Certamente la sconfitta con la Svezia segna una delle pagine più nere della nostra nazionale azzurra, la quale qualche giorno fa ha voluto omaggiare il centenario di Caporetto. Ma quali sono state, nel corso della storia, le altre grandi disfatte azzurre?
Irlanda del Nord, 1958
È il 1958 e all’epoca la Coppa del mondo di calcio è l’unica competizione per nazionali a cui l’Italia potrebbe partecipare (gli europei sarebbero stati inventati solamente due anni più tardi). Sono gli anni in cui il nostro paese riscopre un discreto benessere grazie al boom economico che sembra, finalmente, risollevare il paese dalle macerie della seconda guerra mondiale. Il calcio italiano, al contrario, non sta vivendo un periodo particolarmente florido. La generazione del Grande Torino si è schiantata sulla collina di Superga solamente nove anni prima e nessuna altra squadra di club riesce a creare un blocco di calciatori italiani per formare una grande nazionale. Non a caso, nella partita decisiva per approdare ai mondiali, il tecnico Alfredo Foni è costretto a schierare una grande quantità di oriundi sudamericani. È la nazionale del brasiliano Da Costa e degli uruguaiani Juan Alberto Schiaffino e Alcides Ghiggia; quest’ultimo non è un calciatore come gli altri, essendo stato, per sua stessa ammissione, uno degli unici tre uomini al mondo (gli altri sono Frank Sinatra e Giovanni Paolo II) ad aver zittito il Maracanà. Il riferimento, ovviamente, è al suo leggendario gol nello stadio brasiliano il 16 luglio del 1950, quando il suo diagonale mandò in paradiso il calcio uruguaiano e all’inferno i duecentomila brasiliani appollaiati sulle tribune.
Ma otto anni più tardi gli oriundi non sono più gli stessi di qualche anno prima. La partita contro l’Irlanda del Nord è prevista per il 4 dicembre del 1957, ma viene annullata poiché la nebbia londinese impedisce all’arbitro dell’incontro, un inglese, di arrivare a Belfast. Si cerca comunque di disputare la partita con un arbitro casalingo, ma la delegazione italiana, chiaramente, si oppone. Il match viene giocato un mese più tardi, a gennaio del 1958. Il direttore di gara, un ungherese evidentemente in sovrappeso, sempre secondo le testimonianze di allora, questa volta non ha problemi ad arrivare nella provincia dell’Ulster. Pronti via a le nostra nazionale azzurra incassa due gol dai nordirlandesi. È una di quelle partite che in gergo si definisce “sporca”: gelo, terreno fangoso, il gioco è frazionato a causa dagli innumerevoli interventi fallosi (alcuni sanzionati, altri no) dei nostri avversari. Verso l’inizio del secondo tempo il brasiliano Da Costa accorcia le distanze, ma è un gol inutile. Pochi minuti dopo colui che ammutolì il Maracanà si fa espellere e la nostra nazionale non riesce a segnare la rete che ci avrebbe permesso di partecipare ai mondiali di Svezia, passati alla storia poiché quell’estate in Scandinavia nasce il mito di Pelé e della nazionale brasiliana.
Corea del Nord, 1966
Siamo in uno dei momenti più floridi della storia del calcio italiano. È l’epoca del Milan di Nereo Rocco e della grande Inter di Helenio Herrera; dal ’63 al ’65 le due milanesi si spartiscono la Coppa dei Campioni, vinta una volta dai rossoneri e due dai nerazzurri. La nostra nazionale è davvero forte, tant’è che nel 1968 vince gli europei di casa, mentre due anni più tardi arriva in finale della Coppa del mondo, venendo sconfitta solamente dal Brasile più forte di sempre. Prima di queste due finali, però, ci sono i mondiali del 1966, i quali hanno uno slogan molto semplice: Football comes home. Infatti la Coppa Rimet sosta in Inghilterra e a Wembley saranno proprio gli inglesi ad alzare il trofeo dopo aver sconfitto i tedeschi, grazie anche al gol fantasma di Geoff Hurst.
La nazionale azzurra si gioca tutto nell’ultima partita del girone. Dopo aver battuto il Cile e perso contro l’Unione Sovietica, è necessario un pareggio contro la Corea del Nord. La nazione nordcoreana esiste solamente da pochi anni, ovvero da quando, in seguito alla Guerra di Corea (1950 – 1953), venne creata una zona demilitarizzata all’altezza del 38esimo parallelo che ancora oggi divide le due Coree, quella di Pyongyang e quella di Seul. L’allenatore della nazionale azzurra, il romagnolo Edmondo Fabbri, decide di non rinunciare al capitano della squadra, il bolognese Giacomo Bulgarelli, nonostante sia dolorante al ginocchio. A metà del primo tempo, però, proprio Bulgarelli è costretto ad alzare bandiera bianca in un’epoca in cui, dettaglio non trascurabile, non sono previste sostituzioni. Gli azzurri, rimasti in dieci, subiscono il gol del coreano Pak-Doo-Ik, il quale infila Enrico Albertosi e porta per la prima volta una nazionale asiatica ai quarti di finale dei mondiali. Per anni Fabbri viene messo alla gogna (preparati, Giampiero) e non gli fu mai perdonata l’onta di essere stati eliminati da un dentista. In realtà, Pak-Doo-Ik era un caporale dell’esercito coreano, promosso sergente una volta rientrato in patria. Agli azzurri, invece, atterrati all’aeroporto Cristoforo Colombo di Genova di notte, non arrivò nessuna promozione, ma solamente una quantità indefinita di ortaggi lanciati da un centinaio di tifosi.
Slovacchia, 2010
La spedizione azzurra che parte per il Sudafrica non ha la fiducia di tutto il paese. In molti sostengono che già da un po’ sarebbe dovuto cominciare il rinnovamento della generazione che solamente quattro anni prima ha alzato al cielo di Berlino la coppa più ambita di tutte. Il sorteggio è estremamente benevolo per gli azzurri, infatti terminiamo nel girone con Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia. Si punta chiaramente a superare la prima fase e a quel punto l’esperienza e l’orgoglio di Cannavaro, Buffon, Pirlo, Gattuso, Zambrotta potrebbe fare la differenza. L’allenatore è ancora Marcello Lippi, richiamato in panchina dopo l’europeo in chiaroscuro di Roberto Donadoni, a cui non venne perdonata l’eliminazione ai rigori contro la Spagna, la quale per quattro anni, dal 2008 al 2012, non perderà mai.
L’esordio contro i sudamericani non è dei migliori. Buffon si infortuna e rimediamo solamente un pareggio per 1-1. La difesa non è quella di sempre, tant’è che incassiamo gol anche dalla Nuova Zelanda, sulla carta la squadra peggiore del torneo. Iaquinta pareggia su rigore e arriviamo, come spesso è accaduto, a giocarci la vita nell’ultima partita del girone. Il ritornello che accompagna la nazionale azzurra, in questi casi, è sempre lo stesso: “Quando conta, l’Italia c’è sempre”. Può essere stato vero in altre situazioni, ma in Sudafrica non è così. La Slovacchia vince 3-2, a nulla serve la grande prestazione di Fabio Quagliarella, entrato in campo con colpevole ritardo. Marcello Lippi si prende subito la responsabilità della disfatta e rassegna le dimissioni. È l’ultima recita di Capitan Cannavaro con la maglia azzurra e, insieme a lui, lasciano anche Gattuso e Zambrotta.
Solamente due anni più tardi siamo in finale dell’Europeo. Forse non è poi così difficile rialzarsi da una disfatta.