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L’attualità dei processi alle streghe: «Il crogiuolo»

«Il crogiuolo» di Arthur Miller, portato in scena dal pluripremiato Filippo Dini, è un dramma che fa luce sulla paura, la violenza e l'ignoranza: quando i sentimenti umani rimangono invariati da Salem al Maccartismo.

7 minuti di lettura

Con la regia del pluripremiato Filippo Dini, dal 15 al 18 dicembre è andato in scena al Teatro Sociale di Trento Il crogiuolo, uno dei testi più lucidi e impietosi del drammaturgo americano Arthur Miller.

Tra Maccartismo e stregoneria

Scritto e messo in scena per la prima volta nel 1953, in pieno Maccartismo, Il crogiuolo racconta, attraverso la storia della caccia alle streghe avvenuta a fine Settecento a Salem, la società contemporanea all’autore, mettendone in evidenza senza filtri le difficoltà e i punti più oscuri.

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È negli anni Cinquanta del secolo scorso, infatti, che negli USA la paura irrazionale e l’avversità per il nemico, ovvero il Comunismo, raggiungono l’apice fomentati dal governo, scatenando episodi di isteria collettiva e aberrazione sociale. Lo stesso Miller, un anno prima rispetto al debutto dello spettacolo, era stato denunciato da un amico in quanto “comunista” alla Commissione per le Attività Anti-Americane. Gli venne detto di denunciare qualcuno dei suoi presunti compagni per salvarsi dalla lista nera, ma l’autore rifiutò e si vide comminare una pena pecuniaria e il ritiro del passaporto. Fu questa denuncia a instillare nell’autore la volontà di denunciare l’organizzazione corrotta e assurda che regnava in quegli anni e lo fece attraverso un episodio parallelo, con moltissimi rimandi attuali, avvenuto tre secoli prima in Massachusetts.

Non fu soltanto la nascita del maccartismo a provocarmi, ma qualcosa che appariva molto più fatale e misterioso. Era il fatto che una campagna politica fosse in grado di creare non soltanto terrore, ma una nuova realtà soggettiva. Vedevo uomini consegnare la propria coscienza ad altri uomini e ringraziarli della possibilità che essi gli davano di farlo.

«Un crogiuolo di complotti e contro complotti»

La pièce è ambientata a Salem nel 1692, all’origine della seconda ondata di fanatismo e isteria che portarono, di nuovo, la piccola comunità a cercare e processare le presunte streghe. Tra il 1647 e il 1688, infatti, già diciassette persone erano state accusate di praticare arti oscure e giustiziate per questo. Questa volta, tuttavia, la pratica si diffuse anche nelle località vicine, alimentando un circolo di follia e dolore ancora più imponente, che vedrà l’uccisione di diciannove persone e l’incarcerazione di centocinquanta.

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ph-Luigi De Palma

Il crogiuolo con la regia di Filippo Dini si apre con la messa in scena di quello che sembra un rito, con ragazze in abiti bianchi che urlano, si dimenano, danzano. Accade, però, che il reverendo Parris, padre e zio di due delle giovani presenti, le sorprende. Alcune delle ragazze, allora, svengono e poco dopo iniziano a manifestare un comportamento strano, apatico, come fossero in trance. Preoccupati dalla loro condizione, gli abitanti della comunità cercano una spiegazione oltre che una soluzione, concludendo che si tratta senza dubbio di stregoneria. È così che ha inizio un circolo vizioso di accuse, smentite, falsi processi e paradossali condanne.

La scenografia de «Il crogiuolo» di Filippo Dini

Essenziale si rivela la scenografia per Il crogiuolo messo in scena da Filippo Dini. Tra giochi di luce e ombra, con il fumo che aleggia e immerge in un ambiente quasi onirico gli attori, vengono resi evidenti gli stati d’animo degli stessi. Le scelte scenografiche accompagnano lo spettatore, indicandogli l’approccio più corretto con cui porsi nei confronti della visione.

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La stessa messa in scena da parte degli attori in alcuni momenti cardine subisce una sorta di congelamento, avvicinando la visione teatrale a un fermo immagine, un tableau vivant che permette allo spettatore di godere della bellezza dell’insieme.

Paura e violenza fondamenti della società

I temi che più prepotentemente si intrecciano ne Il crogiuolo sono la paura e la violenza, animati da sentimenti come l’invidia, l’odio e la vendetta, ma anche e soprattutto dall’ignoranza e dal cieco credere. Come il regista sottolinea: «La paura è l’arma più vincente di qualsiasi forma di potere». Arthur Miller racconta una società spaventata, terrorizzata dal diverso e dall’ignoto, che cade nella tentazione di creare un rigido insieme di dogmi che poi diventa una gabbia per coloro che vivono nella comunità ad essi devota. Ma racconta anche della pochezza umana, di uomini disposti a denunciare i propri vicini, farli condannare a morte pur di impossessarsi dei loro averi o di vendicarsi.

Nello svolgersi della vicenda si assiste alla costruzione di un congegno gigantesco e malato, perfezionatosi a tal punto da apparire indistruttibile. La fine di tutto questo si deve a un uomo, John Proctor, che da adultero spaventato diventa eroe immolato, trovando il coraggio di combattere pur di non cadere nel loop malato della delazione che imperava.

Attraverso la descrizione della nascita e della costruzione delle nuove colonie americane, con i loro risvolti più oscuri, Miller racconta la società odierna, mettendo in scena situazioni e sentimenti che appartengono all’essere umano da sempre e che ancora oggi si ripetono.

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Immagine di copertina: Luigi De Palma

Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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