Considerato tra i più grandi scrittori e romanzieri contemporanei, per certi versi addirittura pop, con livelli di lettura e bacini di lettori tra i più vari e stratificati, David Grossman (Gerusalemme 1954) è diventato un caso letterario nel 1988 con Vedi alla voce: amore, seguito, tra gli altri, dai ben noti Il libro della grammatica interiore, Qualcuno con cui correre, Col corpo capisco e A un cerbiatto somiglia il mio amore. Suoi sono anche quattro celebri libri-inchiesta dedicati alla questione palestinese: Il vento giallo, Un popolo invisibile, Con gli occhi del nemico e La guerra che non si può vincere. Grossman infatti, che ha subito la perdita del figlio durante i conflitti del 2006, è sempre stato una voce in prima linea in favore della pace e del dialogo tra Israele e Palestina.
Tradizione e sperimentazione si fondono nel suo capolavoro del 1998: Che tu sia per me il coltello. «Quando la parola si farà corpo/e il corpo aprirà la bocca/e pronuncerà la parola che lo ha creato/abbraccerò questo corpo/e lo adagerò al mio fianco»: con questa citazione tratta da una raccolta del poeta israeliano Hezi Leskli, si aprono le pagine del romanzo. Parola e corpo sono infatti i veri protagonisti del testo. È un’altra citazione invece, questa volta da Kafka, a dare il titolo all’opera: «Amore è il fatto che tu sia per me il coltello con cui frugo dentro me stesso.» Una dimensione intima, introspettiva; il sentimento inteso come qualcosa di totalizzante ed estremo, portatore di una qualche conoscenza di sé con e attraverso l’altro: questa l’atmosfera che si respira tra le righe.
Il romanzo di Grossman ha una struttura epistolare come da più nota tradizione, ma innovativa e non simmetrica. Ad una prima parte consistente che riporta ininterrotte le lettere del protagonista maschile ne segue una seconda, ben più ridotta, con i pensieri (solo a tratti sciolti in forma di lettera) della protagonista femminile. Chiude il romanzo una terza parte intitolata “Pioggia” riportata in corsivo: è il momento in cui i due mondi si incontrano, forse in una dimensione di immaginazione, forse per davvero. La trama non si presta ad essere riassunta. Si costruisce continuamente su se stessa, avanza e torna indietro, filtrata dai punti di vista dei due personaggi. Il filo conduttore è una storia d’amore, ma solo ad un primo livello di lettura. In un gruppo di persone, un uomo di nome Yair, vede una donna sconosciuta che, stringendosi nelle braccia, sembra volersi isolare dagli altri. È un gesto che lo tocca profondamente e decide così di scriverle una lettera, proponendole di iniziare con lui una relazione intima, aperta, libera da vincoli, ma esclusivamente epistolare, che vada oltre la loro vita quotidiana di uomo e donna sposati da tempo. Più che di una proposta si tratta di una supplica e la donna, che si chiama Myriam, ne resta colpita e accetta, anche se, a tratti, spera di poter trasformare le parole in fatti, perché quello in cui crede è un’intimità passionale, fisica e viscerale.
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I due costruiscono a poco a poco un mondo privato fatto tutto di parole, dove l’uno si apre all’altra in totale libertà: «Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un’iniezione di verità per dirla, finalmente la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: “Con lei ho stillato verità” Sì, è questo quello che voglio». Decidono persino di fissare fin da subito una data in cui questa loro relazione extra-ordinaria avrà termine: in questo modo saranno spinti a «fare tutto prima che giunga quel momento», senza lasciare passare il tempo invano. La loro è una scoperta lenta e dolorosa, perché si tratta di due personaggi fragili, soli e affamati. È questo infatti che li spinge l’uno verso l’altra, quasi si fossero riconosciuti come simili tra la folla. Dice Yair a Myriam:
Sai invece quando ho veramente provato una stretta al cuore? Quando hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio e, chissà perché, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi. Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro e che tutto il mondo ne rimanga fuori.
Simili sì, anche se con ruoli diversi. Da un lato l’uomo, Yair, con un’urgenza forte di farsi conoscere e di raccontare la propria storia, quasi a volersi togliere un peso; dall’altro lato Myriam pronta a riceverne le parole, una presenza più nascosta e silenziosa – una donna complessa che ha sofferto e lottato.
Ma se tra loro non c’è contatto, se c’è solo «un prato gigantesco e due estranei. Come portarli in un solo secondo ad abbracciarsi senza passare attraverso gli stadi intermedi e senza declamare le frasi che milioni di uomini e di donne hanno già reso insipide prima di noi?», con la scrittura, non c’è tatto. Non contatto visuale in questo romanzo, non c’è nemmeno una vera ambientazione. Solo le parole permettono ai due personaggi di conoscersi, di rivelarsi e di toccarsi. L’esperimento di Grossman mette in luce la potenzialità del linguaggio e dell’immaginazione nei rapporti umani, la sensualità e la fisicità che le parole portano con sé, tale da renderle quasi parte del corpo stesso di una persona:
Ci sono parole che ti appartengono a tal punto! Impronta della tua anima che in bocca ad altri appaiono solo come strumenti discorsivi o articolazioni linguistiche, nient’altro. Non avevo mai immaginato che conoscere il linguaggio di un estraneo potesse essere eccitante come il primo contatto con il suo corpo, il suo profumo, la sua pelle, i capelli, i nei.
Il lettore viene così avvolto in un vortice continuo, penetrando tanto nella mente e nel corpo maschile quanto in quello femminile, due mondi opposti che si confrontano. Il romanzo affronta argomenti diversi, intessuti tra le lettere dei due protagonisti, come quello forte della maternità e della paternità, ma la complessità e la bellezza del linguaggio restano sempre al centro dell’attenzione, come traspare dalle riflessioni di Yair:
Naturalmente non ho bisogno di dirti la mia felicità nel momento in cui iniziò a parlare. Di sicuro ricordi quando un bambino comincia a chiamare le cose per nome. Eppure ogni volta che imparava una parola nuova, persino la sua prima parola, una parola bella come “luce” io provavo una stretta al cuore perché pensavo: chissà quanti tipi di chiarore ha visto e assaggiato prima di stiparli tutti in quella piccola scatola chiamata “luce”
Trecento pagine in cui è portata all’estremo la capacità della scrittura di creare corpi attraverso il linguaggio con una prepotente fisicità, sentimenti e mondi interiori tra loro in relazione. Trecento pagine in cui Grossman punta tutto sul compito che il lettore ha nella costruzione del personaggio e della storia all’interno del procedimento letterario, tramite l’empatia che comporta una continua immedesimazione. Quella di Grossman è qui una prosa-poesia molto intensa che dà vita a un romanzo dal ritmo lento, che apre un varco solo alla fine, quando le due voci coesistono sulla stessa pagina per dimostrare quanta strada bisogna percorrere per vincere se stessi e arrivare a toccare con pienezza e libertà l’anima e il corpo di un altro essere umano.
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