Fino al 28 gennaio il collettivo catalano Agrupación Señor Serrano (Leone d’argento per l’innovazione teatrale alla Biennale di Venezia 2015) porta alla Triennale Teatro dell’Arte di Milano Birdie (2016), straordinaria esperienza multimediale per riflettere con originalità sulla migrazione.
Il gruppo, fondato nel 2006 da Àlex Serrano e Pau Palacios, incanta i palchi d’Europa raccontando le contraddizioni della realtà contemporanea tramite innovazioni tecnologiche, modellini in scala, video in presa diretta, in una commistione ludica che mira a rivelare sensi nascosti.
In Birdie non ci sono “attori” nel senso tradizionale del termine: tre performers (Serrano, Palacios e David Muñiz) armati di telecamere e di altri strumenti digitali, sono i giocolieri muti delle immagini in scena, proiettate, manipolate, riprodotte in miniatura o ricreate. Si tratta di una sapiente costruzione estetica di “simulacri” e un distanziamento prospettico che pone in primo piano animali e uccelli.
Nel Primo Atto, dal titolo emblematico Stanno arrivando!, il gruppo catalano squaderna immagini sul filo della cronaca, e ogni pagina del giornale racconta di “migrazioni” tracciabili sulle carte: capitali finanziari, informazioni, scoperte scientifiche, ma anche mode, ideologie, malattie, violenze. In questo ribollire di movimento si leggono i palpiti della vita (Life is movement), con le sue chiazze luminose e le sue storture. Intanto, sopra le nostre teste, gli uccelli seguono i loro ritmi naturali, viaggiando lungo rotte di migliaia di chilometri. Anche il mondo degli umani, fin dai primi ominidi, conosce la diaspora delle migrazioni. E come un refrain arrivano le intrusioni di fotogrammi tratti dal capolavoro di Hitchcock Gli uccelli (1963): il comportamento violento degli uccelli impazziti è la rappresentazione delle nostre paure, perché tutto ciò che di estraneo penetra nel nostro mondo è paragonabile ai minacciosi volatili del film. Il grido di terrore della protagonista Melanie “Stanno arrivando!” è sintomatico della nostra società, permeata dal sentimento di essere assediata da nuovi barbari.
Studio anatomico di una fotografia
Ma ecco il caso di studio dei Serrano: Melilla, città spagnola in territorio marocchino, che dal 1998 è protetta da un’altissima recinzione. Il 15 ottobre 2014 José Palazón scatta la sua fotografia-denuncia: un gruppo di migranti cerca di scavalcare le reti che sovrastano il ricco campo da golf di Melilla (allestito con fondi europei destinati a correggere gli squilibri nell’Unione!). Appollaiati in cima alla recinzione, sono simili ai neri uccelli del film.
A questo punto si srotola davanti ai nostri occhi uno “studio anatomico” della fotografia, per approdare a uno sguardo consapevole, ottenuto attraverso una moltiplicazione di piani visivi. L’immagine, ingigantita e immobile sullo schermo, viene manipolata in live editing (frecce, linee, traiettorie); inoltre la bidimensionalità viene sfondata con l’inserzione di “finestre” virtuali che dissezionano i dettagli in uno zoom di distanziamento-avvicinamento (marche degli abiti indossati e definizione scientifica delle varietà botaniche). Intanto si imposta il “dialogo” con il modellino (campo da golf e recinzione), ripreso a sua volta dalla cinepresa, con un effetto di animazione dell’immobile.
Simulacri, miniature e realtà
Tutto è fluido in questo teatro, che gioca con le idee di reale e virtuale. Ad esempio una pallina da golf, reale, inquadrata in presa diretta dai performers, diventa una proiezione ingigantita sullo schermo. Posta accanto a un piccolo mappamondo e sotto una luce particolare, non è più una semplice pallina, ma un’astrazione, forse addirittura il simbolo della perfezione di un pianeta puro e idealizzato, lontano dalle brutture delle “invasioni” migratorie, ma già pronta a sfumare in virtuali moltiplicazioni prospettiche.
Il Terzo Atto Non fermeranno mai le loro migrazioni? è il più ambizioso e forse anche il più riuscito nel dispiegamento dei mezzi artistici. Dopo una sorta di introduzione “demiurgica” in cui la luce ha il ruolo primario nella trasformazione degli elementi (ad esempio il fumo impalpabile è plasmato in forme), appare il cammino dell’umanità. Le cineprese inquadrano in successione una lunghissima fila composta da più di duemila miniature ben ordinate sul palco, somigliante a una processione in cammino. C’è un’apparente mescolanza caotica: il canguro accanto al pinguino, e poi la rana e il ghepardo, mentre figurine di neonati (pannolino blu o rosa a indicare maschi e femmine) gattonano accanto a scimpanzé e dinosauri. Una fauna simbolica della variegata umanità che avanza attraverso devastazioni: macerie, carcasse di carri armati, laghi di petrolio, sabbia che divora i mari, ghiacci in dissoluzione. Mentre soffia il vento della distruzione, sferzati dalla neve (farina versata da un colino), tutti cercano di salvarsi sui barconi, componendo delle nuove e strambe arche di Noé. Pochi però approdano sulla terraferma e si ammassano in tende o davanti a cancellate. Pochissimi potranno arrivare alla meta, cioè… la buca del campo da golf. Il titolo Birdie gioca infatti con il duplice senso di “uccellino”, che allude anche a un tecnicismo del golf, «andare in buca con un tiro in meno del par».
Nell’ultimo atto la voce off (Simone Milsdochter) espone i diversi punti di vista dei personaggi coinvolti nella fotografia: il poliziotto della Guardia Civil, la golfista, il migrante, il fotografo, e infine un uccello migratore che sorvola la zona. E mentre vengono azionati quattro potenti ventilatori, ecco l’unico “attore” in carne ed ossa, immobile e muto davanti a noi, indossa una felpa rossa come uno dei migranti fotografati, a dimostrare che le immagini sono realtà. «Ovunque c’è qualcuno che spiega le ali e comincia a volare». Innalzare frontiere non ha senso.
Birdie
di Agrupación Señor Serrano (Barcelona)
ideazione di Àlex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal
Produzione di Grec 2016, Festival de Barcelona
spettacolo in inglese sovratitolato in italiano
fino al 28 gennaio 2018, Triennale Teatro dell’Arte, Milano