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Corpo e mente:
due piani incidenti

10 minuti di lettura

di Nicolas Calò

Alcune volte si fondono, altre si pongono in antitetiche barricate per fronteggiarsi; alcune volte reclamano a gran voce la propria autonomia, altre si tengono strette le mani, accorgendosi che insieme si è più forti. Non parliamo dei partiti politici italiani, ma di quei due piani conoscitivi che albergano nell’uomo. Parliamo del corpo, attraverso il quale percepiamo e realizziamo stimoli fisici; e della mente, luogo dove vita e significato vengono infusi alla materia.

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Le valutazioni inerenti  la mente umana, in particolare nelle sue sfumature comportamentali, hanno sempre destato grandissimo interesse: ogni epoca ha i propri filosofi e i propri moralisti che proprio non ne volevano sapere di rinunciare a puntare il dito contro determinati costumi o maniere, sociali o individuali. Sembrerà strano, o magari no, perché siamo un po’ anche noi figli di questo modo di pensare, ma le analisi comportamentali sono state condotte in larghissima parte tenendo in considerazione l’interazione tra mente e corpo.

Ne è un esempio il rapporto di biunivoca implicazione che legava il concetto di ”bello” e ”buono” secondo il canone in vigore nella Grecia arcaica. Esso prendeva il nome di kalokagathìa. Era il principio che sanciva il connubio inseparabile tra l’attributo della bellezza e quello della bontà. L’eroe cantato nei poemi, figura emblematica per esemplificare questo principio, era dotato di una bellezza superiore a quella di tutti i comuni mortali, perché concessagli dagli dei; e, sempre da questi, egli riceveva la virtù guerriera guidata dalla bontà, con cui combatteva coraggiosamente dimostrando di distinguersi dai vili e dai pusillanimi.

Achille e Aiace
Fonte: Pinterest

Il principio di kalokagathìa ci permette di immergerci nei processi  inconsci del sentire e immaginare umano: ridurre la psicologia degli enti (reali o fittizi) in modo che aderisca perfettamente e senza sbavature alla loro fisicità, senza creare difficoltose situazioni antifrastiche, è una tendenza consolidata. Si appiattisce il personaggio o, peggio ancora, la persona reale, sino a sterilizzare ogni sua sfumatura caratteriale non direttamente desumibile da ciò che suggerisce la sua fisicità. Nascono così gli archetipi del principe bello, ricco e onesto che combatte l’orco brutto e cattivo; la Cenerentola di turno; un altro Oliver Twist; mariti e mogli fedeli. Insomma, tutta roba poco credibile…

Esistono studi, effettuati dai positivisti nell’Ottocento, che mirano ad analizzare il rapporto di correlazione vigente fra caratteri psicologico-morali e aspetto fisico di una persona. In prima analisi è interessante notare che esiste una vera e propria pseudoscienza che avanza la pretesa di desumere i caratteri psicologici di un individuo partendo da alcune sue caratteristiche fenotipiche. Tale disciplina prende il nome di fisiognomica ed esamina, in particolar modo, i lineamenti e le espressioni del volto.

A utilizzare un approccio di questo tipo fu, fra i tanti, Cesare Lombroso; egli viene considerato pioniere degli studi inerenti il problema della criminalità e fondatore dell’antropologia criminale, disciplina che viene ormai ritenuta infondata. Le sue teorie si basano sull’idea di “criminale per nascita”, secondo cui l’origine del comportamento criminale è insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, il quale si presenta fisicamente differente dall’uomo “normale”.

Lombroso misurò la forma e la dimensione dei crani di molti briganti uccisi e portati dal Meridione d’Italia in Piemonte, arrivando ad asserire che i tratti atavici presenti riportavano indietro all’uomo primitivo. Lombroso sostenne sempre con forza la necessità dell’inserimento della pena capitale all’interno dell’ordinamento italiano, propugnando l’impossibilità di correzione del detenuto, in quanto non erano da correggere tratti di influsso socio-psicologico-ambientali (tenuti in pochissimo conto dallo studioso). Secondo lo studioso, infatti, tali tratti non avevano margine di rilievo nell’eziologia del comportamento del reo, il quale, privato completamente del libero arbitrio da quel determinismo di matrice anatomica che aveva fatto di lui un essere primitivo, doveva essere condannato per il semplice fatto di aver ereditato caratteri socialmente ”sbagliati”.

Cesare Lombroso, Atlante Criminale
Cesare Lombroso, Atlante Criminale

Entriamo ora però nello studio di Lombroso e seguiamo da vicino il suo lavoro.

Novembre 1872: lo studioso sta sottoponendo ad autopsia il cadavere di Giuseppe Villella, un brigante calabrese di 70 anni che aveva già incontrato in carcere qualche anno prima. Dall’esame autoptico condotto sul suo cranio, Lombroso rileva un’anomalia nella struttura cranica: anziché una piccola cresta, trova una concavità a fondo liscio localizzata nella zona dell’occipite, definita fossetta occipitale interna (o occipitale mediano). Tale fossetta era stata ottenuta dalla fusione congenita della parte corrispondente dell’occipite con l’atlante. Questa anomalia non viene rinvenuta negli individui ritenuti normali. Giunge così ad identificare quel tratto atavico che permette la formulazione della teoria, ormai sempre ritenuta pseudoscientifica, della delinquenza atavica.

L’analisi non termina qui: antropologicamente il delinquente appare come un primitivo più prossimo ai primati infraumani, dotato di grandi mandibole, canini forti, incisivi mediani molto sviluppati a discapito dei laterali, il naso schiacciato; inoltre, tra le sue altre caratteristiche, possiamo rilevare una minore sensibilità al dolore, una maggiore accuratezza visiva e accentuata pigrizia. Lombroso non fu l’unico ad interessarsi all’applicazione pratica della fisiognomica, ma sicuramente fu, almeno in Italia, uno degli studiosi che destarono maggior scalpore.

Grande fama in questo panorama pseudoscientifico venne ottenuta anche dal tedesco Franz Joseph Gall, ideatore della dottrina chiamata frenologia. Egli, pur esercitando la professione medica,  investì le sue forze nella ricerca scientifica. Gall lavorò in particolar modo tra Vienna e Parigi, città nelle quali ottenne esponenzialmente grande prestigio anche grazie alla protezione  di due funzionari imperiali. Tra i suoi più importanti pazienti bisogna sicuramente annoverare il letterato Stendhal, il filosofo  padre del positivismo Auguste Comte e il politico Klemens von Metternich.

Con il termine “frenologia” si designa quella pseudoscienza molto vicina alla fisiognomica che si propone di riconoscere le facoltà psichiche di ogni persona dall’osservazione delle protuberanze craniche, determinate, sempre secondo questa teoria, da un maggior sviluppo delle zone cerebrali sottostanti. Tale disciplina è chiamata anche “dottrina del cranio” o, come venne chiamata dallo stesso Gall, “organologia”.

frenologia

Secondo tale teoria, era possibile suddividere il cranio umano in 27 zone  diverse, a cui sarebbero corrisposte altrettante rispettive regioni mentali. Naturalmente non tutte e 27 le regioni erano sviluppate nello stesso modo da ogni uomo: ogni individuo sviluppava più o meno  delle determinate regioni mentali, con il risultato di una diversa conformazione cranica sintomaticamente imputata al maggiore o minore esercizio delle determinate regioni. Gall ha riconosciuto 19 regioni che l’uomo ha in comune con gli animali e solo le ultime 8 facoltà prerogative degli esseri umani.

Da un’analisi di questo tipo, possiamo evincere che il corpo ha sempre giocato un ruolo di primo piano nella comprensione della sfera interiore dell’individuo. Il corpo, nella sua fenomenologia, è stato spesso concepito come cifra fenotipica specchio della personalità. Guardare il corpo per comprendere l’animo: spesso si è tentato. Ma non ci si è resi conto che, probabilmente, un ragionamento opposto, ossia partire dal comportamento per decifrare il corpo, potrebbe avere qualche fondamento in più, senza necessità di desumere nulla. In un’ottica di questo tipo, l’analisi si sposterebbe su come la psiche umana riesca a lasciare i propri graffi suo corpo che abita: dagli occhi infossati dell’alienato ai graffi sulla pelle del sofferente; dalle rughe del sorriso della persona caratterialmente gioiosa alla ruga del pensiero che solca la fronte di chi medita.

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Redazione

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