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Cosa abbiamo capito dalle elezioni in Spagna

Il 23 luglio si sono tenute le elezioni legislative in Spagna. Dalle urne non è emerso nessun chiaro vincitore. Quali scenari si aprono ora?

13 minuti di lettura

Lo scorso 23 luglio 2023 si sono tenute le elezioni legislative in Spagna, anticipate dal governo dopo la pesante sconfitta registrata dalla sinistra alle amministrative tenutesi in primavera quando il PSOE ha registrato un generale calo delle preferenze ed ha perso il controllo di alcune comunità autonome e di grossi centri urbani come Valencia, Siviglia e Barcellona, ed ha perso anche nel tradizionale feudo conservatore della capitale, Madrid. Pochi giorni dopo il premier Pedro Sánchez, da quasi quattro anni alla guida di una coalizione che comprendeva PSOE e Podemos, oltre che un piccolo gruppo catalano, ha deciso di sciogliere le camere e provare ad anticipare sul tempo la crescita della destra, che sembrava beneficare dell’onda lunga che vede formazioni più o meno conservatrici crescere nei sondaggi un po’ in tutta Europa.

Dalle urne delle elezioni legislative in Spagna non è uscito un vero vincitore. Il sistema marcatamente proporzionale, al quale vengono applicati pochissimi correttivi ha restituito un’immagine di un paese spaccato quasi a metà. Il PP ha recuperato consensi fino a tornare ad essere il primo partito con il 33% delle preferenze, ma a seguirlo con poco meno del 32% ci sono i socialisti del premier uscente. A seguire, appaiate, le formazioni della sinistra radicale Sumar e della destra franchista VOX, entrambe intorno al 12,5%. Le altre formazioni, perlopiù appartenenti alla sempre verde galassia regionale spagnola, che va dai baschi ai galiziani, dai catalani ai rappresentanti delle canarie non hanno superato il 2% dei consensi.

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In seguito alle elezioni legislative in Spagna, formare un governo sarà estremamente complesso, per chiunque vorrà prendersi la responsabilità di provarci. È possibile che la Spagna debba ripetere le elezioni entro alcuni mesi, sempre nel 2023, così come è possibile anche che si formi un governo di minoranza. Nessuno sa davvero che cosa uscirà dal cilindro della galassia partitica iberica, ma nonostante ciò ci sono due riflessioni che vale la pena fare sul voto appena andato in archivio: la prima è relativa allo sdoganamento di VOX come possibile alleato di governo, mentre la seconda ha a che fare con il “modello spagnolo”, un modello che sembrava funzionare proprio perché lì, in Spagna, la sinistra era tornata a fare la sinistra e che ora invece stride, seppur in parte, con i risultati usciti dalle elezioni.

Gli eredi di Franco ed il Modello Spagnolo

Riguardo a VOX, in senso assoluto le previsioni che vedevano una crescita del movimento si sono rivelate infondate. Il partito che si richiama agli anni più bui della storia recente spagnola non ha sfondato ed ha anzi perso poco meno del 3% dei voti rispetto a quattro anni fa, quando si era fermato al 15%. La reale differenza la fa il fatto che mai come alle ultime elezioni in Spagna vi è stata la paura che gli eredi del franchismo risultassero determinanti alla formazione di un governo, spostando decisamente la bilancia verso destra. Nonostante il supporto durante la campagna elettorale delle principali forza europee ideologicamente allineate con il partito guidato da Abascàl, compresa la premier italiana Giorgia Meloni, così non è stato. Si tratta però di qualcosa di già visto e con cui le forze della destra popolare europea dovranno fare i conti nei prossimi anni anche in ottica delle elezioni europee che si terranno nel 2024 e della relativa composizione della prossima Commissione Europea. Non ovunque la destra tradizionale ha scelto di allearsi con formazioni di fatto estremiste come accaduto in Italia, ma il dilemma rischia di diventare, e diventerà, sempre più stringente anche in paesi tradizionalmente meno polarizzati. Un esempio è la Germania, dove in alcuni casi la CDU già governa a livello locale con i rappresentanti di AFD, ma ha sempre escluso finora la possibilità di estendere il sodalizio a livello nazionale. In alcuni casi, come alle elezioni amministrative che hanno visto il rinnovo dell’amministrazione della capitale, i dirigenti della CDU hanno preferito formare invece un governo locale estendendo la coalizione ai socialisti piuttosto che rimettersi nelle mani della destra radicale. Si tratta di una scelta coraggiosa e di un tema che nei prossimi anni segnerà probabilmente parte della politica europea.

Il secondo punto però è altrettanto interessante e dovrebbe sollevare un dibattito su quello che per anni è stato definito dalla sinistra italiana, e dall’attuale segretaria del Partito Democratico in particolare, un modello da seguire: il “modello spagnolo”. A scanso di equivoci, le riforme portate avanti dal governo di Sánchez sono state tante ed hanno portato una ventata di aria fresca in alcuni ambiti del contesto politico, sociale ed economico spagnolo. La più importante è stata probabilmente la riforma del mercato del lavoro, promossa dalla ministra Yolanda Diaz e che ha ribaltato i presupposti di una precedente legge votata dal PP nel 2012. Questa riforma si è concentrata soprattutto sul limitare la precarietà, è stato alzato due volte il salario minimo dai circa 730 euro agli attuali 1.080 euro, è stata introdotta un’imposta straordinaria sui grandi patrimoni, ci sono stati interventi sulla disciplina dei contratti dei riders cercando di chiarire le relazioni tra dipendenti e datori di lavoro. Infine, sono stati fatti diversi passi avanti riguardo il tema dei diritti civili, con importanti riforme dedicate soprattutto alle persone transessuali alle quali si è aggiunta una nuova estensione dei congedi di paternità, ora prolungati fino a 16 settimane. Si tratta di riforme importanti, sostanziali per alcune categorie sociali e che hanno rivelato un coraggio che altri partiti di ispirazione socialista non hanno avuto, ma non sempre le cose sono andate nel verso sperato.

Riguardo al mercato del lavoro, ad esempio, la riforma ha ridotto drasticamente la precarietà, ma i numeri possono ingannare. Alcuni ricercatori hanno infatti notato che il risultato è stato raggiunto introducendo quello che si chiama contratto fisso-discontinuo, il quale sostanzialmente garantisce un rapporto teoricamente continuativo tra azienda e lavoratore che poi nella realtà lo è solo sulla carta. L’allargamento dei diritti civili inoltre ha incontrato diverse resistenze in un paese dove rimane una forte impronta cattolico-conservatrice. Anche sul tema della violenza di genere il governo si è mosso in una direzione chiara ed univoca, ma a volte queste azioni non hanno prodotto l’effetto desiderato. Ad esempio, nel caso dei reati a sfondo sessuale il governo ha approvato una legge che dà rilevanza massima al consenso e soprattutto fa convergere tutti i delitti contro la libertà sessuale in un unico reato. Unificando, dunque, i reati di abuso sessuale e aggressione sessuale (stupro) in uno unico, si è dovuto riarticolare il ventaglio delle pene, modificando, di fatto, le sanzioni massime e quelle minime e, in alcuni casi, arrivando ad abbassare quelle minime previste per alcuni tipi di reato. Una delle conseguenze dell’abbassamento delle pene minime è stato il rilascio anticipato di circa 74 condannati per reati sessuali e l’accorciamento della pena per oltre 700 di essi. Si è trattato di un autogol clamoroso da parte del governo che ha pesato molto sull’immagine dell’amministrazione.

Nonostante ciò, è innegabile che le riforme portate avanti siano state coraggiose, ed anche le scelte dal punto di vista economico hanno pagato. Il paese è cresciuto oltre la media UE, ha gestito con efficacia la crisi energetica ed ha fatto registrare a giugno un dato sull’inflazione che si è fermato all’1,9%, il più basso di tutta l’Unione.

L’ammirazione non basta

Sánchez è riuscito a fermare nelle urne l’onda nera che sembrava pronta a prendersi il paese da destra, ed aldilà del fisiologico calo dei consensi che ormai siamo abituati a vedere per i partiti di governo, ha tenuto ed ora sembra pronto a giocarsi di nuovo la possibilità di governare il paese. Non sarà affatto semplice, ma è un’opzione che solo pochi mesi fa sarebbe stato difficile contemplare. Il fatto però che in Italia si parli di adottare il cosiddetto “modello spagnolo” non deve ingannare. Le specificità del paese iberico, seppur spesso considerato simile al caso italiano, lo differenziano anche in alcuni punti fondamentali.

Prima fra tutte, il popolo spagnolo si è rifiutato con forza di dare le chiavi del governo in mano ad una forza revanscista e con legami ben lungi dall’essere ripudiati con il fascismo. Questo non è accaduto in Italia, unitamente alla diversa condizione in cui versano le economie dei due paesi. In secondo luogo, in Spagna il principale partito di sinistra è stato in grado di sviluppare un programma di collaborazione concreto e chiaro con le forze della sinistra radicale, ma ha avuto anche il coraggio di fare sue alcune delle istanze che questi portavano avanti, con coraggio ed a volte un po’ di fortuna (la riforma del mercato del lavoro è passata grazie all’errore di un deputato dell’opposizione).

La politica italiana dovrebbe smettere di guardare al di fuori dei confini nazionali per provare a trovare modelli e risposte pre-confezionati a cui rifarsi per uscire dalla crisi in cui versa ormai da un decennio circa. Il giorno in cui questo accadrà, si potrà forse parlare di un modello italiano, adatto alle specificità ed alle particolarità che il nostro sistema richiede.

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Immagine in copertina: Città delle Arti e delle Scienze di Valencia. Foto di Luca da Pixabay

Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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