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Le ore in cui il regime russo ha tremato

Venerdì 23 e sabato 24 giugno 2023 sono state le due giornate più e destabilizzanti per il regime di Vladimir Putin da quando è iniziata la guerra in Ucraina. A scatenarle, il gruppo Wagner. Ma cos'è successo?

13 minuti di lettura

Venerdì e sabato sono state senza ombra di dubbio le due giornate più importanti e destabilizzanti per il regime di Vladimir Putin da un anno e mezzo a questa parte. La ribellione della milizia Wagner ha dato al Cremlino la più forte scossa dalla notte in cui gli elicotteri militari russi hanno innescato una guerra logorante provando, senza successo, a prendere Kiev ed hanno trasformato un’operazione di intelligence nella più cruenta guerra europea dai tempi del secondo conflitto mondiale.

L’inizio della ribellione della Wagner

Yevgeny Prigozhin, il capo dei mercenari della Wagner, ha proseguito l’escalation dei toni con cui da mesi si rivolge ad una parte degli apparati russi, accusando direttamente il ministro della difesa Sergej Shoigu ed il capo di stato maggiore Valerij Vasil’evič Gerasimov di incompetenza, di aver bombardato i suoi uomini, i miliziani della Wagner, mentre erano a riposo in una base in Donbass. Ha accusato direttamente Putin di essere un traditore della Russia ed ha affermato che l’invasione non era stata provocata da un’aggressione ucraina ma rispondeva invece solo agli interessi di una ristretta cerchia di generali e membri del governo. Dopo di che ha affermato che se il ministro e Gerasimov non fossero venuti a parlare direttamente con lui o non fossero stati rimossi dalla loro carica, avrebbe cominciato una lunga marcia verso nord, in direzione di Mosca per chiedere giustizia, supportato da circa 25mila miliziani.

La ritirata della Wagner e la de-escalation

Shoigu e Gerasimov non si sono ovviamente presentati, ed il leader della Wagner ha dapprima occupato la città di Rostov sul Don, una della più grandi della Russia Europea e snodo logistico fondamentale, poi ha dato ordine di proseguire verso la capitale, dal momento che dal governo non filtrava nessuna posizione accomodante. In quelle ore anzi, il presidente Putin ha trasmesso un messaggio alla nazione in cui chiedeva ai ribelli di fermarsi, riconoscendone i meriti sul campo di battaglia ma dimostrandosi fermo sulla sua posizione. In un breve passaggio ha paragonato la ribellione in atto alla rivoluzione del 1917, paragonando di fatto sé stesso a Nicola II, l’ultimo Zar di Russia, il quale venne fucilato in un piccolo villaggio insieme alla sua famiglia e ad i suoi eredi.  La colonna si è allora rimessa in marcia incontrando scarsissima resistenza da parte delle forze regolari ed in poche ore ha percorso circa 600km, fino a quando si è arrestata in seguito ad una trattativa portata avanti, sembra, dal leader bielorusso Aljaksandr Lukashenko su mandato di Putin.

Che fine ha fatto Prigozhin?

Non è chiaro al momento né cosa volesse davvero Prigozhin, né che cosa gli sia stato offerto in cambio per fare dietrofront dopo una mossa di questa portata. Le notizie che filtrano non sono sufficienti per spiegare un evento di questa portata. Sembra che a Prigozhin sia stato offerto un esilio momentaneo in Bielorussia ed ai suoi uomini l’assicurazione che non sarebbero stati presi i provvedimenti previsti in caso di tradimento, ma per ora sia il ministro della difesa che Gerasimov sembra siano rimasti ai propri posti. Sembra anche difficile credere che il tentativo di golpe sia stato inscenato in seguito alla minaccia, peraltro reiterata negli ultimi mesi da parte di alcuni apparati di sicurezza, di inglobare la brigata dei musicisti nell’esercito regolare dopo che questa aveva assunto un peso ed una capacità di operare sul campo decisamente superiore al 90% delle forze regolari. Di sicuro Putin e la sua cerchia di potere hanno affrontato una minaccia molto seria, almeno inizialmente.

Il ruolo delle milizie nell’invasione dell’Ucraina

Il fatto che le milizie private potessero diventare un problema per la stabilità della Russia viene evidenziato da mesi. Sebbene infatti non costituiscano una novità in senso assoluto, l’impiego che la Russia sta facendo delle milizie del Donbass, della Wagner, delle milizie legate a Gazprom e Rosneft e dei ceceni è sotto gli occhi di tutti, soprattutto riguardo alla libertà che queste hanno di muoversi sul campo e a quelle che i vari leaders di volta in volta si prendono per criticare chicchessia. La battaglia personale tra Prigozhin ed il Ministero della Difesa ha infatti offuscato forse in parte le dichiarazioni di diversi esponenti di spicco delle milizie sia di Donetsk e di Lugansk, così come invece difficilmente sono passate inosservate le uscite spesso ben oltre l’accettabile di Kadyrov. Era evidente, come detto, che la cosa prima o poi avrebbe costituito un problema e proprio per questo forse si stava decidendo di includere la Wagner, la più grande e organizzata di queste, nelle forze regolari ma l’errore era comunque già stato fatto.

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All’inizio della guerra i musicisti di Prigozhin, come vengono chiamati in Russia, non disponevano infatti di mezzi corazzati e di artiglieria pesante, e neppure di una contraerea. Nei filmati che li vedono sfrecciare sull’autostrada in direzione Mosca sono invece equipaggiati meglio dell’esercito regolare, hanno abbattuto sembra alcuni elicotteri e disponevano di carri armati e artiglieria, sebbene l’entità delle forze in movimento sia diminuita man mano che queste si avvicinavano alla capitale fino a contare circa 2mila uomini. Una forza francamente insufficiente a prendere la capitale, anche in caso di appoggi interni. Nonostante ciò, la minaccia era stata presa seriamente, tanto che la città era stata blindata dalle forze di sicurezza e uomini armati della Rosgvardia, con due brigate a difendere il Cremlino, erano nelle strade.

La risposta tardiva dei servizi di sicurezza del Cremlino

Un punto su cui certamente riflettere, e non è la prima occasione in cui queste si dimostrano scarsamente efficienti, è l’operatività dei servizi di sicurezza. Probabilmente è in gran parte colpa loro il fatto che l’operazione militare speciale si sia trasformata in una lunga guerra poiché sono stati incapaci di prevedere la reazione ucraina ed occidentale, ed è nella stessa misura colpa loro se non sono riusciti a prevedere e fermare un tentativo di colpo di stato da parte del principale contractor militare del Cremlino.

In secondo luogo, le forze militari di Prigozhin sono avanzate troppo in profondità e troppo velocemente. Hanno incontrato scarsissima resistenza, con l’eccezione di alcuni elicotteri militari abbattuti, un leggero bombardamento da parte dell’aviazione e un deposito di carburante dato alla fiamme per evitare che cadesse in mano ai mercenari. È possibile che avessero degli appoggi interni, oppure il governo ha semplicemente scelto di aspettare che una trattativa andasse a buon fine evitando spargimenti di sangue, ma rischiando di cadere? Si tratta di un punto fondamentale, che forse non verrà mai chiarito. Neppure la mediazione di Lukashenko è chiara, in quanto il presidente bielorusso è una diretta emanazione del Cremlino, senza il quale non avrebbe forse superato le proteste di piazza del 2020 e pertanto la sua autorità di uomo super partes ne risulta delegittimata.

Un altro punto da non sottovalutare è che per la prima volta il presidente Putin si è probabilmente sentito davvero in pericolo, al punto che potrebbe essere fuggito da Mosca verso una destinazione sicura durante la marcia verso la capitale. Non era mai accaduto che la sua leadership venisse contestata così chiaramente. Se Prigozhin dovesse sopravvivere il messaggio che potrebbe passare è che se si è abbastanza forti è possibile sfidare l’orso ed uscirne vivi, e magari vittoriosi. Soprattutto se il regime dimostra come in questo caso di non essere un monolite.

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Senza dubbio sono stati i due giorni più importanti da quando la guerra è cominciata. È troppo presto per dire che cosa cambierà in Russia da ora in avanti, ed è troppo presto anche per capire la fine che faranno la Wagner ed il suo fondatore, così come Shoigu e Gerasimov. Di certo, non potrà passare tutto come se nulla fosse successo. Il paragone con la rivoluzione bolscevica è stato forse azzardato ed infelice, ma dimostra che il pericolo era reale. È difficile anche comprendere la gioia e la malcelata esultanza di tanti commentatori quando hanno appresso del tentativo di golpe in corso: non è affatto certo che colui che prenderà il posto di Putin sia meglio del predecessore, non è certo nemmeno il fatto che la successione avvenga senza una guerra civile così come non è affatto certo che la Russia sopravviva e resti quella che conosciamo oggi. Una Russia divisa porterebbe con sé incognite, speranze e problemi enormi, così come attirerebbe certamente le mire di vicini sovrappopolati ed invadenti, soprattutto ad oriente. Putin ha superato questa prova, ma il mondo ha tremato.

Se della stabilità attuale del regime di Putin si sa poco, ancor meno si sa della situazione di Prigozhin e di quali saranno le sue sorti. Il primo segnale da parte dello chef macellaio è arrivato lunedì nel pomeriggio: una dichiarazione audio resa pubblica, in cui sosteneva che la “Marcia su Mosca” non avesse alcuna intenzione di essere un golpe, ma fosse una rivendicazione di giustizia dopo il presunto attacco russo ai miliziani Wagner in territorio ucraino, che avrebbe fatto, secondo Prigozhin, una trentina di morti. Il capo della Wagner, comunque, nell’audio non ha fornito alcuna indicazione sulla sua posizione. Molti commentatori scommettono su un suo breve soggiorno in Bielorussia e poi sulla partenza verso il continente africano dove, visti i contratti miliardari che la Wagner ha in essere in Repubblica Centraficana e Mali, Prigozhin potrebbe dedicarsi a curare da vicino i suoi affari insanguinati.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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