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Dogman è un film bellissimo (ma senza lieto fine)

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Anche chi non l’ha ancora visto e sta comprensibilmente cercando di evitare tutto quanto si possa leggere o sentire su Dogman, per non rovinarsi quella che ha tutta l’aria di essere una bellissima sorpresa, non sarà riuscito a sfuggire al bellissimo discorso di Marcello Fonte, protagonista del film, al Festival di Cannes.

«Da piccolo quando ero a casa mia e pioveva sulle lamiere chiudevo gli occhi e mi sembrava di sentire gli applausi adesso è vero sono qui e sento i vostri applausi. Il cinema è la mia famiglia, voi lo siete. Ogni granello della sabbia di Cannes è una meraviglia».

Questa è una storia che varrebbe già da sola il prezzo del biglietto di un film bellissimo (ma senza lieto fine).

La cronaca

Il film si ispira liberamente al noto ed efferato delitto del Canaro della Magliana, in cui un uomo, Pietro De Negri, detto “canaro” perché aveva un negozio di toelettatura per cani, uccise l’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci.

Del delitto si parlò soprattutto perché il corpo di Ricci fu trovato mutilato e, nonostante fosse semicarbonizzato, era evidente che avesse subìto torture di vario tipo, che i giornali raccontarono nel dettaglio. Su tutte, De Negri disse di aver aperto il cranio di Ricci e di avergli fatto «lo shampoo al cervello», con un prodotto che usava per lavare i cani.

Il Canaro, benvoluto nel quartiere e descritto come un tipo pacato, disse di aver ucciso Ricci per vendetta, dopo che per anni ne aveva subìto le insopportabili vessazioni: «Mi insultava, mi sfotteva, m’aveva rubato la radio della macchina e per ridarmela m’aveva scucito 200 sacchi. Ma la cosa che m’ha fatto uscire di testa è stata quando ha preso a calci il mio cane, che c’entrava lui?».

Dogman

Il film

L’esistenza di Marcello è fatta di gioie piccole e quotidiane, di ciotole divise col cane e gite in barca con la figlia Alida. Ha fatto del suo amore per i cani un mestiere, è benvoluto nel quartiere.

Certo, c’è anche la cocaina e qualche piccolo reato di cui si rende complice, ma ha sempre l’aria di trovarsi lì per caso, persino quando uccide Simone, da cui, in fondo, esigeva solo le scuse.

In una delle scene forse più “divertenti” del film, Marcello fa da palo a Simone e a un complice in un furto in appartamento. Quando i due raccontano di aver chiuso il Chihuahua, reo di abbaiare troppo, nel congelatore, Marcello torna indietro e si intrufola nell’appartamento per salvare la bestiola. È una scena comica che rivela la vera natura del protagonista, quella di uomo fondamentalmente soggiogato e incapace di rifiutarsi a Simone, di cui subisce la prepotenza e le angherie, convinto addirittura di esserne legato da un’amicizia fedele.

È per questo che, quando il pugile usa il suo negozio come punto d’ingresso per una rapina nel Compro oro adiacente, Marcello, incapace di tradire proprio come i suoi cani, gli dona il suo leale silenzio, che gli costerà caro.

Dogman

Oltre ad essere noto per l’iperrealismo di Gomorra, Garrone conferma una passione voyeuristica per i fatti di cronaca nera.
Già due suoi film avevano preso spunto da vicende vere ed efferate: L’imbalsamatore riprende la vicenda di cronaca romana del “nano di Termini”, Domenico Semeraro, un tassidermista omosessuale, ucciso dal suo protégé, Armando Lovaglio a Roma nel 1990. Primo Amore è invece liberamente ispirato a Il cacciatore di anoressiche, romanzo autobiografico del 1997 di Marco Mariolini, che uccise la fidanzata dopo averla ridotta all’anoressia.

Prima ancora del fatto di cronaca, Garrone racconta una storia di marginalità e periferie dei luoghi e dell’animo umano.
Non a caso, mentre la storia vera è ambientata in una Roma decadente e popolare, il film è stato girato in un luogo del casertano simbolo del degrado e della speculazione edilizia, già set per parecchie scene di Gomorra: il  Villaggio Coppola di Castel Volturno.
Lo stesso Fonte è cresciuto nella baraccopoli dell’Archi, quartiere della periferia nord di Reggio Calabria. Sono quelle le lamiere su cui da piccolo racconta di aver ascoltato lo scrosciare della pioggia, immaginando fossero applausi.

Non è facile nascere e vivere in certi luoghi: alle volte riesci a scollarti di dosso le etichette appiccicose della condanna esistenziale, ma in altri casi il finale è già scritto, e non esiste lieto fine.

Serena Guarino

Giurista di formazione, giornalista per vocazione.
Napoli è la mia città natale e la mia fonte d'ispirazione.
Per questo ne scrivo tanto e ne parlo spesso.

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