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Senza Emanuele Macaluso siamo tutti un po’ più soli

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Non è mai facile parlare di chi se ne va, ma è necessario ricordare una mente e una penna che tanto hanno dato alla sinistra, alla Sicilia e al Paese intero. Emanuele Macaluso – scomparso il 19 gennaio 2021 – è figlio dell’entroterra siciliano, di una terra ruvida quanto meravigliosa, terra di lavoro, di fatica e di lotta come ogni terra di confine. Proprio nella Sicilia dove la miseria più dura contrassegnava la vita dei più, inizia l’impegno politico di Macaluso, perché la giustizia sociale si persegue con la lotta e con l’impegno di ognuno.  

Emanuele Macaluso: la Sicilia, l’impegno politico e la sinistra

Nato il 21 marzo 1924, appena diciassettenne Emanuele Macaluso decide di impegnarsi in politica tra le fila del Partito Comunista Italiano. Era il 1941 e il regime fascista opprimeva e soffocava una terra che da sempre subiva il potere imposto da terre lontane. La politica era un bisogno, l’istintiva rivolta, per rispondere a un regime liberticida e criminale. Al fianco degli zolfatari, dei contadini e degli operai senza diritti, decise di schierarsi dalla parte di chi aveva bisogno, lui che quella realtà la conosceva bene.

Diplomatosi perito minerario, Macaluso vedeva i bisogni di chi lavorava confrontandosi quotidianamente con gli stenti e con l’assenza di diritti. In una delle ultime interviste affermò che non importa se si può fare tanto o se si può fare poco. Bisogna fare! E lui fece molto per quei lavoratori che combattevano contro i soprusi dei proprietari terrieri, contro chi nei cantieri decideva chi lavorava e chi no, per i diritti dei minatori nelle miniere di zolfo.

Per lui, la sinistra era rinascita e possibilità di riscatto. Divenuto a soli 23 anni segretario regionale della CGIL di Di Vittorio, Emanuele Macaluso si trovò a Portella della Ginestra il Primo maggio del 1948, alle pendici del monte Pizzuta, appena fuori da Piana degli Albanesi. L’anno prima, la banda di Salvatore Giuliano (con alcuni innesti) fece fuoco sulla folla di lavoratori accorsa a Portella per il consueto comizio dal Masso intitolato a Nicola Barbato, medico socialista di Piana degli Albanesi, che guidò le rivolte contadine e i Fasci siciliani. Il ruolo di Macaluso in quell’occasione fu quello di dare speranza e forza a quella folla di coraggiosi che solo un anno prima aveva assistito alla prima strage di Stato e all’inizio della strategia politico-mafiosa che caratterizzerà l’isola nei decenni successivi.

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Fare opposizione in Sicilia in quegli anni non era un lavoro facile e Macaluso portò sempre con sé ciò che aveva imparato nella lotta sul campo, le contraddizioni sociali della sua terra, le diseguaglianze e la voglia di riscatto dell’intera isola.

Nel 1951, senza dimettersi dall’incarico sindacale, si candidò con successo alle elezioni regionali tra le fila del Partito Comunista, sedendosi tra i banchi dell’Assemblea Regionale Siciliana nella II, III e IV legislatura. Fu uno dei promotori della mossa politica definita “la svolta di Milazzo”, capace di portare la Democrazia Cristiana all’opposizione opponendovi una coalizione che mettesse insieme tutti o quasi tutti gli altri. Molte furono le critiche, ma questa mossa ricevette il sostegno dello stesso Palmiro Togliatti che difese l’operato di Macaluso.

Nel 1960 entrò a far parte della direzione nazionale del partito e negli anni successivi lasciò l’ARS e la segreteria regionale del Partito a Pio La Torre, amico e compagno di lotte. Nel 1963 entrò nella segreteria politica di Togliatti divenendo nello stesso anno parlamentare. Si aprirono così i suoi anni da dirigente a Roma, anni di grandi amicizie e di crescita politica e intellettuale: Berlinguer, con cui divise per un periodo la stanza a Botteghe oscure, Napolitano, Natta, Pajetta, Ingrao, Amendola e lo stesso Togliatti.

La politica è un fuoco che brucia dentro

Riformista, o meglio, Migliorista, Emanuele Macaluso vide sempre la politica come emancipazione del popolo e come impegno quotidiano per i diritti di tutte e di tutti. La lotta politica è e sarà sempre un esercizio collettivo e quotidiano, così come la lotta alla mafia che Macaluso vedeva come un’azione collettiva e non come una lotta calata dall’alto.

Fu un dirigente ortodosso ed eretico, che viveva la politica come un fuoco che brucia dentro. Il fuoco è difficile da fermare e, come ricordò in varie interviste, fu lo stesso Togliatti a spiegargli che «un uomo politico che non scrive è un politico dimezzato».

Il bisogno di comunicare, di scrivere, lo accompagnò nella sua storia e accompagna tutti noi nella storia della sinistra italiana. Il primo articolo sull’Unità fu del 1942, quando descrisse le condizioni dei lavoratori nelle miniere di zolfo del nisseno. Intensificò l’attività giornalistica una volta ridotta l’attività politica attiva. Diresse l’Unità nella prima metà degli anni ‘80 cercando di trovare formule nuove che fossero al passo coi tempi e collaborò nel tempo con la Stampa, il Mattino e il Riformista. I tempi cambiarono, ma lui non rimase mai indietro. Fino a poco fa, giornalmente postava su Facebook, nella pagina Em.ma in corsivo, un suo articolo sulla situazione politica. Noi quel commento lo aspettavamo perché, preciso e tagliente come una spada, ci faceva spesso dire “avessi saputo dirlo come lo dice lui!”.

emanuele macaluso

Cosa ci lascia Emanuele Macaluso

Emanuele Macaluso non è stato un politico del passato, ma un uomo che ha sempre guardato al presente e al domani. Richiamava la sinistra all’unità e alla sua vocazione sociale. Auspicava una soluzione politica che si avvicinasse al socialismo europeo. Chiamava i giovani, tutti, all’impegno politico.

A Portella della Ginestra, il Primo Maggio del 2019, tuonò dal masso Barbato richiamando all’unità e all’impegno che non dimentica. Quelle parole oggi sembrano un testimone lasciato a chi verrà dopo di lui. Una scintilla lasciata alla Sicilia, ai siciliani, alla sinistra e all’Italia intera.

emanuele macaluso

Emanuele Macaluso è stato e sarà un esempio di concretezza politica e di forza intellettuale. Ci ha insegnato che la politica è impegno e dedizione. Ci ha insegnato che la politica è preparazione e competenza, ma soprattutto radicamento nei territori e nei luoghi del lavoro. Ci ha insegnato che lottare per i diritti, propri e altrui, non è mai una perdita di tempo.

Oggi siamo tutti un po’ più soli e non importa se nella vita si fa il professore, l’operaio, il medico o il Ministro.

In un tempo in cui abbiamo un disperato bisogno di maestri da apprezzare e criticare, lui c’è stato. Un maestro però non se ne va finché rimangono gli insegnamenti che ha lasciato al mondo. Noi non la dimenticheremo e rispettosamente la ringraziamo. Tutti.

 


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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!

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