrizione dell’opera, museo nel quale è conservata. Inoltre, c’è anche la possibilità di share the art work ossia condividere l’opera. Una sorta di passaparola artistico.

La seconda applicazione è leggermente più elaborata: propone immagini in alta definizione, che possono venire ingrandite fino a far vedere le singole pennellate. È come se ci si trovasse in un museo e si avessero di fronte centinaia di schermi al posto delle tele. Anche in questo caso, informazioni sull’autore e l’opera accompagnano l’immagine.

In più, sono tanti i musei che consentono l’esperienza di un tour virtuale delle loro esposizioni attraverso il sito web o un’applicazione. Con un semplice gesto, è possibile ritrovarsi all’interno della galleria d’arte e osservare le opere con descrizioni o audioguide, proprio come se si fosse lì per davvero.

Un’esperienza di consumo di opere d’arte più inclusiva, per tutti

La concezione tradizionale di arte ed esclusività viene, ad oggi, accantonata. Di per sé è sempre stata una contraddizione: come affermato in precedenza, l’artista crea per comunicare e la comunicazione presuppone un pubblico, che non viene selezionato, è semplicemente destinatario dell’opera.

Sicuramente l’esperienza che si può fare oggi dell’arte è più inclusiva. È certo che paragonare un’esperienza virtuale ad una in presenza sia difficile. L’arte dal vivo genera sicuramente maggiore sensibilità, ma forse al giorno d’oggi serve avvicinare molte più persone a questo mondo e per farlo, fortunatamente, si hanno molti strumenti a disposizione.

L’arte, aprendosi, apre a sua volta la possibilità a chiunque si voglia rivolgere ad essa di farlo, senza guardare all’interno dell’individuo, alla sua educazione o alla sua provenienza sociale, ma accettando esclusivamente quella volontà che nasce in lui di accedervi e di farne esperienza.

Benedetta Bellini

 


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